Varsavia e Budapest

“O l’Europa ai riforma ascoltando ogni Stato nazionale membro, o sarà la disintegrazione”. “Non cederemo alle pressioni”- tuona Kaczynski.

Dalla nuova Europa, o meglio, da uno dei suoi più rilevanti paesi, la Polonia, giunge chiaro un monito ai fautori del centralismo e della omologazione in ogni campo, l’esigenza vitale di cambiar rotta, per scongiurare il rischio concreto che la integrazione vada in mille pezzi.

Le ultime dichiarazioni del leader del PiS risuonano senza mezzi termini con tutta la sfrontatezza e la durezza che contraddistinguono il personaggio e la sua creatura politica. Il parallelo con l’ungherese Orban calza bene. Polonia e Ungheria con i due leader saldamente in sella sono un modello per chi da est non si riconosce nell’impostazione europea basata sulla rinuncia ai poteri nazionali con annesso svilimento della sovranità in favore del trasferimento degli stessi a Bruxelles. Cosìcchè, i due illustri esponenti del populismo sono divenuti un modello per molte formazioni anche dell’Europa più a ovest, incarnando essi gli alfieri di quel bene sommo – ritenuto in grave pericolo – costituito dalla sovranità nazionale nell’ottica di un’Ue delle patrie.

Nella Polonia targata PiS, il punto è rafforzare patriottismo e identità nazionale, concetti sfidati dal governo precedente.
Il bersaglio: la ‘correctness’ tecnocratica che de facto limita la libertà di parola, di religione, di dibattito, e conseguentemente decisioni a livello nazionale. Punti di contatto con Orbàn evidenti, dunque. Rivoluzionari a detta di Kaczynski e dei suoi seguaci.

La rivoluzione consiste nel ritorno al concetto di Stato nazionale come chiave di volta, essendo la sola istituzione capace di garantire democrazia e libertà, diversità e vitalità delle culture. Una sorta di ritorno al localismo, inteso come salvaguardia delle culture e delle sovranità nazionali. Solo in questo modo l’Europa puà aspirare ad essere superpotenza globale, agendo come tale senza disperdere il proprio patrimonio costituito dalla varietà e di fatto senza disintegrarsi. Poiché perdere se stessi equivale alla disintegrazione e alla colonizzazione da parte dei flussi esterni che la invadono e comprimono ma anche da parte di uno spietato gruppo di potere – banchieri e tecnocrati -che germoglia al proprio interno e che opera in vista della propria affermazione a danno dei popoli e della loro capacità decisionale.

Per far ciò dalla Polonia si chiede di modificare i Trattati per rafforzare gli Stati nazionali ed eliminare ogni arbitrio.
La Polonia è un paese grande, membro di Ue e Nato, l’economia cresce, i conti sovrani sono stabili. Ha valide carte da presentare al tavolo dell’Europa.
A Varsavia e Budapest potrebbero, in un futuro non troppo lontano associarsi anche altri paesi dalla tradizione europeista un tempo solidissima, oggi vacillante. Il magma del malcontento pervade l’Europa in lungo e in largo, complici una crisi economica generale che ha impoverito milioni di persone, il flusso di migranti incontrollato e il pericolo terrorista. Prove, queste, di cui l’ Europa finora non si è mostrata all’altezza e che hanno messo ancora più in crisi il vecchio credo e con esso decennali convinzioni.

Brexit ha ridisegnato per pochissimo un direttorio a tre costituito da Germania, Francia e Italia, inaugurato al vertice di Ventotene ma pare già fallito. Renzi non ha digerito l’intransigenza di Merkel in termini di patto di stabilità e i tre son già diventati due. Gli stessi di prima, quelli dell’asse franco-tedesco. Un asse per la verità a una sola testa, quella di Merkel, in quanto la posizione della Francia sarebbe stata per natura più prossima a quella italiana visti i problemi in cui versa Parigi ma, per salvar le forme, Hollande ha preferito rifugiarsi malvolentieri all’ombra di Berlino, dando così una mano anche a Merkel che in questa fase è molto debole all’interno dopo le ultime batoste elettorali. La vecchia Europa dunque scricchiola non poco e sembra alla vigilia di uno stravolgimento anche dei propri protagonisti.
Ovunque i populisti si rafforzano, dalla Germania con la AfD alla Francia con Marine Le Pen. I 5stelle in Italia, malgrado una notevole collezione di insuccessi e passaggi a vuoto figli dell’inadeguatezza, si confermano stando ai sondaggi quotatissimi; il populismo dilaga anche in nord Europa ed è al top della popolarità in Olanda; forze di sinistra anti-europee si affermano in Grecia e Spagna. In questo scenario, la Ue può collassare non c’è dubbio.
Dagli esempi di Varsavia e Budapest si evince che è assai difficile cercare un compromesso che porti a una concezione condivisa dell’Europa in quanto ci troviamo dinanzi a due impostazioni perfettamente dicotomiche in cui l’una si affermerà definitivamente al morire dell’altra: Europa dal forte potere centralizzato o Europa delle patrie, dunque?

Molto diranno i prossimi appuntamenti elettorali, anche oltreoceano. Una possibile vittoria di Trump avrebbe esiti imprevedibili in Europa, mentre una affermazione di Clinton vedrebbe confermato lo status attuale di America interessata ai destini dell’Europa e quindi per nulla intenzionata a mollare la presa, ponendo fine alla propria influenza nel Vecchio Continente.