Chiarezza sulla libertà di espressione e sul rispetto di ciò che è sacro

Papa Bergoglio dice la sua e la dice a chiare lettere, da uomo forte, usando però la mitezza che gli è propria.

Durante il suo viaggio tra lo Sri Lanka e Manila, nei cieli delle Filippine, ha affermato che come è un’aberrazione uccidere in nome di Dio, sbaglia anche chi arriva a offendere una religione sventolando la bandiera del diritto a dire ciò che si vuole.

Questa è la visione di Francesco sui fatti di Parigi, una posizione che merita di essere analizzata in tutte le sue sfaccettature possibili in quanto pesa non poco sull’atteggiamento della comunità internazionale e anche su ciò che si è voluto affermare con “Je suis Chralie”.

Egli ha detto che sia la libertà di religione, che la libertà di espressione sono due diritti umani fondamentali, ma così come è orribile e inconcepibile uccidere in nome di una fede, è altrettanto errato provocare e insultare il credo di altre persone. Il limite è quello della dignità che ogni religione possiede.

Infine ieri, volendo precisare e spiegare le sue dichiarazioni ha usato la parola prudenza: “la libertà deve essere accompagnata dalla prudenza”.

Come non condividere questo suo invito alla riflessione, visto che ad esempio sulla situazione in Siria e in Iraq gli uomini di chiesa cristiano/cattolici, a dispetto della voluta cecità della comunità occidentale, denunciano da tempo la strada violenta che l’Islam radicale ha preso con l’inasprirsi dei risvolti drammatici delle “primavere arabe”?

Ad esempio, il Patriarca Caldeo Sako in Iraq, terra pericolosissima da anni e in mano all’Isil, non ha mai smesso di denunciare le persecuzioni che le minoranze religiose ed etniche stavano subendo a causa delle forti tensioni tra sciiti e sunniti e del radicalismo islamico sunnita. E’ lui che a gran voce ha ripetutamente chiesto alla comunità internazionale di aprire gli occhi su quanto stava accadendo lì ed è lui che il 9 Gennaio è intervenuto per chiedere ai musulmani di smantellare dall’interno l’ideologia terroristica ed estremista.

In Libano invece, un’altra figura di spicco è il patriarca maronita Bechara Rai. Da quando è scoppiata la crisi in Siria non ha mai smesso di lanciare allarmi sul pericolo enorme che poteva derivare da un conflitto settario tra sciiti e sunniti e di come questo avrebbe destabilizzato il paese dei cedri e tutta la regione.

Bergoglio è andato e va oltre, infatti da tempo denuncia coloro che subdolamente trafficano in armi e poi condannano le violenze in Medioriente. Chi ha tolto l’embargo di armi alla Siria? Chi ha armato i mujaheddin contro Gheddafi e Al Assad? L’Europa e non solo.

E’ dunque evidente che nessun leader occidentale si è speso quanto lui per chiedere la fine del commercio di morte in zone di crisi, dalla Libia a Damasco, passando per Baghdad.

Ecco che allora dietro le parole del Papa forse c’è un monito verso la comunità occidentale perché si assuma le proprie responsabilità; un invito alla consapevolezza per ciò che si fa e si dice, senza gridare troppo alla propria innocenza. E’ come se il Papa abbia voluto disinnescare una carica elettrica invitando tutti appunto, alla prudenza e alla riflessione.

Il Pontefice, come ad esempio è già accaduto nel caso ultimo Usa-Cuba, si è posto da arbitro tra le parti, spronando tutti a fare un passo indietro.

Dietro la sua figura religiosa c’è un politico che lavora costantemente in modo diplomatico.

Bergoglio pochi giorni fa su quell’aereo, ha detto con poche parole, qualcosa di veramente importante che non poteva passare senza commento.

In politica estera la comunità occidentale, ossia l’Europa sulla scia degli Stati Uniti, ha completamente fallito: dall’Ucraina al Grande Medioriente non ha saputo e voluto vedere le conseguenze di ciò che stava finanziando e armando per interessi geopolitici ed energetici ed è scivolata in una pericolosissima partita, incoraggiata dalle monarchie sunnite del Golfo Persico.

Si sono chiusi gli occhi di fronte ai continui allarmi che venivano “dal fronte” riguardanti quei mujaheddin che dall’Europa agli Usa sono partiti per andare a fare la loro esperienza di violenza contro Bashar Al Asad e Baghdad, per profitto s’intende, perché quelle terre sono ricchissime di petrolio e risorse energetiche e chi muove i fili del Jihad questo lo sa e sa quali interessi sono in campo in quella zona.

L’Unione si è voltata dall’altra parte quando già si cominciava anche soltanto ad ipotizzare il pericolo dei ritorni in patria di chi era andato a combattere laggiù; quanta superficialità, quanta ipocrisia e quanta disattenzione da parte di chi doveva prevedere e agire. Quanti ritardi sul controllo delle frontiere, sull’immigrazione e su Schengen.

Solo a cose fatte l’Europa ha deciso di smuoversi un po’, un po’ poco.

Se il Papa dunque parla di “prudenza” in relazione ai drammatici eventi di Parigi, allora c’è motivo di drizzare le orecchie, di ascoltare e chiedersi il perché abbia detto certe cose.

I fatti di Francia sono stati gravissimi ma a chi ha detto “siamo tutti Charlie”, a quella comunità che ha sfilato in piazza, ha ricordato le proprie responsabilità, perché certo è assurdo concepire la violenza e la violenza per religione, ma è anche abbastanza opinabile offendere le religioni altrui, sebbene certo la satira fa indubbiamente parte di un sistema democratico, di uno stato che si dica laico.

La religione è una questione privata, non di Stato.

Bergoglio non ha giustificato la violenza, ma forse a quei politici che si sono riuniti in piazza a Parigi ha mandato un messaggio: di sicuro non si può compiere l’aberrazione di uccidere in nome di un Dio, ma non si può neanche fare orecchie da mercante di fronte a ciò che viene denunciato da tempo in Medioriente; non si può fomentare la rivolta armando e finanziando mercenari ignoranti e potenziali assassini al fine di rovesciare governi non allineati o scomodi. Non si possono dare armi e soldi per procura e pensare che poi tutta quella violenza non si ritorca contro e torni in patria.

Ecco perché forse il Papa ha chiesto prudenza, perché fino ad ora non c’è stata e i risultati si sono visti.

La satira è sacra in un paese normale e deve essere difesa, ma se si usa quest’ultima per ribadire ipocritamente i falsi miti occidentali allora no. Nessuno è andato in Libia a lottare per la libertà e in Siria il regime di Bashar, alawita, sciita, da fastidio non per motivi umanitari.

Possiamo dire che Charlie Hebdo faceva il suo lavoro anche se non poche critiche gli sono state rivolte negli anni addietro, invece il proprio dovere non l’hanno fatto i politici e chi doveva controllare l’escalation di tensione che si andava delineando all’orizzonte, per mare e per terra.

La satira è libera e non può essere strumentalizzata da chi non ha veramente lottato per la pace, da chi ha fatto scelte sbagliate in politica estera e da chi non ha voluto e saputo valutare i rischi.

Quindi “Je suis Charlie” non tanto e non proprio, perché detto così sembra un po’ superficiale, una moda e sull’onda dell’emotività rischia di offuscare e nascondere le nefaste responsabilità di una politica estera occidentale cieca; invece prudenza è il richiamo più pertinente, prudenza è la parola d’ordine ed è ciò che è mancato negli ultimi anni sull’analisi reali dei fatti.

La politica è anche questo, un sonoro richiamo alla realtà.