L’insidia di un disgelo

Il 21 e il 22 Marzo 2016 si è svolta la storica visita del Presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, a Cuba.

Dopo 50 anni di ostilità, il disgelo ha inizio, anche se l’embargo sull’isola non è stato ancora eliminato del tutto: il Congresso Usa reclama dapprima il rispetto dei diritti umani.

Appena sbarcato sull’isola, la prima tappa importante è stata la visita alla cattedrale dell’Avana dove Obama ha incontrato il Cardinale Jaime Ortega, riconoscendo il ruolo fondamentale ch’egli ha avuto nelle trattative diplomatiche di avvicinamento tra le due parti in Vaticano, per le quali Bergoglio è stato il fondamentale mediatore.

Marco Rubio, candidato Repubblicano alla Casa Bianca e di origini cubane, ha definito “assurda” questa visita poiché il governo Castro resta sempre repressivo e l’isola caraibica non è libera.

E’ interessante notare in politica internazionale come alcune considerazioni si facciano a senso unico: non sarebbe di poche righe l’elenco di quei paesi non democratici con cui l’America intrattiene non solo rapporti commerciali (compresa la vendita di armi), ma coi quali mantiene alleanze salde per il controllo del territorio. Uno di questi è l’Arabia Saudita.

Nazioni nelle quali non esistono partiti politici, dove non è permessa opposizione, dove le donne non hanno diritti, dove la tortura e la lapidazione sono all’ordine del giorno e dove la condanna a morte viene eseguita con la decapitazione, non sono da ammonire poiché non hanno un tracciato storico comunista e perché hanno un sottosuolo ricco di oro, oro nero e gas.

Il Presidente Americano il 22 Marzo dal Teatro dell’Avana, ha tenuto “il discorso al Popolo Cubano” dove ha affermato di essere andato a Cuba per seppellire le ultime tracce della Guerra Fredda, visto che l’embargo stesso e il gelo tra le due nazioni non hanno giovato né agli uni né agli altri.

Perché allora in Europa si è tornati a sentir soffiare da Ovest venti di guerra fredda verso la Russia di Putin e per quale motivo l’UE ha imposto delle sanzioni alla Federazione, sulla spinta degli Stati Uniti? Misure restrittive per altro che stanno danneggiando molti paesi del Vecchio Continente, compresa l’Italia.

E’ normale allora, viste le circostanze, che in conferenza stampa Raul Castro si sia stizzito di fronte all’intraprendente giornalista della CNN, Jim Acosta, quando gli è stato chiesto il motivo per cui il fratello del Lìder Maximo non rilascia i prigionieri politici. Egli infatti ha risposto: “ in tema di diritti umani gli Stati Uniti hanno molto da imparare visto come trattano i poveri, le minoranze razziali, le persone lasciate senza assistenza sanitaria”.

L’isola è uno dei paesi col più efficiente sistema sanitario nazionalizzato al mondo, è il paese con uno dei più alti tassi d’istruzione gratuita e dove le donne hanno garantito pari stipendio degli uomini.

Se si vuole un vero disgelo con Cuba, paese con un’identità storica molto forte e una consapevolezza della propria specificità a due passi dalla nazione simbolo del capitalismo con tutti i suoi pregi e difetti, non si può andare sul posto e comportarsi da professore, soprattutto se non si ha la coscienza più che pulita.

Gli Usa hanno Guantanamo sull’isola caraibica, da anni se ne chiede la chiusura e la restituzione del territorio all’Havana.

Negli States c’è ancora la condanna a morte, come a Cuba, anche se qui la sua applicazione è stata sospesa dopo l’ultima esecuzione nel 2003.

Non è del tutto vero come ha affermato Obama che la normalizzazione dei rapporti passa prima di tutto attraverso il business: con Cuba non si può fare un discorso di questo genere, poiché l’odore di “colonizzazione” si avverte presto nella suscettibile isola. L’apertura deve avvenire innanzitutto con una reciproca corrispondenza culturale e una comprensione da entrambe le parti dei diversi sistemi di vita. L’una deve prendere il meglio dall’altra, poiché anche Cuba ha da dare e molto. Per questo il governo statunitense non può pensare di comportarsi in maniera imperialista con questo paese tanto vicino ma tanto diverso.

La riapertura dei voli commerciali va benissimo, ma ci sono degli equilibri che devono essere salvaguardati, in quanto è chiaro in diversi stati dell’Europa dell’est cosa ha portato l’apertura all’occidente.

L’invasione del capitale americano potrebbe rappresentare un atto di colonizzazione dell’isola, certamente un’opportunità storica per gli USA, ma questo non sarà mai disgelo, quel disgelo per cui Bergoglio si è adoperato e sul quale certamente vigila.

Allo stesso tempo, tali circostanze devono essere un monito per la classe politica del piccolo stato cubano se vuole preservarsi dal capitalismo sfrenato che incombe: i governanti non devono lasciarsi dire da altri cosa devono fare.

Il turismo, la sanità, l’educazione sono punti di forza dell’Havana e quindi è su questi elementi che si devono attuare politiche di investimento nazionali, affinché questi settori non vengano accaparrati dai dollari stranieri. Il paese ha bisogno urgente di internet, i giovani ne hanno necessità affinché non sia il primo concerto gratis dei Rolling Stones a trascinarli verso altri mondi effimeri, ne hanno urgenza coloro che vogliono avviarsi ad esperienze di lavoro personali, dunque Castro, se vuole davvero aprirsi a nuovi orizzonti, non deve aspettare l’aiuto di Obama perché nell’isola sia disponibile wifi ovunque, non deve lasciarsi dire “gli Usa vogliono aiutare Cuba ad andare on line”. La politica nazionale deve evolversi ed investire affinché il boom delle ricchezze cubane resti in mani autoctone.

Di fronte ai potenziali e ingenti investimenti stranieri che mirano a capitalizzare tutto, il governo deve muoversi da solo, deve da solo trovare i mezzi e i modi per finanziare la sua crescita e la sua apertura, altrimenti l’isola verrà travolta dal colonialismo.

Il nutrito gruppo di imprenditori che ha accompagnato Obama la dice lunga.

Questa visita ha svelato i potenziali pericoli che possono venire da entrambe le parti: un paese dominatore che si rapporta a una nazione da professore e colonizzatore e un’isola tanto bella ma con un enorme deficit economico: l’apertura al mondo comporta un repentino e necessario cambio di rotta, per restare padroni dei propri settori chiave.