Era una vittoria annunciata, anche nelle proporzioni. Un trionfo che segna un brusco stop per Polonia europeista dei liberal, ma gli scandali e il dovuto bisogno di un ricambio condannavano fin dall’inizio le velleità di vittoria di PO.
Il PiS di Kaczysnki ha condotto una campagna elettorale aggressiva come di consueto e il risultato ha premiato le attese. Un esito che è rimbombato nelle stanze di Bruxelles in maniera sinistra, visto che non sarà facile allineare Varsavia alle istanze dell’Europa. La Polonia è il paese più importante (per peso demografico economico politico geopolitico e militare) ad Est di Unione Europea e Alleanza atlantica, i nazionalconservatori di Kaczynski, a ragione ritenuto uno dei più influenti euroscettici del continente, hanno stravinto e potranno governare da soli con in mano oltre la metà dei seggi del Sejm. Vittoria totale e senza appello.
Per la prima volta dalla rivoluzione dell’89, ogni forza dichiaratamente di sinistra (la sinistra unita di Sld) resta fuori dal Parlamento. Svolta dunque, che non investe solo i big parties ma tutta l’architettura democratica cui ha contribuito un elettore su due, un successone da queste parti, e in generale una percentuale d’affluenza notevolissima per un paese della “Nuova Europa”.
E saranno fischiate le orecchie ad Angela Merkel quando lo stato maggiore di PiS ha subito messo in chiaro la politica estera, strettamente connessa a quella interna, dichiarando di volere “un’Europa che funzioni meglio e dove la Germania si convinca che sbaglia anche lei e la smetta con le scelte unilaterali”.
Un avvertimento nemmeno troppo velato, tranchant, in pieno stile PiS. L’euroscetticismo è dietro l’angolo. E per Bruxelles, Berlino e la Bce si prospetta una gatta da pelare abbastanza ostica, che si aggiunge a quella costituita dall’Ungheria.
E non sono da escludere nemmeno scelte autoritarie, o comunque non propriamente dettate da spirito europeo. Questo – sostengono i critici – dipende se la vittoria del PiS è quella delle sue facce nuove, giovani moderati come la capolista e futura premier Beata Szydlo e il presidente Andrzej Duda, o se invece Jaroslaw Kaczynski resta l’eminenza grigia che tutto muove. Ci permettiamo di propendere per questa seconda ipotesi.
Alle spalle dei due partiti battistrada, PiS e PO, divisi dall’abisso del 15% di consensi, si collocano formazioni curiose e piuttosto di natura protestataria. Il terzo partito è quello nazionalista del cantante rock Kukiz, col 9% , segue Nowoczesna, formazione liberal nuova di zecca, che ha sottratto voti a Platforma, col 7,1%, e l’immancabile partito dei contadini (Psl) col 5,2%. Assieme alla sinistra, sotto la soglia di rappresentanza, son finiti “Razem” (altro partito protestatario progressista assimilabile a Podemos), e infine l’ultradestra di Janusz Korwin-Mikke. Il sistema proporzionale assegnerà al PiS avrà 242 dei 460 seggi del Sejm, Platforma si dovrà accontentare di 133.
I nazionalconservatori agiranno quindi a briglie sciolte, senza bisogno di negoziare difficili coalizioni, potendo governare da soli come alla stregua di Viktor Orbàn a Budapest. Dopo tutto, “Portiamo Budapest a Varsavia”, è uno degli slogan del PiS. In Tradizionalismo e forte potere centrale il PiS di Kaczynski è affine alla Fidesz di Orbàn separati però da una sostanziale differenza: l’autocrate magiaro è decisamente filorusso e amico e ammiratore di Putin, mentre il PiS è più ostile che mai al Cremlino.
Come da programma, ci si aspettano alcuni provvedimenti rapidi. In primis, la linea dura coi migranti “portatori di epidemie”. Poi sarà la volta dell’abbattimento di alcune misure di austerity, di alcune riforme dei liberal sconfitti, a cominciare dalla pensione (l’età scenderà dai 67 attuali analoghi alla Germania a 65 anni) e all’istituzione di assegni familiari di 125 euro per ogni secondo figlio, insieme alla generale promessa di più politica sociale. E il bilancio? I conti da tenere in ordine? Chi paga? Il PiS fa spallucce: “finanzieremo le spese con nuove tasse sulle banche”. La parte povera del paese dimenticata, la folla di disoccupati e giovani che partivano per trovar lavoro lontano, lavoratori sottopagati, sono state componenti fondamentali per l’esito di questa tornata elettorale sommata alla mancanza di leader carismatici, dopo che Donald Tusk, popolare premier vincitore nel 2007 e 2011, è diventato presidente dell’esecutivo europeo a Bruxelles.