Il pericolo di ritardi ed errori

Il terrorismo, il radicalismo e i trafficanti di uomini non sono andati in vacanza e questa è stata un’estate che ha continuato a mostrare lacune, ritardi e discussioni su meccanismi che già dovrebbero essere avviati da un pezzo.

L’Europol, per bocca del suo vice direttore Wil van Gemert, intervistato dall’Ansa il 28 Agosto, ha lanciato un allarme molto importante, per quanto esso, in teoria e per logica, è già probabilmente presente nell’immaginario dei servizi di sicurezza e di sicuro è espressamente chiaro sulla pelle della gente. Questi ha messo in guardia su un cambiamento di strategia da parte dell’Isis e su “possibili attacchi con nuovi mezzi e modalità”.

Un esempio riportato dal vice direttore è quello di un possibile ricorso ad auto esplosive stile “Ira”.

L’attentato a Nizza c’è stato il 14 Luglio e per la verità pare che da tempo i kamikaze, i “jihadisti” si facciano saltare in aria con cinture esplosive e usino schiantarsi sugli obiettivi con auto bomba o camion.

Allora bisogna capirsi bene: siamo sicuri che il possibile ricorso ad auto esplosive sia proprio “stile Ira”?

Siamo certi si tratti di un cambio di strategia? O forse, visto che la storia ci racconta di fatti raccapriccianti da tempo, chi dovrebbe garantire la sicurezza è rimasto un po’ indietro?

E’ normale far transitare un camion sulla Promenade des Anglais a a Nizza durante la festa simbolo della Francia (attaccata più volte quest’anno) con tutta la gente in strada? Davvero difficile crederlo. Ma c’è bisogno dell’Intelligence e dell’Europol per comprendere che questa cosa non doveva essere permessa? E’ necessario l’antiterrorismo per supporre che quella strada doveva essere chiusa?

L’Europol (l’Ufficio Europeo di Polizia) ha sede all’Aia e aiuta le autorità nazionali a contrastare le forme gravi di criminalità internazionale e il terrorismo.

Essa conta più di 900 dipendenti e il suo obiettivo è contribuire a rendere l’Europa più sicura, assistendo le autorità di contrasto negli Stati membri dell’UE.

Offre una gamma unica di servizi quali sostegno alle operazioni sul campo,un centro di scambio di informazioni sulle attività criminali e un centro di competenze in materia di contrasto.

L’Europol in sostanza, cerca di far comprendere meglio ai partner nazionali i problemi da affrontare legati alla criminalità internazionale e al terrorismo.

In questo quadro però, non suscita esattamente fiducia il fatto che il suo vice direttore consideri l’utilizzo di  auto bomba da parte di terroristi un cambiamento di strategia dell’Isis, una nuova modalità di muoversi e un terrorismo stile “Ira”.

Su Nizza i servizi di sicurezza francesi e la polizia hanno avuto un black out, ma che il terrorismo jihadista potesse utilizzare un camion per uccidere, poteva essere immaginato con un certo anticipo. L’allarme non sembra essere tanto questo, quanto il fatto che l’Europol consideri nuovo questo modus operandi. Tanti terroristi dell’Ira si sono “formati” in campi di addestramento in Libia e in generale nella zona del Grande Medioriente.

La notizia di oggi è l’uccisione di uno dei massimi esponenti dello stato islamico, Taha Subhi Falha o meglio noto come Abu Mohammad al Adnani al Shami, portavoce dell’Isis.

Nel Settembre del 2014, era lui che invitava a colpire l’Occidente esortando i “combattenti sulla via del jihad” ad attaccare i miscredenti con ogni mezzo, avvelenando, strangolando, investendo con auto e attaccando anche con un solo coltello. Insomma, uccidere è stato il comandamento.

A quanto pare senza il bisogno di andare troppo in là negli anni, l’utilizzo di macchine e camion per far fuori le persone non è poi una strategia tanto nuova.

Il problema semmai è come prevenire questi attacchi e allora è di prevenzione dunque che si dovrebbe parlare.

L’intervista prosegue e si parla dei flussi migratori; Gemert afferma che è possibile che in passato e lo scorso anno alcuni terroristi dell’Isis si siano infiltrati sui barconi e siano entrati nei paesi sottraendosi ai controlli.  Ma  ora gli esperti di Europol stanno facendo fronte al problema negli hotspot di Grecia e Italia attraverso dei controlli secondari.

Ora? C’è di che scandalizzarsi.

Era il Gennaio del 2014 quando Cecilia Malmostrom, l’ex Commissario Europeo per gli Affari Interni, lanciava un monito molto importante, affermando che gli stati europei erano a rischio di attacchi terroristici da parte di quei jihadisti, giovani europei e anche americani andati a combattere in Siria contro Bashar Al- Assad. “Questi combattenti della guerra santa” affermava la Malmstrom, “che non hanno niente a che fare col vero islam, si trasformano in potenziali e pericolosi terroristi una volta rientrati in patria. I cittadini europei diventano ancora più radicalizzati, vengono addestrati e poi tornano indietro facendo parte di un movimento jihadista globale che ha come obiettivo l’Europa.”

Si tenga presente che tale allarme era fin troppo tardivo rispetto alla realtà dei fatti e la realtà era ed è che già da tempo questo flusso era preparato, previsto e in movimento. Almeno dall’esplodere delle Primavere Arabe.

Nel frattempo Europol dov’è stata? La Legislazione europea cosa guardava? La politica estera europea su cosa s’impegnava? Sicuramente come afferma il vice direttore è interesse dell’Isis creare tensioni sui migranti, ma visto che tanti in entrata non hanno documenti di riconoscimento, si può dire che per un terrorista proveniente da fuori ma che torna in Europa, la strada un po’ meno complicata e pericolosa tanto quanto una guerra combattuta in Siria o Iraq, potrebbe essere giungere via mare.

E’ interesse dell’Europa sviluppare una strategia comune sulla questione degli sbarchi e dei mercanti di uomini; si consideri che si è posto termine alla rotta dei Balcani attraverso l’innalzamento di muri e reti e con un accordo quanto meno discutibile con la Turchia.

Ciò non è stato certo frutto della più alta espressione della politica estera e interna europea.

Dov’è la ripartizione proporzionata dei profughi? Dov’è quella lungimiranza della politica che permette di governare gli eventi piuttosto che trattarli come emergenze e dunque subirli?

I barconi partono ora per la maggior parte da Egitto e Libia. La Libia è di nuovo nel caos a causa del voto contrario al governo di Unità Nazionale di Al Sarraj. Ad opporsi sono stati i deputati fedeli al generale Haftar, a sua volta sostenuto dal generale/presidente Al Sisi. In politica estera Al Sisi pare dunque curi i suoi affari in Libia come altrove, a dispetto anche della Comunità Internazionale.

Ma se i barconi partono anche dall’Egitto, che sia interesse del Generale stesso non fermarli?

Cosa fa allora l’Europa per controllare l’integralismo e i flussi migratori? Sostanzialmente si guarda intorno, vede i danni che ha causato e cerca di riparare con estremo ritardo.

Ma certo questo non è prevenire, questo non è governare.