L’Italia, tra zakat, hawala, “islamic windows” e moneygram
La diffusione del radicalismo islamico sunnita (Wahabismo, Salafismo e Takfirismo) non è un fenomeno che, come si è visto nei due articoli precedenti, riguarda esclusivamente il Kosovo o più in generale i Balcani; si è presa ad esempio la zona dell’autoproclamata Repubblica poiché per ciò che concerne tale aspetto è il punto di paragone più negativo e minaccioso attualmente in essere. In realtà anche l’Italia non è esclusa da tale scenario.
Per trattare questo argomento non si può non prendere in considerazione la finanza islamica e i modi attraverso i quali i finanziamenti finalizzati alla diffusione di un credo fondamentalista giungono da noi. Penetrazione economica e culturale vanno insieme, anche se dalla prima non si può prescindere e precede di qualche passo la seconda; purtroppo molto spesso, nel mondo in generale e vicino a noi, a Parigi come a Bruxelles, i flussi di denaro hanno sponsorizzato azioni terroristiche.
Diventa allora fondamentale contenere, controllare, spiegare e tracciare i finanziamenti all’Islam.
Ultimamente in Italia per stare al passo con altri paesi come l’Inghilterra, la Germania e la Francia, si parla di aprire il nostro sistema alla finanza islamica perché porta tanti soldi; ma in realtà è anche vero che è veicolo dell’Islam fondamentalista.
La finanza occidentale è sostanzialmente laica e affidata al libero mercato (fin troppo privo di regole); la laicità è un valore, lo Stato deve essere laico. La finanza islamica invece si fonda su principi etico-religiosi, sui cinque pilastri del Corano. La componente religiosa, soprattutto sunnita, in questa porzione di mondo è profondamente intrinseca alla sfera politica, economica, sociale e normativa. Anche un buon cristiano è colui che si prodiga per il prossimo nella vita di tutti i giorni, ma la filosofia e la storia ci hanno insegnato a legare la religione alla sola sfera privata della persona. La Legge Islamica invece non si limita soltanto a orientare la sfera privata dell’uomo nel suo rapporto con Dio, ma disciplina anche la vita pubblica e certamente anche i settori dell’economia e le norme giuridiche. Ne risulta che in linea generale l’insieme delle mansioni e delle transazioni economiche-finanziarie del mondo islamico è influenzato dalle fonti giuridiche dell’Islam: il Corano, la Sunna (gli atti e i detti del profeta Maometto), l’Ijma (il consenso dei dotti) e il Qiyas.
Si può affermare dunque senza demonizzare, aldilà di tutte le differenze tecniche e amministrative che un’impostazione del genere può creare all’interno dei circuiti bancari, che di fatto la finanza islamica esporta la Shari’a; le banche islamiche offrono strumenti finanziari in armonia con la Shari’a.
Ciò vuol dire che aprirsi a tale sistema comporta accettare l’idea di uno stato e di un mercato non laici all’interno di ordinamenti laici.
I soldi sono molti ma bisogna anche confrontarsi con dei principi e con la storia.
I maggiori centri finanziari islamici oggi sono nel Golfo Persico e in Malesia. I principali gruppi a livello mondiale hanno sedi legali alle Bahamas e uffici per l’Europa; la maggior parte di essi hanno origine saudita.
Non ci può essere dubbio alcuno che una rete finanziaria internazionale di tale genere, conoscendo l’attivismo anche poco pulito dei sauditi a livello geo-politico, costituisca un ulteriore veicolo di diffusione del Wahabismo e dell’influenza saudita nel mondo.
Inoltre se un musulmano di prima, seconda o terza generazione fa ricorso a “Islamic Windows” o proprio a strutture finanziarie islamiche nel paese in cui ha deciso di vivere, potrebbe non essere così errato il sospetto che non vi sia una vera politica volta all’integrazione, in quanto il discorso non è soltanto aprirsi e dare/ricevere opportunità, ma bisogna anche valutare quale idea di società si vuole imprimere, quali principi si vogliono veicolare e a quale tipo di Stato civile si vuole “educare”.
L’Inghilterra è un polo finanziario importantissimo e nel 2004 la Financial Service Authority (ente di controllo sulle aziende bancarie e finanziarie) ha concesso alla Islamic Bank of Britain, che offre servizi in linea con la Shari’a, la licenza di operare nel Regno Unito: fattore oggettivamente positivo se si pensa alla mole di denaro che transita e all’opportunità di attrarre ricchezze e investimenti; molto positivo dare delle norme e quindi controllare un sistema, ma è tutto oro quel che luccica?
Aprire anche solo “Islamic Windows” ossia degli sportelli, delle aree che offrono prodotti finanziari islamici all’interno di banche convenzionali “occidentali” può andare, sebbene, senza scendere nei particolari, ci siano dei meccanismi che devono essere concordati tra gli istituti e tra le banche centrali (“no obstacles, but no special favours”), ma non ci si scordi dei principi e della laicità, del concetto d’integrazione, di cittadinanza e dell’idea di Stato, perché altrimenti poi diventa impossibile e ridicolo anche solo tentare di giustificare un intervento armato per “esportare la democrazia” (argomentazione già opinabile di suo).
In Italia, nei settori di competenza compreso in Parlamento, la discussione sul da farsi sembra essere in alto mare sebbene l’Abi si sia espressa con piacere nei confronti di “Joint Venture”; però attenzione, non si pensi solo all’opportunità di attrarre capitali.
Il terrorismo Islamico è finanziato da una complessa rete di banche, individui, società di comodo, ong e i flussi di denaro seguono spesso strade complicate e difficili da scovare, anche solo per come la rete degli istituti di credito islamici è concepita. Inoltre la trasparenza bancaria in molti paesi non è funzionale.
Il libro “Kosovo: un paese al bivio-Islam, terrorismo, criminalità organizzata: la nuova Repubblica è una minaccia?” di Roberto Magni e Luca Ciccotti, racconta bene come non poche volte si sono scoperte banche che avevano finanziato il terrorismo aderendo ai sistemi della “zakat” e partecipando dei guadagni di alcune imprese. Lo stesso Bin Laden, consapevole della necessità di finanziamenti affidabili, acquistò una banca Islamica denominata “Al Shamal Islamic Bank” appoggiata dai ricchissimi uomini d’affari sauditi Saleh Abdullah Kamel e Adel Abdul Jalil Batterjee e dal principe saudita Moahammad al Faisal, che fornì finanziamenti per operazioni terroristiche.
Tale rete di sportelli bancari utilizzava le linee operative simili al tradizionale sistema “hawala”.
L’hawala e le banche islamiche sono governate dalla Shari’a: il primo sistema è controllato dalle autorità religiose locali e si basa su una rete di persone fidate appartenenti allo stesso gruppo etnico, clan e parentele, mentre le banche islamiche sono sottoposte alla supervisione di un ente, lo “Sharia’a Supervisory Board” che ha lo scopo di conciliare il profitto coi precetti religiosi del Corano.
Come si è visto, la zakat e il sistema hawala sono due elementi fondamentali attraverso i quali in Kosovo passano i finanziamenti per il reclutamento di jihadisti e per la diffusione del radicalismo islamico; se come è vero, che la finanza islamica, le ong islamiche, le associazioni riconosciute e non, i centri culturali e le moschee (legali e illegali) sono sul suolo italiano, anche questi due sistemi per forza di cose non ci sono estranei in quanto lo stesso funzionamento dei moneygram si applica bene sia alla zakat che all’hawala.
Si ricordi che la zakat è il terzo pilastro dell’Islam e prevede di destinare una parte del proprio reddito annuo in opere di carità per far fronte alle esigenze di tutti i membri della comunità. Se l’intento è buono può non esserlo chi si nasconde dietro a quel mezzo e può anche accadere che solo una parte dei membri di una qualsiasi ong o associazione che riceve denaro sia coinvolta in attività di terrorismo e proselitismo fondamentalista. Dopo l’11 settembre si è scoperto che diverse banche si erano macchiate di aver aiutato Al-Qaeda a trasferire fondi attraverso il sistema della zakat.
L’hawala invece è un sistema informale, è un circuito di trasferimento di valori basato sulle prestazioni e sull’onore di una rete di mediatori.
Per metterlo in moto sono necessari quattro attori, per esempio: A (l’ordinante) che deve trasferire dei soldi a B (il beneficiario) che sta in Kosovo; poi servono altri due individui che fanno da intermediari e che chiameremo A1 e B1, i cosiddetti “hawaladar” che prendono una commissione per ogni transazione eseguita. Dunque A deposita la somma da recapitare nelle mani di A1 (un hawaladar locale); A1 provvede a contattare un suo affine, B1, in un altro paese; B1 farà arrivare l’importo stabilito a B, il destinatario finale. Nell’atto del primo deposito per non incorrere in intercettazioni fuori dal circuito dell’hawala, si usano parole d’ordine o si acquisisce un oggetto da consegnare durante i diversi passaggi. Invece A1 e B1, gli hawaladar compenseranno nel loro paese di origine il loro debito/credito. Dato il suo funzionamento, l’hawala presuppone per forza piccoli gruppi legati tra di loro da vincoli religiosi, di onore e etnia. Sempre dopo l’11 Settembre 2001 in alcuni paesi il sistema di trasferimenti hawala è stato dichiarato illegale perché in esso c’è l’effettiva possibilità che si trasferiscano fondi in modo anonimo (si perdono le tracce dell’origine reale del denaro attraverso avanzati meccanismi di stratificazione dell’importo) e sia perché offre la possibilità di riciclare denaro.
Quest’ultimo si adatta bene anche al sistema dei moneygram ampiamente diffuso in Italia.
Per inviare soldi servendosi di un qualsiasi moneytransfer non è necessario avere alcun conto corrente. I clienti devono presentare un documento valido, la cui copia, insieme ai dati del trasferimento, ai dati del ricevente e a quelli dell’agenzia di contatto verranno conservati per dieci anni. In base a quanto riportato sul sito di Poste Italiane (www.poste.it) si possono inviare e ricevere massimo 999.99 euro ma è possibile compiere più transazioni. A riguardo, tramite un software di controllo in automatico, il moneygram verifica che al momento del trasferimento non si superino i limiti di denaro consentiti per legge.
Il servizio dei moneytransfer è controllato “a monte” da due circuiti storici a livello internazionale e sono le multinazionali Western Uonion e Moneygram e grazie ad essi si può arrivare ovunque anche se non ci sono sportelli bancari. Se da una parte questo può essere positivo, da un punto di vista della tracciabilità chiaramente non lo è.
I livelli di operatività per i moneytransfer sono tre: ai vertici della catena ci sono le multinazionali che gestiscono il sistema, poi gli agenti operanti a livello intermedio nei diversi paesi in base alle apposite convenzioni e infine i sub agenti che sono il contatto con la clientela.
Questo sistema presenta dei punti deboli e insieme alla zakat e all’hawala, comporta potenziali possibilità di finanziamento al radicalismo islamico e di riciclaggio di denaro sporco, proprio perché sono meccanismi che non si prestano al controllo dei flussi finanziari.