Italia e finanziamenti islamici: norme di controllo su ONG e associazioni
Al fine di comprendere le buone intenzioni di chi fa donazioni o trasferisce soldi è necessario poter controllare da chi arriva il denaro e gli obblighi che una normativa di Stato impone affinché i soggetti che si macchiano di reato possano essere perseguiti.
Ci sono alcuni sistemi che forzando e mascherando riescono spesso a eludere i controlli.
I moneytransfer si prestano purtroppo a tali incognite perché hanno dei punti deboli.
Innanzitutto parliamo di multinazionali che traggono ricavi dalle rimesse e sebbene la normativa italiana con la legge 231/2007 faccia rientrare questa categoria tra gli “intermediari finanziari” e la obblighi a denunciare operazioni sospette all’Uif (Unità d’Informazione Finanziaria istituita sempre con decreto 231/2007), tali segnalazioni devono passare prima per i sub agenti e poi per i sistemi centrali dei moneygram.
Secondo, i versamenti possono essere frazionati: basta avere la complicità di persone che si presentano con un altro documento, con documento o codice fiscale falsi o prestanome direttamente; terzo, il sistema opera in paesi dove spesso non esistono normative antiriciclaggio e obblighi per gli intermediari finanziari. Infine, i sub agenti possono sia inconsapevolmente che con complicità concorrere all’effettuazione di trasferimenti frazionati di ingenti disponibilità a mezzo anche di soggetti inesistenti. In questo circuito si ricordi, non serve avere un conto corrente intestato all’ordinante e al beneficiario e questo perché proprio il sistema della rimessa è funzionale a quelle persone in genere non incluse nel sistema finanziario tradizionale.
Il sistema dell’hawala si incastra bene nei meccanismi dei moneytransfer. Di fatto è difficile risalire a chi invia denaro in Italia e viceversa.
Non a caso nell’audizione alla Camera dei Deputati-Commissione VI-Finanza, il direttore dell’Uif, Clemente Claudio, il 19 Aprile 2016 affermava che sebbene in Italia fossero censiti in forma ufficiale 28 Money Transfer Operators (MTO), registrati in apposito registro tenuto dalla Banca d’Italia, dal quadro della Direzione Nazionale Antimafia e dalle indagini della Guardia di Finanza sono emerse 410 agenzie di money transfer abusive e in piena attività. In questi esercizi sono state eseguite 280 mila operazioni per il valore di 88 milioni di euro trasferiti all’estero senza verifiche.
Ne esce una rete fuori controllo capace di contare su una distribuzione tre volte più ampia rispetto a quella delle Poste Italiane S.p.a; un vero e proprio sistema bancario parallelo con punti di raccolta abusivi posti all’interno di tabaccai, internet point, cartolerie, etc.
Nell’audizione del direttore dell’Uif si sottolinea infatti la saggia decisione, sostenuta anche dall’Unità di Informazione Finanziaria, di escludere almeno il servizio di rimessa di denaro dal generale innalzamento a 3 mila euro sull’uso del contante previsto nella Legge di Stabilità del 2016 (in favore del suo mantenimento a mille euro).
I casi di cronaca parlano chiaro. A fine Settembre 2016 il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Franco Roberti in audizione alle commissioni riunite Affari Costituzionali e Giustizia della Camera, ha affermato che dopo gli attentati di Parigi, seguendo i moneytransfer si è ricostruita una rete che è partita da uno degli attentatori della capitale francese ed è finita in Italia. Da qui il flusso di denaro ha proseguito per altri soggetti in Italia e all’estero.
Altro nodo significativo nel nostro paese è rappresentato dalle innumerevoli associazioni islamiche di non nota natura e non registrate negli appositi canali. Censire tutto il territorio non è certamente possibile, ma è bene concentrarsi su alcuni punti importanti.
E’ noto che molte ong e associazioni in Kosovo facciano proselitismo, arruolamento e diffondano il radicalismo islamico in genere e in particolare il Wahabismo saudita e il Salafismo.
L’Italia non è al di fuori di questo problema poiché ovviamente si hanno anche qui ong islamiche; la questione è valutare quali mezzi ci sono per controllare i flussi di denaro che chiaramente arrivano per la maggior parte dall’estero.
La strage di Dacca di Luglio 2016 la dice lunga su questo: i finanziamenti per l’atto terroristico sono passati per le innumerevoli ong e associazioni islamiche residenti sul territorio.
Non si vuole fare allarmismo, ma semplicemente una considerazione su quanto è controllabile in Italia rispetto agli altri paesi e sui mezzi a disposizione.
In Italia sia le prefetture che l’Agenzia delle Entrate hanno dei registri dove poter cercare i nomi delle associazioni con e senza personalità giuridica, delle ong (anche straniere operanti in Italia), di fondazioni e di onlus in generale; ma ci sono dei vuoti rimarchevoli.
Innanzitutto solo alcune prefetture hanno pubblicato il registro delle persone giuridiche operanti in quella città; però il nocciolo della questione sta nel fatto che se a un’associazione non interessa vedersi riconosciuta la personalità giuridica, non ha l’obbligo di registrarsi presso il registro delle persone giuridiche tenuto dalla Prefettura. Sarà per questo che dal registro della Prefettura di Roma non compaiono associazioni come “Masjid Bayt Ul Mukarram”, “Salaam Palace”, Masjeed E-Quba”, Masjid Al Aksa Jame” , “Centro Culturale Islamico Baitul Hamd” e un’altra dozzina o come dal registro della Prefettura di Firenze non compaiono né il Centro Culturale Islamico, né il Centro Islamico.
Non si vuole insinuare nulla di male o che in tali sedi si faccia qualcosa di non chiaro, però un problema lo Stato ce l’ha sul territorio: non essendoci un obbligo di registrazione, non tutte le associazioni compaiono subito a prima vista, perciò il controllo può sfumare sia sotto un profilo amministrativo che economico legato ai finanziamenti e ai flussi di denaro che questi enti presumibilmente percepiscono per stare in piedi e aperti.
Una seconda questione da porre in evidenza riguarda invece l’Iscrizione all’Anagrafe delle onlus presso l’Agenzia delle Entrate. Ogni Regione ha una lista lunghissima di associazioni operanti negli ambiti più diversi; ma il regolamento afferma che le associazioni, i comitati e gli enti con o senza personalità giuridica possono usufruire di rilevanti agevolazioni fiscali se fanno richiesta d’iscrizione all’Anagrafe delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (onlus) presentando comunicazione all’Agenzia delle Entrate. Tale adempimento vale anche per le ONG in base alla legge 125/2014 sulla Cooperazione Internazionale.
E’ lecito dedurre che nel caso in cui un ente non fosse interessato a godere di queste particolari agevolazioni e non svolga attività imprenditoriale, non abbia l’obbligo di iscriversi in tale registro?
Un altro piccolo ma significativo vuoto che offre implicitamente la possibilità ad un’associazione culturale o ad una ong di non essere né sul registro della prefettura né nell’anagrafe delle onlus.
Sarà anche per questo che tra le migliaia di onlus presenti in Lombardia è registrata la ong “Islamic Relief” con sede in Via Ludovico d’Aragona 10, Milano, ma non compaiono altre associazioni sicuramente meno grandi come “Associazione Culturale Al Nur”, “Moschea Miriam”, “Moschea “Dar al Qura’An”, etc.
L’Italia non è certo il Kosovo per il numero di ong islamiche presenti nel paese, ma un altro dato s’impone all’attenzione.
E’ noto da tempo che le organizzazioni non governative possono celare dietro la loro facciata umanitaria un lato oscuro che nasconde intenti minacciosi realizzati attraverso finanziamenti volti alla diffusione di un Islam radicale, reclutamenti di foreign fighters e potenziali atti terroristici.
In Italia c’è una legge importante la 231/2007,Decreto Legislativo concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, che fissa dei punti fondamentali. Definisce il concetto di riciclaggio e di finanziamento al terrorismo e istituisce presso la Banca d’Italia l’Unità d’Informazione Finanziaria per l’Italia (Uif). In breve, essa ha il compito di analizzare i flussi i finanziari al fine di individuare e prevenire fenomeni di riciclaggio di denaro e finanziamento al terrorismo, riceve le segnalazioni sospette provenienti da determinati soggetti e compie analisi finanziarie. Lavora in stretto contatto con il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria (NSPV) della GdF e con la DIA, Direzione Investigativa Antimafia.
Il Decreto inoltre indica i destinatari della legge, fissando per loro l’obbligo di denunciare qualsiasi operazione sospetta.
Questo è un nodo centrale perché se chi di dovere non si attiene a tale imposizione è punito e perseguito.
Il problema è che tra queste categorie non compaiono né ong e né associazioni, quando a oggi è dimostrato che sono potenziali veicoli di finanziamenti poco chiari.
Le categorie citate nella legge sono in generale gli intermediari finanziari, i professionisti (avvocati, notai, commercialisti, caf e patronati), i revisori contabili, altri soggetti quali enti che hanno attività di recupero crediti per conto terzi, trasporto di denaro contante, gestione di case da gioco, etc. Per tutti questi vi è l’obbligo di adeguata verifica della clientela e di segnalazione di operazioni sospette.
Per le associazioni e le ong non è previsto un impegno del genere; in più, umanamente parlando, è pur ragionevole che se un’associazione riceve soldi dall’estero, anche se da una fonte non proprio chiara, non è per forza scontato che gli amministratori si pongano un dubbio morale di verifica.
Bisogna per altro avere una preparazione adeguata per sviluppare una certa sensibilità e non è per forza detto che colui che apre un centro culturale, magari senza la velleità di avere il riconoscimento della personalità giuridica e senza l’urgenza di usufruire di agevolazioni fiscali ce l’abbia (perché forse il denaro che arriva è sufficiente).
Inoltre, come il libro precedentemente citato c’insegna, “Kosovo: un paese al bivio” (di Luca Ciccotti e Roberto Magni), spesso non tutti i membri di un ente sono a conoscenza del fine illecito dei flussi di denaro in quanto solo alcuni possono essere jihadisti infiltrati.
Il panorama normativo italiano di fatto presenta alcune lacune che dovrebbero essere colmate visto che il nostro paese è esposto a un flusso d’immigrazione costante, che da tempo si lanciano allarmi su infiltrazioni di mujaheddin tra coloro che scappano da paesi africani e mediorientali in guerra e visto che se per un jihadista, anche solo reclutato in Italia, è piuttosto facile infiltrarsi in associazioni varie, non è semplice farlo per chi un crimine lo deve svelare per prevenire.
Seguire le tracce dei flussi di denaro è complicato; in Italia rispetto al Kosovo ci sono persone di altissimo profilo che svolgono quotidianamente un lavoro duro, ma il sistema anche attraverso le norme, deve garantire il controllo su tutto ciò che a oggi può essere una potenziale minaccia.
Il problema non riguarda soltanto l’Italia, ma è anche la poco lungimirante politica estera europea ad essere indietro di anni.