a cura di Giuseppe Camera

Proseguiamo nella pubblicazione di una serie di contributi in tema di “ne bis in idem”, facendo seguito al precedente contributo del 21 dicembre 2021.

2. L’ART. 4, PROTOCOLLO 7 DELLA CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO (CEDU)

Il principio del ne bis in idem, come già anticipato, è sancito, a livello convenzionale, dall’art. 4 Protocollo n. 7 annesso alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo1.

Rubricato “Diritto di non essere giudicato o punito per due volte”, esso prevede:

1. Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato.

2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge ed alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta.

3. Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell’articolo 15 della convenzione” Tale garanzia pone dunque il divieto, per la giurisdizione di un medesimo Stato contraente, di processare o punire penalmente un soggetto per uno stesso fatto illecito in relazione al quale questi sia stato già assolto o condannato a seguito di sentenza penale divenuta definitiva2.

La disposizione in esame, compendiando la tradizione anglosassone e quella continentale3, concentra in una unica disposizione l’anima processuale e sostanziale del ne bis in idem, ovvero il divieto di subire un doppio procedimento ed il divieto di irrogare più sanzioni per il medesimo fatto4.

È interessante evidenziare il fatto che il principio del ne bis in idem sia stato incluso nella lista di cui all’art. 15 della Convenzione, accanto al diritto alla vita, al divieto di tortura, al divieto di schiavitù ed al principio di non retroattività della legge penale, che elenca i diritti inderogabili anche in caso di guerra o di altro pericolo che minacci la vita della nazione: “scelta dall’altissimo valore politico, che ne sugella l’efficacia incondizionata ed il valore assoluto”5.

Per quanto riguarda la portata “territoriale” della garanzia convenzionale, essa opera esclusivamente all’interno dei singoli sistemi nazionali degli Stati contraenti così come suggerisce la lettera dell’art 4 nella parte in cui afferma “Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato”; essa, in definitiva, non vieta un doppio processo ovvero una doppia condanna quando si tratta di giurisdizioni di Stati diversi.

2.1 (Continua) L’AMBITO DI APPLICAZIONE DELL’ART 4 DEL PROTOCOLLO 7 CEDU: LA NOZIONE DI “MATIÈRE PÈNALE” E I CRITERI “ENGEL”

Costituisce ormai ius receptum l’assunto secondo il quale il principio del ne bis in idem convenzionale vincola tutti gli ordinamenti aderenti alla Cedu6.

Da una semplice interpretazione letterale del testo dell’art 4 del Protocollo 7 si evince chiaramente che la garanzia del ne bis in idem si applica alla “materia penale”.

Risulta dunque di fondamentale importanza chiarire cosa si intende per “materia penale” e per “reato” in ambito convenzionale, qualificazioni che fungono da presupposto per l’applicazione delle garanzie previste dall’art 6 Cedu (diritto ad un equo processo).

Il testo dell’art 6 della Convenzione fa riferimento al processo civile e penale, ma non prende in considerazione i procedimenti amministrativi che si concludono con l’adozione di un provvedimento di natura sanzionatoria.

La omissione letterale non si risolve, però, in una esclusione aprioristica dal momento che la Corte ha riconosciuto, a partire dal caso Ferrazzini c. Italia del 2001, la natura di living instrument della Convenzione, e quindi la possibilità di interpretarla in conformità con l’evoluzione sociale.

Ed infatti per riconoscere in una disciplina formalmente amministrativa, o, in generale, appartenente ad altra branca dell’ordinamento, i tratti distintivi della materia penale7, la Corte EDU ha accolto una qualificazione sostanzialistica della natura penale della sanzione.

La Corte, in particolare, non si limita a prendere atto di come l’ordinamento nazionale qualifichi formalmente una determinata sanzione, ma guarda piuttosto alla sua natura sostanziale, al fine di appurare se abbia, o meno, il carattere afflittivo tipico della sanzione penale.

A tal fine la Corte di Strasburgo ha precisato quale sia l’accezione di “accusa penale” nell’ambito della Convenzione, riconoscendole significato “autonomo” rispetto a quello attribuito alla stessa nei singoli Stati membri8.

“L’esistenza di una “accusa penale” è in verità conseguenza della tipologia della sanzione irrogata”9 e la definizione dei criteri per qualificare il tipo di sanzione prende le mosse da una celebre e fondamentale sentenza del 8 giugno 1976: Engel e altri c. Paesi Bassi.

In quel caso la Corte di Strasburgo era stata chiamata a pronunciarsi in tema di sanzioni militari di carattere detentivo, qualificate, nell’ordinamento dei Paesi Bassi, come disciplinari, e, sulla base di tre criteri, oggi chiamati criteri Engel, ne ha riconosciuto il carattere sostanzialmente penale. I criteri definiti dalla Corte sono alternativi e non cumulativi: è sufficiente che sussista uno dei tre perché la sanzione possa essere qualificata come penale10; essi, inoltre, prescindono dal necessario riferimento all’incidenza sulla libertà personale, definita quale bene comprimibile attraverso la sola pena detentiva11.

Il primo criterio è di tipo formale e fa riferimento alla qualificazione giuridica che una sanzione riceve nell’ordinamento nazionale12.

Il secondo ed il terzo sono invece di matrice sostanziale: la natura della violazione, determinata mediante lo scopo punitivo, deterrente e repressivo, e il grado di severità della stessa, con particolare riguardo al massimo edittale, ossia alla particolare intensità del malum infliggibile13.

Per quanto attiene al primo criterio, che riguarda la natura dell’illecito, la Corte di Strasburgo ritiene la qualificazione giuridica della misura sanzionatoria secondo il diritto nazionale non decisiva “ai fini della applicabilità del profilo penale dell’articolo 6 della Convenzione, in quanto le indicazioni fornite dal diritto interno hanno valore indicativo14, ed inoltre, secondo la giurisprudenza Engel, il ricorso, da parte degli Stati,  al diritto penale, considerato extrema ratio, non può essere oggetto di sindacato da parte delle corte; al contrario, invece, la scelta di non ricorrere formalmente al diritto penale, è considerata sindacabile da parte della Corte per evitare che la forma nasconda una sostanza diversa15.

Quanto detto fin ora si evince con chiarezza dal contenuto della pronuncia riguardante il caso Engel, nella parte in cui la Corte statuisce:

Se agli Stati contraenti fosse concesso di classificare a loro discrezione un illecito come disciplinare invece che penale, o di perseguire l’autore di un illecito di carattere misto sul piano disciplinare anziché penale, l’applicabilità di disposizioni fondamentali come gli articoli 6 e 7 risulterebbe subordinata alla loro volontà sovrana.

Una tale ampia possibilità di scelta risulterebbe incompatibile con gli obiettivi e il contenuto della Convenzione.

La Corte dunque, ai sensi degli articoli 6 nonché 17 e 18, ha competenza a stabilire da sé se la materia disciplinare non invada in realtà la sfera del penale.In breve, l’autonomia del concetto di materia penale opera senso unico16

Per quanto riguarda il secondo criterio, la Corte ha stabilito che la sanzione deve vere uno scopo punitivo, deterrente repressivo.

Nell’interpretazione della Corte EDU l’accertamento del giudice dovrà fondarsi anche sui seguenti, ulteriori, fattori: 1) i destinatari della sanzione, dal momento che quando la stessa è rivolta ad una pluralità indefinita di soggetti, essa è qualificabile di carattere “penale”; 2)lo scopo della norma, essendo decisiva ai fini della qualificazione penale di una sanzione il fine repressivo e punitivo della stessa; 3) il bene giuridico tutelato dalla norma, nel senso che una disposizione nazionale, avrà le caratteristiche della “materia penale”, quando essa sarà posta a presidio di beni giuridici normalmente afferenti la branca penale dell’ordinamento.

Il terzo criterio attiene a livello di severità della sanzione, dal momento che l’entità della sanzione, considerata nel suo massimo edittale, è spia del disvalore che l’ordinamento attribuisce alla condotta sanzionata.

Con specifico riferimento al criterio dello “scopo” della sanzione, a partire dal noto caso Welch c. Regno Unito del 1995, la Corte ha stabilito che la finalità punitiva può concorrere con una finalità secondaria di tipo ripristinatoria, non richiedendo il carattere esclusivo della prima17.

In definitiva, la Corte di Strasburgo, forgiando una nozione autonoma di “materia penale”, ha conferito all’art. 4 Protocollo 7 CEDU una forza operativa tale da porre in discussione interi sistemi sanzionatori caratterizzati da un doppio binario18, penale e amministrativo, come quello del market abuse o degli illeciti tributari, i quali, senza l’interpretazione estensiva della nozione di “materia penale”, sarebbero risultati sostanzialmente intangibili19.

2.2 (Continua) LA CORTE EDU SUI CONCETTI DI “BIS” E “IDEM”

Il requisito oggettivo, per la applicazione dell’articolo 4 Protocollo n.7 CEDU, consiste nella identità dei reati, e di conseguenza dei procedimenti (idem).

In merito alla sussistenza di tale requisito(idem), la Corte non ha avuto, nel tempo, un orientamento stabile e ciò ha generato, di conseguenza, vari dubbi ed incertezze applicative.

In particolare erano emerse tre distinte vie interpretative:

  1. La prima era tesa ad enfatizzare il concetto di identica “condotta” (idem factum), in una accezione naturalistica slegata da qualsivoglia qualificazione giuridica20
  2. La seconda era volta a valorizzare la circostanza per cui da una identica condotta materiale potessero discendere una pluralità di sanzioni (c.d. concorso formale di reati), le quali potevano essere accertate anche in giudizi separati21
  3. La terza si focalizzava sugli elementi dei diversi illeciti, al fine di escludere che diverse sanzioni fossero sostanzialmente le medesime, con una conseguente illegittima duplicazione delle stesse22

La Corte è intervenuta per dipanare il contrasto interpretativo, al fine di perseguire i principi della certezza, prevedibilità ed equità del diritto23, con la già richiamata sentenza Zolotoukhine.

La Grande Chambre, nel caso specifico, ha stabilito che affinché il divieto di bis in idem, contenuto nell’art 4 del Protocollo n. 7 CEDU, possa essere operativo è necessario che i fatti oggetto del secondo procedimento siano identici o sostanzialmente uguali24.

Pertanto, dopo il “leading case” Zolotoukhine in materia di idem factum, la Corte EDU, prendendo in considerazione unicamente l’identità del fatto e non anche quella degli elementi costitutivi degli illeciti o del bene giuridico tutelato, ritiene che nella sua valutazione complessiva sarà necessario e fondamentale appurare se i fatti siano i medesimi o sostanzialmente uguali, ossia un insieme di circostanze fattuali concrete, strettamente legate tra loro nel tempo e nello spazio.

Per quanto riguarda il concetto di bis, costituisce violazione dell’art 4 del settimo Protocollo CEDU la semplice apertura di un secondo procedimento nei confronti della stessa persona, già giudicata con provvedimento definitivo, a prescindere dalla circostanza che si concluda con una pronuncia favorevole all’accusato25.

La norma non vieta l’instaurazione di procedimenti concorrenti, in quanto, in questa circostanza, non si riscontrerebbe il presupposto della definitività della decisione26, tuttavia, nella circostanza di procedimenti concorrenti, per non incorrere nel divieto di bis in idem, la Corte ritiene necessario che il secondo procedimento venga interrotto al passaggio in giudicato della decisione riguardante il primo procedimento27. (segue)


1 Firmato a Strasburgo il 22 ottobre 1984 e ratificato dall’Italia con legge n. 98/1990, ma non da tutti gli Stati membri del Consiglio d’Europa , quali la Germania , Il Belgio , i Paesi Bassi e il Regno Unito.

2 Cfr. ZAGREBELSKY- V. CHENAL- L.TOMASI, Manuale dei diritti fondamentali, Bologna, 2016, 223-224.

3 F. GIULIANI- G. CHIARIZZA, Diritto tributario, CEDU e diritti fondamentali dell’U.E., Milano, 2017, p 196

4 Corte EDU, Franz Fischer c. Austria, 29 maggio 2001, n. 37950/97 , § 29

5 Cit. S. ALLEGREZZA, Sub Art. 4 Prot. n. 7 CEDU, in AA.VV., Commentario breve alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, a cura di S.BARTOLE- P. DE SENA- V. ZAGREBELSKY, Padova, 2012, p. 895;

6 N.MADÌA, Ne bis in idem europeo e giustizia penale cit., p. 31

7 N.MADÌA, Ne bis in idem europeo e giustizia penale cit., p. 33

8 M.MANCINI, La “materia penale” negli orientamenti della Corte EDU e della Corte Costituzionale, con particolare riguardo alle misure limitative dell’elettorato passivo, in federalismi.it, 1/2018

9 E.BINDI- A.PISANESCHI , Sanzioni CONSOB e Banca d’Italia , Procedimenti e doppio binario al vaglio della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Torino , 2018 , p 54.

10 Nondimeno, un approccio cumulativo è sempre possibile quando l’analisi separata di ciascun criterio non permetta di raggiungere conclusioni chiare circa l’esistenza di una “ accusa in materia penale” Cfr. Corte EDU, Grande Chambre, 23 novembre 2006 , ric n. 73053/01, Jussila c. Finlandia §§ 30 e 31.

11 Sull’argomento, si rinvia all’analisi di A.GAITO, La progressiva trasfigurazione del ne bis in idem, in Arch. pen. web., 1, 2019, p. 7 ss.

12 Come ha precisato L.MASERA, La nozione costituzionale di materia penale, Torino, 2018, p.44 questo criterio è stato puntualizzato e riempito di contenuto nella sentenza della Corte EDU, Grande Camera, 21 febbraio 1984, Oztürk c. Germania

13 F.GOISIS, Verso una nuova sanzione amministrativa in senso stretto: il contributo della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in Riv. It. Dir. Pubbl. comunit., 2014, p. 337 ss

14 V. Corte EDU, 21 febbraio 1984, Oztürk c. Germania, cit. , § 52

15 E.BINDI- A.PISANESCHI , Sanzioni CONSOB e Banca d’Italia cit., p 57.

16 Cfr. Corte EDU, 1976, Engel, cit., §§ 81 e 82

17 Corte EDU,9 febbraio 1995, Welch c. Regno Unito, ci., §35-36

18 La sentenza CEDU, 10 febbraio 2009, Zolotukhine c. Russia, stabilisce che la legittimità di un sistema a doppio binario sanzionatorio deve essere valutata con un procedimento bifasico: in primo luogo sarà necessario applicare i criteri Engel per verificare se si tratti di una sanzione sostanzialmente penale, benchè formalmente amministrativa; in secondo luogo bisognerà indagare sull’identità del fatto, elemento costitutivo del divieto di bis in idem ai sensi dell’art. 4 Prot. 7.

19 Cfr. A.F. TRIPODI, Cumuli punitivi cit., p.27

20 Corte EDU, Grandinger c. Austria, 23 ottobre 1995, n. 15963/90, § 55.

21 Ex multis , Corte EDU, Oliveira c. Svizzera, 20 luglio 1998, n. 84/1997/868/1080, § 26

22 Ex multis, Corte EDU , Sailer c. Austria ,6 settembre 2002, n. 38275/97, §§ 26 e 28.

23 Così  F. GIULIANI, G. CHIARIZZA, Diritto tributario, CEDU e diritti fondamentali dell’U.E., Milano, 2017, p 200

24 Crf. Corte EDU, Zolotoukhine c. Russia, 10 febbraio 2009 , n.14939/03, §§ 80-82

25 Cfr. CEDU, sentenza 2 ottobre 2002, Zigarella c. Italia , n . 48154/99

26 Cfr. Corte EDU , Kiiveri c. Finlandia, 10 maggio 2016, 53753/12 § 43

27 Cfr. Corte EDU, decisione Zigarella c. Italia, 3 ottobre 2002, n. 48154/99