di Tina Fortunata Faenza

Un annoso problema dovuto alle innumerevoli norme e al disordine giuridico si pone circa la solidarietà tributaria degli eredi per i debiti del de cuius nei confronti dello Stato e degli Enti Pubblici, per le imposte, tasse e sanzioni, siano esse di natura tributaria che di natura amministrativa.

In linea generale possiamo affermare che la solidarietà tributaria è prevista soltanto per le imposte sui redditi e non per le altre imposte e tasse, quali ad esempio i tributi locali, per i quali vige il principio della ripartizione pro quota, mentre le sanzioni non sono trasmissibili agli eredi.

La disciplina relativa alle modalità con cui i coeredi sono tenuti a rispondere dei debiti ereditari risulta espressamente prevista dall’art. 752 cod. civ., in virtù del quale, in tema di debiti ereditari, non può dirsi operativa la regola della solidarietà propria delle obbligazioni, poiché  ciascun coerede è tenuto al pagamento dei debiti soltanto in proporzione della propria  quota; l’erede risponderà della quota parte di debito ereditario in base agli ordinari principi in tema di responsabilità personale ed illimitata ex art. 2740 del cod. civ.

Tuttavia è prassi consolidata di molti Enti e Società di riscossione tributi procedere alla riscossione dei debiti e dei pesi ereditari, ingiungendo il pagamento ad uno solo degli eredi, qualificandolo come “debitore in solido”, resistendo nelle eventuali opposizioni e giustificando la genuinità della pretesa, facendo leva sulla norma di carattere speciale prevista dall’art. 65 D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, a tenor del quale gli  eredi  risponderebbero   in  solido  delle  obbligazioni  tributarie  il  cui presupposto si è verificato anteriormente alla morte del dante causa.

Anche una parte minoritaria della dottrina ritiene che la solidarietà prevista da tale disposizione, dettata per le imposte sui redditi, sia applicabile agli altri tributi, poiché in caso contrario si concretizzerebbe una disparità di trattamento fra tributi, conseguente alla mancata estensione della solidarietà di cui all’art. 65 citato.

Tale argomentazione è stata pacificamente superata dalla giurisprudenza costituzionale, la quale, evidenziando le specificità dei vari tributi, ha affermato come le differenti discipline degli stessi siano correlate “alla diversità delle imposte prese in considerazione, sicché non è, in linea generale possibile, al fine di riscontrare una disparità di trattamento, la comparazione trasversale di istituti e normative di settore” (Sentenza n. 143 della Corte Costituzionale del 30 marzo 1992).

La giurisprudenza prevalente e la dottrina di maggioranza ritengono, invece, che la solidarietà debba essere applicata soltanto dove è prevista.

 La solidarietà di cui all’art. 65 cit. rappresenta, pertanto, una deroga, la quale non può essere estesa oltre alle imposte sul reddito delle persone fisiche e il silenzio mantenuto dal legislatore in merito alla responsabilità degli eredi nelle discipline dell’I.V.A. (ex art. 35 bis del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) e degli altri tributi, non sottintende la volontà di allargare ad essi la previsione delle imposte sui redditi; ad essi vanno invece applicate le disposizioni generali della successione: l’ente impositore deve rivolgersi ai singoli eredi relativamente alle loro quote ereditarie.

La Cassazione ha avuto modo, in più occasioni, di chiarire, come, in mancanza di norme speciali che vi deroghino, debba essere applicata la comune regola della ripartizione dei debiti ereditari pro quota, di cui agli artt. 752 e 1295 c.c. (Cassazione sezione 5 tributaria, sentenza n.  22426 del 22 ottobre 2014; Cassazione sezione tributaria, sentenza n. 780 del 2011), non essendo applicabile, in via analogica, né la regola speciale della solidarietà dei coeredi di cui al D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, art. 65, predisposta soltanto per i debiti contratti dal de cuius, relativamente al mancato pagamento delle imposte sui redditi, né la regola speciale della solidarietà dei coeredi contenuta al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, art. 36, predisposta per il pagamento dell’imposta di successione, né la regola speciale della solidarietà di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 art. 57, che non riguarda coeredi del debitore solidale dell’imposta di registro.

A livello processuale, non può non porsi l’attenzione sulla ripartizione dell’onere della prova.

Nell’ipotesi in cui venga instaurato un giudizio da parte del creditore, non si determina litisconsorzio necessario tra gli eredi del debitore defunto (Cass. Civ. Sez.III, 5100/06), tuttavia, il coerede compulsato dal creditore ha l’onere di eccepire la natura parziaria dell’obbligazione che gli fa capo, diversamente palesandosi legittima la richiesta del creditore relativamente all’intero debito (Tribunale di Napoli, 21 aprile 2005).

Tale orientamento ha trovato ulteriore conferma nella sentenza della Corte di Cassazione n. 17122/20, pubblicata in data 13 agosto 2020, la quale ha affermato come per i debiti ereditari, chi eccepisca l’esistenza di altri coeredi, nonché la divisione “pro quota” del debito ereditario, abbia l’onere di provarne l’esistenza, la consistenza numerica, il titolo alla successione e la stessa qualifica di eredi.

Allo stesso tempo l’accettazione dell’eredità è una condizione imprescindibile affinché possa affermarsi l’obbligazione del chiamato all’eredità a rispondere dei debiti ereditari.

È certo che non può ritenersi obbligato a rispondere dei debiti del de cuius il chiamato che abbia rinunciato all’eredità ai sensi dell’art. 519 del codice civile, come asserito dalla stessa Amministrazione finanziaria, tant’è che la Risoluzione ministeriale 5 novembre 1980, prot. 3801, ha affermato esplicitamente che “va ritenuta illegittima la notificazione degli atti dell’accertamento al chiamato all’eredità che abbia rinunciato all’eredità stessa non essendosi verificata fra il de cuius e il chiamato all’eredità quella confusione patrimoniale che fa sorgere in capo all’erede la legittimazione passiva per le obbligazioni riferibili al primo”.

In senso analogo si è espressa anche la Cassazione, con sentenza n. 8053 del 29 marzo 2017, affermando che “in ipotesi di debiti del de cuius di natura tributaria l’accettazione dell’eredità è una condizione imprescindibile affinché possa affermarsi l’obbligazione del chiamato all’eredità a risponderne. Non può ritenersi obbligato chi abbia rinunciato all’eredità, ai sensi dell’art. 519 c.c.”, precisando che “una eventuale rinuncia, anche se tardivamente proposta, esclude che possa essere chiamato a rispondere dei debiti tributari il rinunciatario, sempre che egli non abbia posto in essere comportamenti dai quali desumere una accettazione implicita dell’eredità (art. 476 c.c.)”, del cui onere probatorio è onerata l’Amministrazione finanziaria e che non può fondarsi sulla mera presentazione della denuncia di successione, che “non ha alcun rilievo ai fini dell’accettazione dell’eredità”.

Grava, dunque, sull’erede compulsato dall’Amministrazione l’onere della prova circa l’esistenza di altri eredi legittimati passivamente a rispondere dei debiti del de cuius ai fini della esigibilità pro-quota, ma allo stesso tempo grava sull’Amministrazione finanziaria creditrice del de cuius l’onere di provare l’accettazione dell’eredità da parte dei chiamati, per potere esigere l’adempimento dell’obbligazione del loro dante causa.