di Faenza Tina Fortunata

Ai sensi dell’art 51 del Codice del processo tributario, a tenor del quale “se la legge non dispone diversamente il termine per impugnare la sentenza della Commissione Tributaria è di sessanta giorni, decorrente dalla sua notificazione ad istanza di parte, salvo quanto disposto dall’articolo 38, comma 3”, nel sistema del processo la proposizione dell’impugnazione può essere effettuata nel rispetto di due diversi termini.

Un termine breve di sessanta giorni che decorre dalla data della notifica della sentenza a istanza di parte e un termine lungo, previsto dall’articolo 38, comma 3, con rinvio all’ art. 327, comma 1 del c.p.c. per il quale, in assenza di notificazione, è possibile proporre l’impugnazione nel termine di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza.

Con riferimento al secondo termine, di indubbia rilevanza appare la questione involgente la tematica della conoscenza legale o occasionale della sentenza, argomento affrontato per lunghi anni dalla dottrina e dalla giurisprudenza, le quali sono giunte spesso a conclusioni opposte, ancorché in merito alla diversa attività della notificazione di un’impugnazione inammissibile o improcedibile.

Innanzitutto, è d’uopo precisare che, secondo l’insegnamento della Corte di Cassazione, il termine breve di impugnazione decorre soltanto in forza di una conoscenza legale del provvedimento da impugnare, ovvero di una conoscenza conseguita per effetto di un’attività svolta nel processo, della quale la parte sia destinataria o che essa stessa ponga in essere e che sia normativamente idonea a determinare da sé detta conoscenza o tale, comunque, da farla considerare acquisita con effetti esterni rilevanti sul piano del rapporto processuale (Cfr., Cass., sentenza n. 16650/2011).

In questo senso si registra, nella giurisprudenza di legittimità, una generalmente condivisa affermazione secondo la quale la notificazione di un’impugnazione inammissibile o improcedibile e di un ricorso per revocazione equivalgono, tanto per il notificante quanto per il destinatario, alla notificazione della sentenza stessa ai fini della decorrenza del termine breve per proporre impugnazione (Cfr., SS.UU., sentenza n. 12084/2016).

Al contrario, si è affermato che l’estrazione di copia della sentenza, se indubbiamente realizzi la conoscenza del provvedimento per chi la richiede, tuttavia non ha necessariamente il profilo funzionale della direzione all’esercizio del diritto di impugnazione, ma solo quello alla realizzazione della conoscenza dello stesso in vista eventualmente di quell’esercizio.

Trattandosi di atto solo eventualmente di segno funzionale, identico alla comunicazione della cancelleria, non gli si può attribuire lo stesso valore nella sequenza processuale e, pertanto, esso non determina l’inizio del corso del termine di impugnazione (Cfr., Cass., sentenza n. 1155/2013; Cass., ordinanza n. 1539/2012).

La ratio di tale orientamento – in virtù di quanto affermato dai giudici di legittimità – risiede nel fatto che il difensore, nel redigere l’atto di impugnazione, ovvero nel resistere al medesimo, deve aver necessariamente esaminato e, quindi, deve conoscere legalmente la sentenza impugnata; donde lo stare in giudizio a mezzo del difensore realizza, per la parte stessa, la situazione di notum facere cui è preordinata la notificazione della sentenza (Cfr., Cass., sentenza n. 3938/2014).

Ergo, alla luce dei principi sanciti dalla Suprema Corte, se questa è l’ottica in cui si muovono gli istituti di riferimento, è agevole comprendere come sia la volontà di imprimere un impulso acceleratorio al processo, scandendo il passaggio irretrattabile alla fase successiva con la proposizione del gravame, il fattore che giustifica la decorrenza del termine breve per impugnare in capo sia a chi propone sia a chi subisce l’impugnazione, ovvero la volontà di accelerare la fine del processo.

Tanto, proprio in considerazione della circostanza che a qualificare la notifica dell’impugnazione è proprio la natura impugnatoria di questo atto, che lo rende ben diverso – così come evidenziato dalla Suprema Corte – dalla notificazione della sentenza unita al precetto, di cui è un qualcosa in più e non in meno (Cfr., SS.UU., sentenza n. 12084/2016; Cass., sentenza n.1155/2013).

Orbene, sulla base di quanto sopra esposto, anche la trasmissione a mezzo posta elettronica certificata di una comunicazione con cui la parte processuale vittoriosa chieda alla parte soccombente soltanto la disponibilità a ricevere le spese liquidate nella sentenza di primo grado ad essa allegata, dovrebbe essere inidonea a configurare una conoscenza legale e, conseguentemente, a far decorrere il termine breve di impugnazione.

Alla base di ciò ci sarebbero varie ragioni, quali la mancata utilizzazione delle modalità procedimentali prescritte dalla legge per la notificazione della sentenza, la circostanza che la comunicazione trasmessa non può essere considerata in senso stretto un’attività svolta nel processo e normativamente idonea a determinare da sé una conoscenza legale. Tuttavia, la ratio sottesa all’inidoneità di configurare una conoscenza legale della sentenza è che l’attività de qua non appare funzionale all’esercizio del diritto di impugnazione, in quanto non è espressione della volontà di imprimere un impulso acceleratorio al processo, come lo è invece la notificazione della sentenza o dell’impugnazione, sebbene inammissibile o improcedibile, oltre a non presupporre necessariamente un esame della sentenza da parte del difensore ai fini impugnatori.

Orbene, se la perentorietà del termine per l’impugnazione di una pronuncia giurisdizionale è posta a presidio della certezza delle situazioni giuridiche, è vero che tale fondamentale esigenza deve essere bilanciata con il diritto alla effettività della tutela giurisdizionale e con il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., pertanto, come chiaramente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, nessun rilievo può riconoscersi alla conoscenza “occasionale”, che coincide con quelle situazioni  in cui la conoscenza di una sentenza deriva non dallo svolgimento di un’attività processuale a essa direttamente collegata, ma da un fatto meramente accidentale che, come tale, non è idoneo a determinare la decorrenza del termine per l’impugnazione.