La tregua siriana ha avuto vita brevissima
Ripetutamente violata, con vittime. È bastato un “errore” dei soldati di Obama (con accuse reciproche fra le parti a condire il tutto), costato la vita a decine di soldati dell’esercito siriano, a far vacillare tremendamente l’impalcatura eretta da russi ed americani – senza troppa convinzione. Il fatto è avvenuto in una base governativa nell’est del Paese, nei pressi di Dayr az Zor, e dove le truppe lealiste resistono da mesi all’assedio dello Stato islamico, son state spazzate via da una pioggia di fuoco nel giro di pochi secondi. Tutta la condotta obamiana della guerra – dalle dichiarazioni agli atti – lascia dubbi consistenti sulla bontà delle intenzioni Usa, sollevando interrogativi legittimi sul ruolo di Washington in tutta questa sporca vicenda. E la lealtà sembra essere l’assente principale. L’obliquità e l’ambivalenza sono protagonisti assoluti e non permettono di capire dove la parti in causa vogliano arrivare. Si sigla una tregua ma non ci si crede – o almeno uno dei due firmatari lo fa di malavoglia. La nazione che guida la coalizione anti Isis fa fuoco sull’esercito regolare facendone strage.
Il comando militare centrale Usa ha fatto sapere di aver fermato i raid aerei in Siria dopo che la Russia li ha avvisati che avevano colpito militari siriani. Dal proprio canto, Damasco, vittima principale, ha dichiarato che la gravità dell’attacco subito, è “la prova certa del sostegno degli Stati Uniti a Daesh e ad altri gruppi terroristici”.
Al punto che, in una dichiarazione scritta, il ministero degli Esteri siriano ha chiesto al Consiglio di Sicurezza di condannare ciò che ha descritto come “un’aggressione da parte degli Stati Uniti” e ha chiesto a Washington di rispettare la sovranità siriana.
Anche Mosca, spalleggiando Assad, non si è fatta pregare per additare gli Stati Uniti, accrescendo il clima di tensione tra le due superpotenze sulla questione. L’ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vitaly Churkin ha sosteuto che il raid della coalizione Usa “è stato intenzionale, un tentativo di dirottare l’accordo di cooperazione tra Mosca e Washington”.
Un altro elemento che fa propendere l’analisi verso il doppio giocho di Obama, è la accusa di
Putin al presidente statunitense di non avere collaborato per individuare e separare i miliziani qaedisti del Fronte Fatah ash Sham (ex Al Nusra) dagli altri gruppi dell’opposizione per poterli bombardare. Dopo il raid aereo Usa sulle truppe siariane, anche Mosca è giunta alla conclusione che Washington difende l’Isis. Altro che Al Nusra, dunque. Proprio l’Isis. Slealtà dunque e doppio gioco. Le accuse sono gravi, senza possibilità di fraintendimento. Accuse che Washington rispedisce ovviamente al mittente collocandole come connaturate alla diatriba storica Usa-Russia. Strumentali.
La popolazione intanto è allo stremo. Degli attesi convogli umanitari nemmeno l’ombra. Anzi, uno era arrivato ma è stato abbattuto dai russi, accusati stavolta dagli americani di intralciare l’approvigionamento di aiuti alla popolazione. Le violenze aumentano gradualmente in molte regioni del Paese, compresa Aleppo e i sobborghi intorno a Damasco. La Russia ha accusato i gruppi armati dell’opposizione di avere violato la tregua almeno 55 in poche ore. Sul fronte degli attivisti dell’opposizione, invece, l’Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus) parla di almeno 13 civili uccisi, tra i quali cinque bambini, in bombardamenti governativi, anche con l’aviazione, nelle province di Aleppo, Idlib e Homs. Anche la Turchia ha inviato nuove truppe nel nord della Siria per appoggiare i gruppi ribelli suoi alleati nell’operazione ‘Scudo dell’Eufratè. Un’offensiva diretta non solo contro l’Isis ma anche contro le milizie curde dell’Ypg.
La tregua è nata morta. Non se ne esce.