I truculenti fatti di Parigi han confermato, se mai ce ne fosse stato bisogno, quanto ormai l’Europa – avanguardia di occidente – sia sotto tiro.
L’azione terroristica avvenuta presso la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo e conclusasi con 12 morti è l’acme di una tensione che invade il mondo a varie latitudini e che finora l’Europa non è riuscita contrastare efficacemente attraverso politiche adeguate.
I focolai di rivolta sparsi in MO e l’avanzata dell’ISIS, che tra le sue fila recluta anche diversi occidentali e le ondate migratorie che si abbattono sulle spiagge dell’Europa meridionale in maniera incontrollata dipingono una situazione da allarme rosso.
Sarebbe sbagliato tuttavia ridurre le cause di questo fenomeno inquietante alla fatalità e al ricorrere ciclico di processi storici. In realtà molte colpe vanno senza tema di smentita assegnate proprio all’Occidente che sinora ha mostrato una fragilità di sistema imbarazzante ed enorme impotenza nel provvedere a stroncare sul nascere la minaccia. In ballo ci sono questioni politico-sociali irrisolte, quali l’annosa questione israelo.palestinese, gli esiti della primavera araba che aveva promesso chissà quali orizzonti di emancipazione rimaste ad oggi deluse.
Poi ci sono conflitti che hanno visto Stati Uniti ed Europa vincitori come in Iraq, Afghanistan e Libia ma le vittorie si son rivelate pirriche, in quanto il dopoguerra ha partorito una situazione di gran lunga peggiore dello status quo ante, esecrabile quanto si vuole ma perlomeno stabile, senza troppi fermenti.
Tornando a Parigi, c’è già chi parla di 11 settembre europeo, dimenticando però che se si vuole associare l’azione terroristica al giornale che più aveva messo in luce gli aspetti aberranti dell’islamismo estremo all’attacco alle torri gemelle, ci sarebbe prima da citare l’attentato di Madrid alla stazione di Atocha e quello alla metropolitana di Londra, datati rispettivamente 2004 e 2005.
Un allarme pertanto che parte da lontano, almeno dieci anni, nel corso dei quali si è evidentemente perso tempo, ci si è divisi, non si è collaborato quando occorreva e probabilmente si è creduto che con controlli più restrittivi agli aeroporti e delegando come al solito all’iniziativa militare degli Stati Uniti la minaccia potesse essere allontanata. Errore palese. E la serpe che ci troviamo in seno l’abbiamo, in modi differenti, alimentata noi.
La malagestione (figlia della meschinità egoistica che si addice ad un Europa de facto ancora frammentata)della marea di immigrati che abbattuto il regime di Gheddafi ha preso a riversarsi sulle coste italiane è stata un ulteriore saggio di miopia e approssimazione che se protratto potrebbe risultare fatale.
Un ulteriore dato che emerge dai drammatici fatti francesi è l’impossibilità di comunicare con il gruppo jihadista denominato ISIS che qualche mese fa ha proclamato la nascita del califfato, che accampa pretese di dominio su mezzo mondo. Non c’è spazio per alcun dialogo, non c’è alcuna possibilità di negoziazione in quanto la loro ragion d’essere – e quella dei loro affiliati – è lo scontro frontale attraverso blitz terroristici in grande stile in Occidente e azioni militari in MO.
La transizione verso la democrazia in Iraq è completamente fallita e la Siria è ormai in mano a questo esercito di esaltati. In Afghanistan il quadro non è meno fosco. Per cui siamo in una condizione in cui o l’Occidente compattamente entra nell’ordine di idee di stroncare questa organizzazione o tramuterà la esistenza dei propri cittadini in un inferno. Per distruggere questo cancro che sta attaccando la nostra civiltà mettendo in discussione i nostri valori e capisaldi non bisogna escludere un nuovo intervento militare dagli esiti definitivi. Perché se avrebbe rappresentato un torto non vincere le guerre dichiarate in questi 15 anni che han fatto cadere i Talebani, Saddam , bin Laden e Gheddafi un torto senza dubbio maggiore è stata l’incapacità di mettere a frutto queste vittorie. Si può dire infatti che oggi la grana che ci si trova a dover affrontare è assai più intricata e scivolosa di quelle precedenti.
Il problema dell’immigrazione clandestina va risolto con determinazione, sospendendo se necessario anche gli accordi di Schengen, per porre un limite deciso ai flussi incontrollati. Perché d’immigrazione, di questi tempi, si può anche morire. Oltre all’uso della marina per il pattugliamento dei mari o ci si potrebbe spingere oltre, sotto l’ombrello della Nato, arrivando a presidiare direttamente quei territori da cui partono quotidianamente scafisti senza scrupoli in direzione dell’Europa meridionale.
I due terroristi, Said e Cherif Kouachi, protagonisti della strage (uno guidava l’auto per la fuga) sono francesi d’orogine algerina (dato ricco di spunti di riflessione) e ben addestrati: non si tratta di lupi solitari ma di terroristi formatisi in gruppi ben organizzati. Le analisi degli esperti di terrorismo, europei e mediorientali, convergono nel sottolineare l’efficienza del blitz messo a segno contro il settimanale Charlie Hebdo. Sono stati addestrati da professionisti e dietro c’è la regia di un gruppo strutturato.
È immediatamente partita la ricerca al “campo di addestramento”. Difatti, particolare non da poco, a fianco dell’ipotesi che siano stati preparati in Iraq o Siria c’è anche quella dell’esistenza di campi terroristi in Francia, gestiti da gruppi jihadisti ben foraggiati. Riguardo al fatto che i due terroristi abbiano detto durante il blitz di appartenere ad “Al Qaeda in Yemen” è una pista che porta verso la centrale di Al Qaeda in Pakistan – da cui il ramo yemenita dipende – ma non esclude lo Stato Islamico (Isis) per via della cooperazione fra le due maggiori sigle del jihadismo sunnita, iniziata in Siria attraverso le cellule di Al-Nusra.
Come detto, il fatto che i responsabili siano sì d’origine algerina ma francesi aggiunge alla questione dell’immigrazione incontrollata quella del melting pot fallito. Ecco dove deve intervenire la legge. In Francia, come pure in Italia, l’integrazione è una chimera. Il disagio delle banlieu parigine è noto da anni e rappresenta una sorta di trionfo della ghettizzazione. Nonostante il glorioso passato coloniale e la possibilità di trovarsi a gestire un fenomeno non certo nuovo, bisogna dire che la Francia ha fallito nell’integrazione persino dei cittadini francesi a tutti gli effetti ma d’origine araba.
Anche se si parla di campi di addestramento terroristi anche in Germania (gli attentatori delle Torri Gemelle vi si sarebbero addestrati), le politiche di Berlino costituiscono l’esempio opposto. Milioni di turchi e cittadini di altre nazioni del sud del mondo sono pienamente integrati nella cultura e negli stili di vita tedeschi e fenomeni come quelli andati in scena in questi giorni sono assai difficili, complice anhe un apparato repressivo e di prevenzione del crimine più efficiente. Possiamo dire perciò, a ragion veduta, che il problema si salda con la questione dei flussi incontrollati di migranti, la cui marea comprende di tutto: dalle brave persone in cerca di un futuro onesto, ai malintenzionati criminali.
Inutile dire che in Italia – paese di frontiera – il rischio di replicare simili orrori è assai alto. Alla base di questo disagio ci sono: un’impreparazione di fondo a fronteggiare un’emergenza nuova; la carenza di strutture destinate all’accoglienza; la fallacia di alcune leggi che dovrebbero prevedere la rispedizione immediata al mittente dei clandestini; l’impossibilità materiale di presidiare un’ immensa area.
L’opzione militare però, non scartata né ancora decisa, va accompagnata da provvidimenti politico legislativi seri. Sembra che in Francia tutto ciò sia nelle cose. Marine Le Pen, trionfatrice assoluta dell’ultima tornata elettorale dovrebbe fare il pieno alle prossime elezioni e dar vita ad una serie di provvedimenti restrittivi fino a poco tempo fa inimmaginibili, come pure inimmaginabile era il successo che avrebbe raccolto di recente. In altre realtà il problema maggiore è costituito dall’umanitarismo presente presso il pensiero di sinistra e quello cattolico. Per essi, il dovere dell’accoglienza non è mai in discussione nemmeno in situazioni di grave emergenza come quelle attuali.
E se si optasse per l’intervento militare mirato ad annientare lo stato islamico restituendo il possesso dei quei territori ai popoli oppressi da questa nuova barbarie, ci sarebbero mille obiezioni figlie di un dogmatismo ideologico contrario al dovuto pragmatismo che richiedono le situazioni di pericolo. La risposta che l’Occidente deve dare è una risposta pragmatica, pertanto. I principi di ciascuno, le aperture di credito gratuite e soprattutto l’egoismo nazionale vanno una volta per tutte accantonati in favore della coesione e della volontà comune di non finire in mano a bande di esaltati e alle loro scorribande omicide. Condivisione dei problemi dunque e azione comune per il loro superamento. Un altro tema che si pone a questo punto è quello della reciprocità. Nonostante l’Occidente si vanti di essere patria dei diritti, è ormai evidente che il dare e il continuare a dare indiscriminatamente e senza nulla pretendere per semplice impostazione valoriale sia una strategia perdente. Pensiamo a tutta la battaglia contro i crocifissi nelle aule e negli uffici pubblici. Essa è il sintomo di una dinamica di arretramento insostenibile ad oggi che va assolutamente respinta e vista come rinuncia a un’ identità che volenti o nolenti abbiamo e dobbiamo difendere con tutte le nostre forze, pena l’inesorabile declino.