Tensioni sempre crescenti
La partita ucraina assume giorno dopo giorno contorni sempre più macabri e inquietanti. Non foss’altro perché ci si gioca molto non solo in termini politici ma anche di credibilità.
È assolutamente palese come l’irremovibilità di Poroshenko sia figlia dell’appoggio totale dell’occidente che oltre a garantirgli finanziamenti gli ha assicurato un grande sostegno dal punto di vista militare nel caso in cui la situazione precipiti come pare stia avvendendo. In mezzi e se necessario anche in uomini. Per ora si resta formalmente nell’ombra, con Mosca che manda avanti i suoi guerriglieri “irregolari” (secondo molti osservatori si tratterebbe di vere e proprie truppe scelte) per compiere il “lavoro sporco” ma non è detto che a breve non scendano in campo gli eserciti “regolari”. E l’Europa in tutto questo? L’Europa sta scivolando verso una guerra su larga scala per l’Ucraina. L’Europa che proprio geograficamente non può tirarsi indietro dal tentare di dirimere la questione rischia di venir coinvolta suo malgrado in un gioco che ha visto protagonista della faccenda le due superpotenze. Per le quali l’Ucraina è una questione, non soltanto di interesse reale dal puto di vista economico politico, ma anche di principio. I segnali che arrivano in queste ore non promettono nulla di buono. Obama sta prendendo in considerazione l’ipotesi di armare direttamente il governo di Kiev nello scontro con i separatisti affiancati dalle truppe di Mosca. La rottura degli indugi non è ufficiale ma diverse considerazioni spingono in questo senso il governo di Washington. Su tutte, l’inferiorità strategica delle truppe ucraine e l’inefficacia della strategia delle sanzioni economiche seguita finora, che ha finito per esacerbare la spinta nazionalista di Vladimir Putin.
Si tratterebbe di una recrudescenza della guerra in seno all’Europa senza che l’Europa fosse in condizione di far valere il proprio peso specifico, davvero misero in questa faccenda. Intanto, la componente filorussa non se ne sta con le mani in mano. L’amministrazione separatista di Donetsk ha annunciato la mobilitazione generale degli uomini atti alla leva: i secessionisti puntano così a mettere in campo fino a 100 mila miliziani nel giro di dieci giorni. Una spinta sul terreno che arriva nel momento in cui i filorussi, appoggiati da migliaia di soldati di Mosca, stanno cercando di aprire un corridoio di terra fra il Donbass e la Crimea annessa alla Russia l’anno scorso, spaccando di fatto in due l’Ucraina. Se Usa e Russia affilano le armi e sono in fermento, accade che l’Europa, teatro di quella che potrebbe essere una nuova tragedia dagli esiti imprevedibili per la sicurezza di tutti, non riesce a far niente di meglio che rimanere divisa. Avvalorando in questo modo l’atavica critica di rappresentare piuttosto una espressione geografica anziché un valido partner per risolvere i problemi del mondo. Visto che non riesce nemmeno a dirimere, mediando, una questione nel proprio cortile.
Sta andando in onda un brutto film, un altro clamoroso fallimento dell’Europa, che una volta di più avvalora il credo degli euroscettici che vedono nei suoi organismi strumenti d’interesse particolaristico buoni a nulla se non a favorire i poteri forti della finanza e del grande capitale. I 28 restano divisi fra di loro sul tipo di risposta da dare all’aggressione russa: atteggiamenti compiacenti nei confronti del Cremlino hanno portato al varo di sanzioni annacquate che, pur creando difficoltà all’economia russa, non sono state in grado di fungere da vero deterrente. Latita disperatamente un’iniziativa politica forte che proponga un regolamento a lungo termine della questione ucraina. Ormai la diplomazia – poco credibile, vista la sua versione frammentata e contraddittoria – sembra essere stata irreparabilmente scavalcata dalle armi. Armi pericolose, che una volta imbracciate sarà fatica ardua se non impossibile disinnescare.
Da par suo, la Russia ha emanato un decreto per mano del premier Medvedev. È un provvedimento che mette al bando nei concorsi degli enti pubblici la partecipazione di produttori occidentali di macchinari del settore edilizio, dell’esplorazione delle materie prime e della manutenzione cittadina. Il decreto, che si aggiunge all’embargo sui prodotti agro-alimentari in risposta alle sanzioni occidentali, rischia di danneggiare in particolare l’Italia, uno dei principali esportatori di macchinari. Il vicepremier Arkady Dvorkovich ha spiegato che tali macchinari possono essere sostituiti con macchinari prodotti in Russia, in linea con la più ampia politica di sopperire ai prodotti occidentali con quelli “made in Russia”.
Il problema principale che frena ogni ambizione in seno all’Europa è il carattere frammentario delle sue proposte. Perché se da un lato la linea economica trova un paese guida, la Gemania, cui è praticamente impossibile dir di no, dal punto di vista politico, i 28 sono assimilabili a tanti cani sciolti.
In quesa partita, come in tutte quelle ove ci si giochi qualcosa, ha la meglio chi, sapendo ciò che vuole, si doti degli strumenti adatti a raggiungere i propri obiettivi. La Russia – anche gli Stati Uniti – sa cosa vuole, sono anni che prepara questa operazione. L’Unione Europea non lo sa affatto. Non lo può sapere, visto che in ogni sua manifestazione non si muove come un unicum, bensì si lascia attraversare dai molteplici interessi nazionali che l’animano al suo interno. I suoi ministri degli Esteri si sono trovati ancor più divisi sul conflitto in Ucraina di quanto non lo siano stati da sempre. L’entrata in scena del nuovo rappresentante della Grecia Nikos Kotzias, “stretto amico del consigliere più ascoltato di Putin” (Alexandr Dugin), si è rivelata ulteriormente paralizzante. E se finora, fra tanti contrasti – tra paesi, come i Baltici e la Polonia, diffidenti sul dialogo con Mosca e altri, come l’Italia, vogliosi di dialogare – si era raggiunto un compromesso, ora non più. Atene intende intrattenere un rapporto privilegiato con Mosca.
Non vi saranno nuove sanzioni. Ci si limiterà a prorogare quelle vigenti fino a settembre. E se ciò da un lato denota l’impotenza dell’Ue, dall’altro verrebbe da dire “meno male”. In quanto che oltre ad essere un deterrente di scarsa efficacia che non scalfisce più di tanto l’economia russa, queste rappresentano un problema maggiore per l’Europa che tenta faticosamente di uscire dalla recessione. E che ora, sarà alle prese con le controsanzioni russe che rischiano di compromettere interi settori dell’economia sinora floridi. Situazione kafkiana, dunque.
A determinare l’atteggiamento “prudente” dei ministri degli Esteri sarebbe stata, si sostiene, la voglia di aiutare il “gruppo di contatto”, composto da Ucraina, Russia e OSCE, a portare avanti il dialogo sulla cessazione della guerra nella riunione che aveva in programma l’indomani, sabato scorso, a Minsk. Altro flop. Trattative saltate. Non si vede onestamente cosa si possa far regredire le parti e condurle a più miti consigli. E ciò che più allarma è il fatto che l’Europa si trovi invischiata fino al collo geograficamente e non solo, non avendo però la capacità né la forza né l’autorevolezza per imporre il suo punto di vista e salvaguardare i propri interessi d’ogni ordine e grado.
Intanto, la Russia ha già raccolto un successo esiziale nella cosiddetta “guerra della diplomazia”. Con la sola minaccia del suo veto, ha impedito al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di adottare qualsiasi decisione, vanificando tutte le denunce e accuse – annessione di intere regioni di altre nazioni, interventi militari, disprezzo dei trattati sottoscritti – ad essa rivolte nelle varie riunioni al Palazzo di Vetro. Inoltre, i rappresentanti dell’OSCE si trova nell’impossibilità di indagare sulla responsabilità di stragi e azioni terroristiche nel territorio in cui operano i miliziani separatisti; e nemmeno sull’arrivo e sul carico delle continue autocolonne dei sedicenti “soccorsi umanitari” russi. Il fallimento è ben visibile su tutta la linea. Beffa imperdonabile sarebbe farsi trascinare in conflitto non voluto, divenendone inevitabilmente teatro, senza aver fatto nulla per evitarlo, stretto nella morsa di due giganti che sanno cosa vogliono.