Ma la politica estera dell’UE dove sta?

Il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker in un’intervista al domenicale tedesco Welt am Sonntag, ha recentemente rispolverato l’opinabile tema della necessità di costituire una forza armata europea.

Un unico esercito, ha detto, è indispensabile per preservare e difendere i valori dell’UE, per dare vita ad una politica estera unitaria e infine certamente, per ottenere un risparmio di risorse.

Ma tra il dire e il fare di solito c’è di mezzo il mare e il mar Mediterraneo si presta bene a focalizzare i problemi inerenti la proposta del discusso ex premier del Lussemburgo.

A ben vedere, prima della costituzione di un esercito ci dovrebbe essere una valida e sensata politica estera europea, perché è certo che non è un esercito a realizzare o esplicitare i valori di uno stato unitario, semmai esso è lo strumento attraverso il quale una nazione si serve per difendere i proprio confini e interessi.

Dunque, dopo i tragici fatti di Tunisi non è certo questo il tempo di spot pubblicitari e dichiarazioni facili.

In più l’Unione Europea non ha certamente mostrato spiccata indipendenza o spirito critico rispetto alla Nato e alla visione americana dello scacchiere internazionale e questo non rassicura rispetto all’uso che si potrebbe fare del mezzo militare. Si ricordi lo scampato intervento in Siria grazie al veto di Putin.

Solo dai fatti più recenti, dalla crisi in Ucraina al Medioriente, il Vecchio Continente ha sbagliato tutto quello che si poteva sbagliare, continua a sbagliare e tra sanzioni economiche e Isis si pagano le conseguenze.

Renzi, che questi giorni si sta spendendo ovviamente in modo dinamico nei confronti della crisi Libica e gli ultimi fatti in Tunisia, ha detto una cosa sensata e giusta al summit di Bruxelles: “Se continuate a parlare solo di Russia e Ucraina e non di Mediterraneo, finirà che dipingerete un’Europa strabica”.

E gli Usa senza danni economici guardano e tessono le loro reti.

Che l’annuncio di Juncker abbia voluto mettere in allarme Mosca? Probabilmente Putin forte del suo 85% di consensi in patria e di quei paesi dell’est e non solo che guardano bene alla Russia, si sarà fatto una piccola risata.

Inoltre c’è da chiedersi: i paesi europei hanno realmente comuni interessi di politica estera?

Non proprio; si guardi solo quanto tempo c’è voluto e ci vuole ancora per far comprendere agli alti funzionari della Commissione che la questione legata all’immigrazione è un fenomeno la cui gestione non riguarda solo ed esclusivamente i paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

E’ come se ogni paese del Vecchio Continente intervenga o si spenda solo laddove vengono minacciati i propri interessi nazionali. Al fine della stabilità e della pacificazione non c’è realmente un intento comune, manca una visione politica generale.

Per non parlare di cosa l’UE è riuscita a legittimare nei Balcani: tra il Kosovo e la Bosnia-Erzegovina, non si sa quale dei due sia più ridotto all’insicurezza.

In ultima analisi forse, affidare la salvaguardia del proprio paese all’Europa sarebbe un po’ pericoloso.

Altro nodo che non fa pensare bene ad un’eventuale corpo armato unico è la gestione della crisi economica europea.

Le politiche di austerità sono state imposte ai paesi in difficoltà senza una discussione democratica generalizzata. Le istituzioni europee hanno di fatto un deficit democratico.

Se l’UE ha dunque questo tarlo, allora non si può pensare alla formazione di un esercito senza un contesto i cui meccanismi permettano il controllo partecipato di uno strumento da guerra.

Inoltre il Parlamento Europeo, eletto dai cittadini membri dell’Unione, non ha neanche potere d’iniziativa legislativa, fatto che riduce ulteriormente la partecipazione politica dei cittadini; infine, non esistono, o se ci sono la loro presenza è assai debole, quelle organizzazioni sociali e civili compresi i sindacati, capaci di coinvolgere e muovere un’opinione pubblica generale.

Un luogo dunque dove il potere non garantisce partecipazione e strumenti legislativi a tutti, è un potere dove parlare di esercito comune fa storcere un po’ il naso.

Le forze armate non sono perciò un messaggio mediatico ma uno strumento d’impatto che esplica scelte politiche; esse devono presupporre un cammino equilibrato, circostanze precise e intorno devono avere un cuscinetto che garantisca un argine o un margine d’azione democratico.