Mai come ora possiamo affermare candidamente che la destra italiana sia una formazione “sinistrata”.
Nel senso che come la sinistra anni ’90 è ridotta a piccole o piccolissime formazioni, nessuna abbastanza autorevole da chiamare a raccolta un numero consistente di elettori e a cui manca un partito guida.
La fine politica di Berlusconi ha lasciato un vuoto e negli anni fagocitato argomenti e identità proprie della destra italiana postventennio, incentrando il dibattito politico sulla propria figura, politica ed extra.
A corto di argomenti convincenti, tramontata Forza Italia, dopo la parentesi del Popolo delle libertà, che ha fatto perdere per strada pezzi del “calibro” di Gianfranco Fini, il “popolo dei moderati” si è perso, trovato senza una casa e ha dovuto far di necessità virtù vagando altrove, accasandosi con Salvini o altre formazioni microscopiche quali i neonati Fratelli d’Italia o Ncd e i loro transfughi. Oppure, fortemente deluso o arrabbiato si è unito alla voce del dissenso per eccellenza, ovvero al movimento di Grillo.
Ebbene, la carenza di “destra”, destra autorevole, specie in questa fase di enormi cambiamenti e di questioni cruciali in materia economica, di immigrazione e di riforme, si fa e si farà sentire.
Qui si costruisce il futuro a medio e lungo termine del paese e un potere non controbilanciato a dovere presenta dei rischi. L’avanguardia della destra attuale è rappresentata da Salvini e dalla “sua” Lega, ex partito d’area con rinnovate ambizioni di più ampio respiro, nazionali. Ma che in ogni sua manifestazione dimostra di rimanere un partito di lotta e di protesta non di costruzione. Un partito volatile, passi il termine, destinato a vivere intensamente una parentesi.
Quel che manca alla destra italiana per rifiorire e contrapporsi a Renzi e al suo schieramento, è il riconoscimento di una identità – nazionale – che si strutturi e si faccia partito convogliando a sé il grosso del mondo liberale e democratico. Questa bisogno di identità è fortissimamente presente fra gli italiani, il cui tradimento è ben visibile dai consensi ottenuti dal demagogico e strillone M5S. Il quale arraffa un po’ a destra e un po’ a sinistra, è un catalizzatore di delusione e rabbia.
Un moderno conservatorismo politico è innanzi tutto liberale e non usa il fisco come una clava. In economia è contro ogni strettoia corporativa o monopolistica a vantaggio di gruppi privilegiati e interessi protetti, senza per ciò essere sempre e comunque contro l’intervento pubblico.
Ideologicamente, poi, esso dovrebbe essere interessato soprattutto a promuovere e difendere la diversità delle opinioni o comunque mostrarsi recettiva. Ma tutte queste cose non bastano, malgrado le buone intenzioni, se non ci si organizza, se non ci si da un leader politico vero, riconosciuto e riconoscibile, in grado di chiamare a sé le diverse anime che ora popolano lo schieramento. Ciò non comporta necessariamente un reductio ad unum, cosa di fatto mai avvenuta neppure negli anni d’oro del Mattarellum, ma impone la necessità di un partito guida, egemone in “area tory” in cui possano identificarsi il popolo della destra non nicchie d’elettori quando non addirittura ultimi giapponesi.