di Luigi Galluccio

La Corte di Cassazione, IV Sez. pen., con la sentenza n. 14202 del 16 dicembre 2020 (dep. 15 aprile 2021, Presidente Piccialli P., Relatore Esposito A.) relativa ad un procedimento cautelare per sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente ex art. 12-bis D.Lgs. n. 74/2000, torna a pronunciarsi sui criteri di allocazione della responsabilità penale nei confronti del consulente per reati commessi dall’assistito.

Il caso

Con ordinanza del 13 novembre 2018, il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del riesame, confermava il decreto di sequestro preventivo dal G.I.P. del medesimo Tribunale del 24 settembre 2018 finalizzato alla confisca per equivalente ex art. 12 bis D.Lgs. n. 74/2000, di denaro e beni immobili sino alla concorrenza di complessivi euro 2.958.718,64, emesso nell’ambito del p.p. disposto nei confronti, tra gli altri, di una consulente fiscale di tre società indagata, in concorso con il titolare delle testé indicate ditte, nei seguenti reati tributari:

  • art. 5 D.Lgs. n. 74/2000 per l’omessa presentazione per la società «(omissis) s.r.l.›› della dichiarazione annuale IVA per l’anno d’imposta 2013 e delle dichiarazioni annuali IVA e IRES per gli anni di imposta 2014 e 2015;
  • art. 10 D.Lgs 74/2000 per la distruzione ovvero l’occultamento, riguardo la società «(omissis) s.r.l.››, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto delle scritture contabili e degli altri documenti di cui è obbligatoria la conservazione in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume di affari, in data 16 novembre 2017;
  • art. 2 D.Lgs. 74/2000 per essere state utilizzate, dalla società «(omissis) s.r.l.››, nelle dichiarazioni ai fini IVA e IRES relative all’anno di imposta 2012 e nella sola dichiarazione IRES per l’anno di imposta 2013, fatture per operazioni oggettivamente inesistenti emesse dalla società «(omissis) s.r.l.››;
  • art. 8 D.Lgs. 74/2000 per l’emissione da parte della società «(omissis) s.r.l.››, di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti al fine di consentire alla società «(omissis) s.r.l.››, di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto nell’anno di imposta 2012 e 2013;
  • art. 8 D.Lgs. 74/2000 per l’emissione, da parte della società «(omissis) s.r.l.››, di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti al fine di consentire alla società «(omissis) s.r.l.››, di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto nell’anno di imposta 2014;
  • art. 10 D.Lgs. 74/2000 per la distruzione ovvero l’occultamento, riguardo la società «(omissis) s.r.l.››, al fine di evadere e imposte sui redditi e sul valore aggiunto, delle scritture contabili e degli altri documenti di cui è obbligatoria la conservazione in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume di affari, accertato in data 13 ottobre 2017.

Il provvedimento di sequestro preventivo de quo, veniva eseguito in data 17 ottobre 2018 dalla Guardia di Finanza e aveva ad oggetto beni a carico degli indagati per un importo complessivo di euro 750.626,69 e, nello specifico, nei confronti della consulente, somme di denaro consistenti in saldi attivi di conti correnti detenuti presso diverse banche e quote di immobili dalla stessa posseduti.

La difesa

Con sentenza n. 36461 del 15/05/2019, la Corte di Cassazione, Sezione III annullava l’ordinanza in commento, con rinvio al Tribunale del riesame di Roma per nuovo esame.

Il Tribunale del riesame, con ordinanza del 20 settembre 2019, in sede di giudizio di rinvio, ha confermato il decreto di sequestro preventivo de quo.

L’indagata, a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame, proponendo i seguenti due motivi di impugnazione:

  1. 2.1. Violazione di legge e motivazione apparente con riferimento agli artt. 324, 627 cod. proc. pen., 110, 81 cod. pen., 2, 5, 8, 9, 10 e 12 bis d.Lvo n. 74 del 2000. Si deduce che il Tribunale del riesame ha eluso le questioni diritto decise con la pronunzia rescindente, non illustrando il ruolo svolto dalla (omissis), nella realizzazione dei reati tributari e non rispettando il principio di diritto secondo cui, per la configurabilità del concorso ex art. 110 cod. pen. del consulente fiscale, occorre un contributo concreto, seriale e ripetitivo e che il professionista sia stato il consapevole e cosciente ispiratore della frode, anche se di questa ne abbia beneficiato il solo cliente. Il Tribunale del riesame non ha indicato: a) il reale comportamento concorrente della (omissis), stante la totale assenza di elementi in ordine alla decisione del (omissis), quale titolare della «(omissis) s.r.l.››, di omettere la presentazione della dichiarazione annuale IVA per l’anno di imposta 2013 e delle dichiarazioni annuali IVA e IRES per gli anni di imposta 2014 e 2015; b) la condotta a titolo di concorso nella distruzione o nell’occultamento delle scritture contabili della «(omissis) s.r.l.››, stante la dichiarazione di avvenuta consegna della documentazione del 1° dicembre 2015 sottoscritta dal liquidatore (omissis), pienamente ed integralmente capace, avendo sottoscritto in pari data due atti notarili, il 21 aprile 2017 e il 5 aprile 2017, una transazione alla presenza di numerose parti ed essendo stati acquisiti nel corso delle indagini due atti pubblici, il primo costituito dalla certificazione del 4 novembre 2013 della Commissione di Prima Istanza dell’Asl e il secondo da un verbale del 20 ottobre 2016 della Commissione Medica dell’Inps, da cui emergeva che il (omissis) non aveva nessuna disabilità psichica o mentale ma una grave limitazione della deambulazione; c) l’effettiva condotta concorrente nell’aver utilizzato il (omissis) nelle dichiarazioni fraudolente IVA e IRES dell’anno di imposta 2012 e nella sola dichiarazione fraudolenta IRES dell’anno di imposta 2013 presentate dalla società «(omissis) s.r.l.››, le fatture per operazioni oggettivamente inesistenti emesse dalla società «(omissis) s.r.l.››, rispetto al quale non era stato valutato che negli anni di imposta anzidetti la consulente fiscale era la commercialista era (omissis) e che, essendo la (omissis) incolpata nel successivo capo d) per concorso nel reato presupposto di emissione di fatture per operazioni inesistenti non era punibile ai sensi del successivo art. 9 a titolo di concorso nel contestato reato previsto dall’art. 2; d) le condotte perpetrate dalla (omissis) relativamente all’emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti da parte della «(omissis) s.r.l.››, della quale per il periodo temporale dal 2012 alla fine del 2014 era consulente fiscale e contabile la commercialista (omissis); e) la condotta, in concorso col (omissis) autore e beneficiario della frode, nella distruzione o nell’occultamento (capo f) delle scritture contabili della «(omissis) s.r.l.››. Il Tribunale del riesame non ha fornito risposta relativamente alla compresenza di altro consulente quale commercialista della «(omissis) s.r.l.››, e alle ragioni, per le quali i reati erano stati addebitati alla (omissis) e non all’altra professionista. (omissis) aveva svolto l’incarico di commercialista presso entrambe le società almeno fino alla fine del 2014 e la consulente dr.ssa (omissis) aveva inviato telematicamente i modelli 770 del 2014 e del 2015 della «(omissis) s.r.l.››. La ricorrente aveva solo inviato telematicamente la dichiarazione Irap 2014 della «(omissis) s.r.l.›› del 23 dicembre 2014 e il Modello 770 del 2014 della «(omissis) s.r.l.››”;
  2. 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione apparente in relazione agli artt. 321, 324, cod. proc. pen., 110, 81 cod. pen., 2, 5,8, 9, 10 e 12 bis D.Lvo n. 74 del 2000. Si rileva che il Tribunale del riesame non avrebbe dovuto esaminare la sola astratta configurabilità dei reati, bensì tutte le risultanze processuali influenti sulla configurabilità del fumus commissi delicti. I giudici della cautela non hanno individuato gli elementi dimostrativi in concreto di un contributo concorsuale consapevole della ricorrente, configurando apoditticamente la sua responsabilità solo in base allo svolgimento delle attività fiscali per le due predette società. Il Tribunale del riesame ha riconosciuto il ruolo di consulente fiscale della (omissis) sulla base delle dichiarazioni generiche di due dipendenti (omissis) e (omissis), peraltro contrastanti con quelle di altri due dipendenti (omissis) e (omissis), i quali l’avevano indicata come professionista dedita esclusivamente alle buste paga. La dichiarazione della (omissis) di svolgere attività di gestione e di deposito della contabilità di altre due società del (omissis), quali la «(omissis) s.r.l.›› e la «(omissis) s.r.l.›› non evocava il ruolo di consulente fiscale della «(omissis) s.r.l.›› e della società «(omissis) s.r.l.››. Il (omissis) peraltro, l’aveva incaricata della trasmissione delle due dichiarazioni del 23 dicembre 2014 solo in quanto la commercialista (omissis) aveva interrotto i propri rapporti professionali con lui. 2.3. Nella replica ai rilievi di cui alle conclusioni scritte della Procura Generale presso questa Corte, la ricorrente sostiene che la motivazione è del tutto apparente e che il giudice del rinvio non ha risposto ai rilievi evidenziati nella pronunzia rescindente, in violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen.”.

Decisione della Suprema Corte

I giudici di legittimità hanno ritenuto il ricorso de quo infondato.

In primo luogo, la Corte di Cassazione ha richiamato i precedenti giurisprudenziali con riguardo alla nozione di «violazione di legge», specificando, in particolare, che il ricorso per Cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento, o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. 2, n. 18951 del 14/03/2017, Napoli, Rv 269656; Sez. 3, n. 4919 del 14/07/2016, dep. 2017, Faiella, Rv. 269296; Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893, Sez. U, n. 25932 del 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692).

Inoltre, sempre con riferimento alla prima eccezione della difesa, gli Ermellini hanno puntualizzato l’indispensabilità di una esatta delimitazione dell’onere motivazionale del giudice in materia di provvedimenti cautelari reali, giacché la prescrizione della necessaria autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il doveroso fondamento, nonché di quelli forniti dalla difesa, impone al giudice di esplicitare, anche eventualmente per relationem, le ragioni per le quali ritiene di poter attribuire, al compendio indiziario, un significato coerente alla integrazione dei presupposti normativi per l’adozione della misura; con la conseguenza che la mancanza di un apprezzamento indipendente, rispetto agli atti valutativi espressi dai diversi attori processuali, è equiparata alla omessa motivazione ed integra, pertanto, il vizio di violazione di legge (Sez. 2, n. 7258 del 27/11/2019, dep. 2020, Esposito, Rv. 278509; Sez. 3 n. 2257 del 18/10/2016, dep. 2017, Burani, Rv. 268800).

Una volta delineati i principi operanti in materia, la Suprema Corte ha esaminato la vicenda processuale.

In particolare, è stato rilevato dai giudici di via Cavour che, con sentenza n. 36461 del 15/05/2019, la stessa Corte annullava – come detto – tale ordinanza con rinvio al Tribunale del riesame di Roma per nuovo esame, avendo riscontrato una carenza argomentativa relativamente all’imputabilità alla consulente dei reati tributari.

In tale pronunzia, veniva rilevato l’omesso esame dei motivi di ricorso concernenti: “a) la compresenza di un’altra commercialista nella “(omissis) s.r.l.”, la quale svolgeva le funzioni di consulente negli stessi anni, mentre la ricorrente rivestiva il solo ruolo di consulente del lavoro della sola «(omissis) s.r.l.››; b) le ragioni deIla individuazione del ruolo di consulente fiscale di fatto attribuito alla ricorrente; c) il contributo da lei concretamente apportato in relazione alle attività indicate nei capi di imputazione e alla loro incidenza sulla realizzazione degli illeciti tributari”.

Con il provvedimento impugnato, vale a dire l’ordinanza del 20 settembre 2019, il Tribunale del riesame, in sede di giudizio di rinvio, ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P..

Il giudice del rinvio ha individuato la sussistenza del fumus boni iuris, del concorso della consulente nei reati contestati all’effettivo titolare delle tre società, nel rispetto del principio enunciato dalla pronunzia rescindente – e conforme al consolidato orientamento di questa Corte – secondo cui, “per la configurabilità del concorso nel reato tributario del consulente fiscale, occorre un contributo di quest’ultimo concreto, consapevole, seriale e ripetitivo e che il professionista abbia coscientemente ispirato la frode, anche se di questa ne abbia beneficiato il solo cliente (Sez. 3, n. 1999 del 14/11/2017, dep. 2018, Addonizio, Rv. 272713; Sez. 3, n. 24166, del 05/05/2011, Cascino, non massimata)”.

A tal riguardo, i giudici della cautela hanno rilevato che l’effettivo titolare delle tre ditteera amministratore di fatto della società «(omissis) s.r.l.››, società avente sede legale in (omissis), coincidente con la residenza anagrafica del legale rappresentante (omissis), che aveva assunto la carica di liquidatore dal 1° dicembre 2015. Il (omissis), per eseguire gli appalti dei quali era aggiudicataria tale società, non utilizzava il personale della società; egli, tuttavia, al fine di non sopportare il costo del lavoro e il debito IVA maturato sul compenso ricevuto con l’appalto eseguito in favore dei propri clienti, ne faceva risultare esternalizzati formalmente i costi, posto che utilizzava il personale dipendente della «(omissis) s.r.l.››, della quale la ricorrente era consulente del lavoro”.

In particolare, si è ritenuto che egli “utilizzava la «(omissis) s.r.l.›› come una cartiera, al fine di creare artificiosamente dei costi deducibili relativi al personale”. È stato altresì acclarato, nel corso delle indagini svolte dalla Guardia di Finanza, che la sede societaria coincideva di fatto con un appartamento di proprietà del (omissis), ma in uso ad un terzo soggetto. Il terzo soggetto dichiarava di non possedere documentazione societaria, ma di ricevere solo la posta relativa alla società «(omissis) s.r.l.›› e ad altre società riconducibili al soggetto prestanome, per poi consegnarla alla moglie di quest’ultimo, in quanto lo stesso era affetto dal morbo di Parkinson da ventidue anni e non autosufficiente.

I giudici rilevano altresì che la consulente indagata “… sebbene formalmente consulente del lavoro della «(omissis) s.r.l.››, aveva provveduto nel 2014 all’invio della comunicazione dei dati IVA del 2014 per la «(omissis) s.r.l.››; dichiarava di essere stata in possesso della documentazione contabile della società verificata solo dal febbraio 2015 fino al 1° dicembre 2015 e di averla poi riconsegnata al (omissis) in tale data, come da ricevuta di riconsegna; sosteneva di non poter esibire le fatture emesse nei confronti della società «(omissis) s.r.l.››, non avendo mai percepito il compenso di euro cento pattuito col (omissis)”.

L’organo giudicante ha, inoltre, ricostruito dettagliatamente il meccanismo di frode fiscale realizzato dal titolare effettivo e co-indagato delle società coinvolte sancendo che “la (omissis) era solo formalmente separata dalla società «(omissis) s.r.l.››, ma in realtà era lo strumento attraverso il quale il (omissis) schermava la propria attività illecita. Ciò emergeva da varie circostanze: a) le due società avevano la medesima sede; b) entrambe erano prive di strutture aziendali o di beni o di documentazione contabile; c) la cooperativa era formalmente rappresentata da prestanomi, ma in realtà era gestita esclusivamente dal (omissis) (vedi le dichiarazioni del dipendente (omissis); d) il fatturato della società «(omissis) s.r.l.›› era rivolto al 95% alla sola «(omissis) s.r.l.››, per la quale evidentemente lavorava in esclusiva (dichiarazioni di (omissis), addetta alla redazione materiale delle fatture); e) la società «(omissis) s.r.l.›› si riforniva di carburante ai serbatoi posti nel piazzale antistante alla sede operativa della società «(omissis) s.r.l.›› e quest’ultima aveva registrato un anomalo consumo di carburante per i pochi mezzi a lei formalmente intestati”.

Di particolare rilevanza probatoria appaiono essere le valutazioni effettuate dal Tribunale del riesame, in merito alla condotta della consulente, allorquando si sostiene che la medesima “… di fatto svolgeva il ruolo di consulente fiscale e contabile, come riconosciuto dai dipendenti della società «(omissis) s.r.l.››: 1) la (omissis) la individuava come consulente del lavoro competente a predisporre le buste paga, analogamente a quanto affermato dal dipendente (omissis); 2) l’(omissis) ricordava di averla vista presso gli uffici della «(omissis) s.r.l.›› e di averle consegnato due volte documenti della società «(omissis) s.r.l.›› consegnatigli dall’(omissis); 3) il (omissis) riferiva di essersi recato da lei perla consegna di documentazione della società su incarico del (omissis) e di averla vista varie volte presso la sede sociale, indicandola quale commercialista della società; 4) la (omissis), oltre a considerarla commercialista della società, la indicava come destinataria delle fatture della società «(omissis) s.r.l.›› e dichiarava di aver parlato varie volte con lei in ufficio; 5) la stessa (omissis) ammetteva di aver inviato la dichiarazione IRAP 2014 della società «(omissis) s.r.l.›› e il modello 770 del 2014 per la società «(omissis) s.r.l.›› (cioè dopo la cessazione della (omissis) dall’incarico) nonché di non aver più rapporti professionali col (omissis), ma di svolgere attività di gestione e di deposito della contabilità di una sua società, la « (omissis) s.r.l.›› e della società «(omissis)››”.

Alla luce di tali elementi, il citato organo giudicante:

  • da un lato, non ha ritenuto attendibili le dichiarazioni fornite della consulente ricorrente;
  • dall’altro, ha statuito – di conseguenza – che “l’esauriente e dettagliata illustrazione delle ragioni della configurabilità della partecipazione della (omissis) reati ascrivibili al (omissis) consente di escludere la sussistenza di carenze motivazionali rilevabili in sede di legittimità”.

In tale ottica, la Suprema Corte ha sancito, con la sentenza in commento, il seguente principio di dirittoil contributo causale del concorrente può manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa non solo in caso di concorso morale ma anche in caso di concorso materiale, fermo restando l’obbligo del giudice di merito di dimostrare l’esistenza di una reale partecipazione e di precisare sotto quale forma essa si sia manifestata, in rapporto di causalità efficiente con le attività poste in essere dal concorrenti (Sez. 4, n. 1236 del 16/11/2017, dep. 2018, Raduano, Rv. 271755; Sez. 1, n. 7643 del 28/11/2014, dep. 2015, Villacaro, Rv. 262310; Sez. U, n. 45276 del 30/10/2003, Andreotti, Rv. 226101)”.

In stretta aderenza a tale principio, il giudice del gravame ha chiarito gli elementi documentali e testimoniali, sulla base dei quali ha ritenuto la consulente a conoscenza della situazione patrimoniale delle predette società, dei collegamenti tra le stesse, del nominativo dell’effettivo titolare, del nominativo del prestanome e dei nominativi dei dipendenti (ove esistenti); ha descritto la tipologia dei contributi apportati alla realizzazione degli illeciti tributari, tra i quali le operazioni fiscali da lei eseguite, il suo pieno coinvolgimento nella vita di tutte le società collegate all’effettivo soggetto imprenditore, la sua posizione di soggetto di riferimento per lavoratori e terzi, le attività materiali di consegna e di ricezione di documentazioni rilevanti per le società, ecc.. Nell’ambito di tale compiuta rappresentazione del quadro indiziario a carico della ricorrente, la stessa si limita a censurare sostanzialmente profili di logicità e di coerenza, doglianze che non possono trovare ingresso nella sede in commento.

Per tutto quello che precede, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato la consulente al pagamento delle spese processuali.