di Francesco Serra
- IL CASO
Con la risposta in epigrafe indicata, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito esaustivamente quanto postole da un contribuente in tema di tassazione sul reddito del “telelavoratore”, statuendo che vada applicato, assumendosene la responsabilità, il regime convenzionale sull’esonero dal versamento delle ritenute alla fonte di cui all’art. 23 del D.p.r n. 600 del 1973 “previa presentazione da parte del telelavoratore di idonea documentazione volta a dimostrare l’effettivo possesso di tutti i requisiti previsti dalla Convenzione1 per beneficiare del regime di esenzione”.
Orbene la vicenda oggetto di interpello prende le mosse dai dubbi sorti in un imprenditore nel settore dei software, il quale ebbe ad assumere un lavoratore presso la propria azienda concedendogli la possibilità di svolgere, temporaneamente, la sua attività in modalità “telelavoro” nello Stato di residenza, cioè il Regno Unito, giacché iscritto nelle liste AIRE dal 2019.
È bene evidenziare, ad onor del vero, come quest’ultimo, assunto dall’azienda dell’interpellante nel 2011, lavorava nel Regno Unito dal 1° agosto 2017 e, sulla base di una serie di proroghe accordate, il periodo di “telelavoro” si sarebbe concluso il 31 luglio 2021. Invero, le specifiche perplessità nelle more manifestate dall’istante, a ragion veduta, vertevano sull’obbligo da parte sua – in ossequio all’art. 15 della Convenzione per evitare la doppia imposizione sottoscritta dall’Italia e dal Regno Unito il 21 ottobre 1988 e ratificata con legge 5 novembre 1990, n. 329, nonchè ed ai sensi dell’articolo 23, comma 1, lett. C del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir) – di effettuazione delle ritenute a titolo d’acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche” o alternativamente “se, in base alle disposizioni contro la doppia imposizione, detti emolumenti non fossero fiscalmente rilevanti in Italia e quindi non soggetti alle predette ritenute”.
2. LA SOLUZIONE DELL’INTERPELLANTE.
Tuttavia, nel fornire una soluzione logico – interpretativa a suffragio della propria tesi, l’istante rassegna plurime considerazioni. Anzitutto, in ragione delle norme sopracitate, evidenzia come le prestazioni lavorative siano da ritenersi eseguite in Italia, laddove il contribuente interpellante, quale sostituto d’imposta, è obbligato ad operare le ritenute sui relativi emolumenti dal lavoratore percepiti, riprendendo con ciò ed in via confirmatoria quanto oramai acclarato dalla Dottrina2 prevalente in ordine alla disciplina del telelavoro, la quale osserva come: “il luogo in cui deve ritenersi svolta l’attività lavorativa è quello in cui ha sede l’azienda in quanto è presso questa che si manifesta l’attività svolta, a nulla rilevando il luogo nel quale la prestazione è effettuata (nel caso di specie, abitazione del lavoratore)“3. A tacer d’altro e concludendo il ragionamento, egli richiama altresì la Convenzione4 fiscale con la Germania, nella fattispecie l’articolo 15, paragrafo 1, precisando che ai fini convenzionali, per tutti i lavoratori dipendenti che non siano residenti, “il criterio di collegamento ai fini dell’attrazione dei redditi di lavoro dipendente nella potestà impositiva di uno Stato è costituito dal luogo in cui è svolta la prestazione lavorativa. In altre parole, ai sensi del citato articolo 15, paragrafo 1, uno Stato contraente ha potestà impositiva, oltreché sui redditi di lavoro dipendente ovunque prodotti dal soggetto residente, anche sui redditi di lavoro dipendente prodotti da un soggetto non residente sempreché, però, la prestazione lavorativa sia svolta nel suo territorio”, significando con ciò che il trait d’union per l’applicazione di un’eventuale operatività delle ritenuta sia, giust’appunto, il territorio in cui si esegue la mansione professionale.
3. IL PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE.
Nel preliminare passaggio argomentativo del parere reso, l’Agenzia è stata particolarmente chiara, fornendo elementi inconfutabili riguardo la valutazione “fattuale” dei criteri di individuazione della residenza fiscale, giustificati dal fatto che il lavoratore, come riportato nell’atto introduttivo dell’interpello, fosse cittadino del Regno Unito, ed in ossequio all’art.11, comma 2 dello Statuto del Contribuente, essa rivendica la propria terzietà in detta vicenda affermando che: “La risposta dell’amministrazione finanziaria, scritta e motivata, vincola con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza di interpello, e limitatamente al richiedente. Qualora essa non pervenga al contribuente entro il termine di cui al comma 1, si intende che l’amministrazione concordi con l’interpretazione o il comportamento prospettato dal richiedente. Qualsiasi atto, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio, emanato in difformità dalla risposta, anche se desunta ai sensi del periodo precedente, è nullo”,
Entrando nel merito della questione, l’Agenzia ha dapprima richiamato l’art. 23, comma 2, lett. C del Tuir rammentando che sono prodotti in Italia “quei redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato”, per poi esaminare la disciplina di cui all’art. 15 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito, la quale prevede, al paragrafo 1, che “i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente. Se l’attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato”. Nella fattispecie, l’Agenzia, rendendo nota la propria posizione interpretativa, ha ritenuto gli emolumenti protagonisti del casus belli non essere fiscalmente rilevanti in Italia, quindi non soggetti alle ritenute d’acconto, dal momento che gli emolumenti erogati rispondono a prestazioni svolte da remoto nel Regno Unito.
In linea con tale tesi, ella richiama, derogando alla succitata disciplina generale, proprio il paragrafo 2 del medesimo articolo 15, prevedendo, peraltro, la tassazione esclusiva nello Stato di residenza anche per i redditi erogati in corrispettivo di un’attività di lavoro subordinato svolta nell’altro Stato sempreché ricorrano congiuntamente tre specifiche condizioni:
-A) il beneficiario soggiorna nell’altro Stato per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale 183 giorni nel corso di un qualsiasi anno fiscale;
-B) le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato;
-C) l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile;
In conclusione, secondo l’Agenzia è quindi dirimente il luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, e qualora i risultati della prestazione lavorativa fossero utilizzati in territorio italiano, la tassazione del reddito non potrebbe che avvenire solo e soltanto nel Regno Unito, ove è fisicamente presente il dipendente della società, ritenendo la società beneficiaria del regime di esenzione convenzionale.
1 Ulteriore aspetto vagliato e che ha opportunamente meritato ragguardevole considerazione è lo scopo sostenuto da tali trattati: ossia prevenire e falcidiare principalmente i problemi nascenti dalla doppia imposizione, ma che incorporano anche quegli obiettivi votati a contemperare i possibili effetti dell’evasione fiscale internazionale, per il tramite sia dello scambio di informazioni, sia della tassazione verosimilmente discriminatoria; Fra tutti si veda UCKMAR V., CORASANITI G., DE’ CAPITANI DI VIMERCATE P., “Diritto tributario internazionale”, Cedam, 2009, pag. 6; PISTONE A., L’ordinamento tributario, 73, Cedam, 1986, pag. 28.
2 Sull’argomento si veda UCKMAR V., Diritto tributario internazionale, Cedam, Padova, 2005, pag. 495 ss.
3 Interpello n. 296 del 27.04.2021, pag. 3.
4 Interessante sul punto SANTAMARIA B., Diritto tributario – fiscalità internazionale, pag. 528, Giuffré, 2011, evidenziando il ruolo di rilievo ricoperto dalla potestà impositiva la cui derivazione è di matrice internazionale. Detti accordi sono assolutamente necessari per chiarire come debba “effettuarsi la tassazione nell’ipotesi in cui un soggetto intraprenda rapporti economici con entrambi gli Stati in relazione.