Le ultime settimane che ci separano dall’appuntamento referendario del 4 dicembre preannunciano una coda di campagna referendaria ferale e senza esclusione di colpi

L’errore originario di Renzi – quello di associare i quesiti da sottoporre agli italiani alla sua persona, promettendo in caso di sconfitta di chiamarsi fuori – non è stato possibile ripararlo e, come un cappio al collo, malgrado vani e ripetuti tentativi di divincolarsi, caratterizzerà il dibattito fino alla fine e certamente si rifletterà – non è dato sapere in che misura – sul voto. Così, il premier italiano ha deciso di giocarsi la partita nella maniera in cui l’ha incautamente impostata, confidando sul fatto che un incremento della propria credibilità internazionale e del consenso presso gli italiani, agevolerebbe l’affermazione del “sì”. Al netto delle apparizioni televisive di Renzi dove, va detto, non ha mai sfigurato, sono da leggere in quest’ottica il viaggio negli Stati Uniti in visita ad Obama, dove ha raccolto lodi e promozione anche personali, e la voce grossa rispetto all’Ue e all’Unesco. L’eliminazione di Equitalia, che verrà sostituita da un’altra agenzia di riscossione e il decreto fiscale che scongiura il solito condono non pagando però gli interessi “aumentati talvolta al doppio o al triplo in modo scandaloso”, ancorchè positivi, fanno parte del medesimo disegno. Risvegliare dal letargo la propria popolarità in vista di un ricasco positivo in ottica referendum.

Il fronte del “no”, pronto a dar battaglia a prescindere, intravedendo nella sconfitta del “si” un’occasione irripetibile per la spallata decisiva, si è compattato. A parte le ragioni spesso bislacche addotte, dando una scorsa ai personaggi che compongono questa armata Brancaleone, ci si rende facilmente conto delle ragioni malsane che animano i sostenitori del “no”. Ragioni assolutamente poco patriottiche e molto di rancore e bottega.

La vittima principale di questa campagna referendaria è la costituzione stessa, maltrattata da insulse guerre di potere che hanno trasformato un momento di dibattito importante per il futuro del paese nella solita tiritera governo si governo no. L’aspetto più assurdo di questa questione è che il cuore pulsante del no alla riforma risiede nello stesso partito di cui il premier è espressione. Fa capo a D’Alema, da tempo a latere del dibattito politico ma sempre presente nelle fasi decisive, il quale conduce una battaglia personale contro Renzi dall’alto della sua fondazione, in vista soprattutto della resa dei conti definitiva che avverrà in occasione del congresso del PD l’anno venturo. Proprio lui, incapace quando avrebbe potuto di riformare lo stato con una ristrutturazione costituzionale ancor più netta, si scaglia ora contro questa opportunità per questioni d’ordine squisitamente personale e di fronda interna. Questo approccio alla cosa pubblica non appartiene, per carità, solo all’anziano e poco saggio D’Alema ma è assai comune presso tutta la classe dirigente italiana che denota un’assenza di maturità e senso dello stato preoccupanti. Riguarda Grillo, concentrato esclusivamente sul voto (salvo poi maledire tutte le volte che vince). Riguarda Salvini che considera il 4 dicembre una semplice tappa di avvicinamento alla caduta del premier. Riguarda diversi sepolcri imbiancati della Prima repubblica, creduti – a torto – riposti in un cassetto e chiusi a chiave per sempre, come De Mita, Pomicino, Bobo e Stefania Craxi, De Michelis. Riguarda eminenti costituzionalisti che, affezionati all’oggetto dei propri studi come alle idee di Platone, malsopportano che vi sia anche un minimo intervento che possa andare a modificare la volontà dello spirito santo che ispirò nel ’46 i padri costituenti. Riguarda i sindacati, addirittura scesi in piazza per dire “no” in difesa della costituzione, fuori tema e inopportuni come spesso gli capita.

Ma l’aspetto che più accende il dibattito è legato alla trasformazione del Senato e al superamento del bicameralismo perfetto. Tale modifica toglie sicuramente campo a molti ex esponenti di spicco della politica che sognavano di morire fra gli agi di una carica dai mille privilegi, non trascurabile quello dell’immunità. Alcuni di questi strenui araldi della “costituzione bellissima”, sognavano magari una nomina a senatore a vita. Ma il Presidente della repubblica non avrà più questa facoltà. Ci sarebbe stato sempre il CNEL, pronto a ospitare qualche trombato di lusso, per affollare il ramo degli inutili e costosi. Verrà soppresso. Una cosa è certa fin da subito: l’errore originario di Renzi resta e ce lo porteremo dietro fino alla chiusura dei seggi il 4 dicembre; l’irresponsabilità a tratti miserabile che contraddistingue il grosso della nostra politica, anche oltre.