Le ragioni per il sì ci sarebbero e sono ben visibili ad un’attenta analisi sine ira et studio

Soprattutto depoliticizzando la questione, facendone un affare esclusivamente costituzionale, pratico, depurandolo da ogni tentazione di polemica politica e strumentale.

La modifica proposta, quantunque perfettibile e relativamente soft, non può destare perlomeno viva curiosità e interesse sano per un tentativo di rendere più fluido ed efficace l’iter legislativo, abbattendo moderatamente i costi, eliminando organi ridondanti e parassitari. Soprattutto agevolando l’opera di formazione e successiva approvazione delle leggi superando una volta per tutte il celeberrimo “bicameralismo perfetto” (che di perfetto ha avuto ben poco sinora se non la capacità di contribuire alla debolezza politica del paese), in grado in 70 anni di stravolgere leggi – studiate e pensate in un modo e partorite in un altro – scongiurando la perniciosa “navette”, ossia il ping pong tra Camera e Senato.

Un Senato che sarebbe una volta per tutto destinato a rappresentare gli ambiti locali e le loro istanze, senza la possibilità di intervenire nel processo legislativo quotidiano e di aumentare a dismisura la sciagurata pratica dell’ostruzionismo, già a sufficienza presente fra i 630 deputati.

Risultato: allineamento ad altri grandi paesi occidentali che – sarà un caso – più snelli funzionano meglio e costano meno; impossibilità di doppie maggioranze che rendano vita dura ai governi favorendo papocchi e instabilità frequenti; riduzione dei costi, essendo i “nuovi senatori” esponenti locali “trasmessi” a Roma solo in determinate occasioni che riguardino da vicino l’aspetto locale delle questioni in agenda; fine della nomina da parte del Presidente della Repubblica dei senatori a vita; drastica riduzione del famigerato decreto legge e delle leggi delega con conseguente velocizzazione e rafforzamento dell’iter legislativo; rafforzamento tendenziale de facto dell’azione governativa con velocizzazione di tutti i processi in fieri; riduzione di 315 beneficiari dell’immunità parlamentare.

Altro punto è l’abolizione del Cnel ente improduttivo, praticamente inutilizzato che pure rappresenta un gravame sui bilanci statali, assorbendo 18 milioni euro l’anno. Già nel 1997 la Commissione bicamerale per le riforme costituzionali stava per sopprimere l’art. 99 della Costituzione a esso inerente, ma il sollevamento dei sindacati e delle varie corporazioni toccate nei privilegi lo impedì.

La legge elettorale, da cambiare, fa storia a sé e centra nulla con le riforme costituzionali inerenti il titolo V, che attengono il funzionamento della macchina statale.

Oltretutto il premier Renzi si è impegnato a modificarla in ogni caso. Elementi positivi pertanto ve ne sono e se solo il dibattito si incetrasse su di essi, anziché bypassarli in vista del dopo, sognando cadute, campagne elettorali sanguinose e nuovi posti da occupare – che amputando il Parlamento di una Camera elettiva si ridurrebbero di parecchio – si potrebbe discutere più serenamente e in modo senz’altro più proficuo su un qualcosa di molto affascinante come la Costituzione. E magari la si potrebbe criticare con cognizione di causa e credibilità maggiori, attaccando ne la riforma non per quello che fa, ma semmai per quello che ancora non fa ma dovrebbe.