Le ragioni del referendum nella ragnatela dei social network

Finalmente il 4 Dicembre si voterà per il Referendum al fine di approvare o meno la modifica di 47 articoli della nostra Costituzione.

Non c’è dubbio che in base ai mezzi e alle risorse di ciascuno, le parti si sono impegnate nel fare propaganda per il sì e per il no, e tutti hanno fatto ricorso ai “social” per arrivare più o meno ovunque.

Fatto particolare è che i famosi sondaggi non abbiano impazzato, fortuna ha voluto che la Brexit e l’elezione di Donald Trump in America abbiano sfatato questo assillante ricorso a ridurre le persone a numeri.

A volte quando c’è in ballo una questione importante si ha come la sensazione che si crei una sorta di caotica furia che in modo sfrenato, ingloba in un vortice tutte le opinioni senza fermarsi sulle singole frasi, sui contesti nazionali e internazionali in cui le cose avvengono. E’ vero, questi sono i tempi dell’informazione veloce, dei tweet, degli sms, degli hashtag, delle frasi spot e delle parole chiave; tutto è più facile e rapido, del resto i ritmi della vita oggi sono elevatissimi fino all’esaurimento e per star loro dietro bisogna per forza usare una comunicazione sintetica, ma a tratti se ci si ferma un attimo, si sente come aleggiare sulla propria testa questo turbinio di parole, di idee e di pensieri che si confondono e si aggrovigliano l’uno all’altro senza nulla distinguere. Si arriva persino a pensare di aver compreso qualcosa nel merito di un dibattito, di un blog, ma in realtà, la comprensione reale è cosa di un’élite, riguarda coloro che vogliono occuparsi dei cambiamenti o dei non cambiamenti.

C’è da chiedersi allora quanto effettivamente oggi il popolo sia emancipato, quanto riesca ad emanciparsi in questa sovrapproduzione di esperti, di frasi e di gruppi.

Questo correre dietro alle opinioni e al consenso sembra non generare conoscenza ma caos.

C’è chi parla col e per il popolo, chi spiega, chi nega, chi invita a riflettere, a leggere e a condividere: ma oggi il popolo sa fare qualcosa da solo?

E’ educato all’indipendenza e alla riflessione? Si muove nell’azione consapevole? Il popolo sa quel che vuole? Vive in un sistema che gli permette di essere libero dalle opinioni di chi è più importante e che conta?

Bombardato ogni giorno da mille pareri perfino internazionali, il popolo viene istruito su cosa deve avere paura, come si deve comportare per scongiurare eventi catastrofici, cosa conta nel mondo, dove andare, chi votare, come eleggere, come arrangiarsi per vivere, cosa sono lo spread e le agenzie di rating al momento di ogni crisi o solo paventato cambiamento.

Esso può parlare e leggere su ogni social network. Ognuno può far conoscere le proprie idee e arrivare ovunque grazie alla rete, basta “partecipare”.

Già, il popolo ha il desktop, ha i “click” e i “like”; al di fuori della rete intanto c’è chi fa le cose per lui.

Forse questa sembra più una ragnatela che una rete.

Convincere è diverso che far capire.

Ma il popolo oggi, abituato a un “laissez faire” che sembra quasi non gli competa, rassegnato a un modo di vivere senza una politica che regola e ultimamente, appiattito anche sulla consapevolezza che non è necessario che voti per scegliersi un governo, lo sa che deve comprendere le cose o se lo deve lasciar dire?

Oggi esiste il popolo della rete; qualcuno però preferiva e, può darsi che preferisca ancora il popolo che lottava per l’emancipazione, per il lavoro, per i diritti, per l’indipendenza, per un ideale, per il salario, per difendere la propria terra e i propri prodotti.

E’ chiaro che senza consapevolezza di ciò che si è, si era e si potrebbe essere, ogni mezzo è importante per orientare voti, quindi i social giocano un ruolo fondamentale in quanto possono arrivare a chiunque e chiunque può averne accesso.

Ma ciò che più colpisce è che oggi ci si attiene solo a dare o meno consensi.