di Francesco Serra

Di derivazione anglosassone e sviluppatosi inizialmente nella tradizione giuridica dei Paesi di Common Law, il Trust (1), allo stato attuale e con una Pandemia in atto che ha messo in ginocchio tutto il sistema economico, politico e sociale dell’intero pianeta, continua ad affermarsi, con insistenza e discolpa, quale esclusivo strumento giuridico di pianificazione patrimoniale, accordando adeguate garanzie e, più specificatamente, dimostrandosi l’unico atto cautelativo e di gestione del patrimonio, mobiliare ed immobiliare.

Pur palesando con i fatti la sua indiscussa utilità, il trust, a tutt’oggi, risulta un istituto giuridico di complessa strutturazione e sul quale incombono e sussistono incontrovertibili incertezze teoriche ancorché interpretative. Lo stato dell’arte, in ordine agli aspetti civilistici più rilevanti, per citarne uno, quello legato astrattamente all’azione esecutiva, continuano a destare enormi perplessità soprattutto in considerazione del suo debito indirizzo. La sensazione che tutto questo suscita può facilmente ricondursi alla scena della toppa troppo piccola che tenta maldestramente di coprire un buco troppo, troppo grande. Dette conseguenze vanno inevitabilmente a propagarsi anche sotto un profilo squisitamente fiscale, indebolendone la correlata linea direttrice, la cui discutibile scaturigine può ravvisarsi, esemplificativamente, nell’assoggettabilità dell’imposta di successione e donazione in ordine al conferimento di beni nel trust(2).

Questo contributo, alla luce delle considerazioni rassegnate, si propone di fare il punto sulla sua regolamentazione giuridica, dando respiro e sistematicità alla sua già articolata disciplina tributaria, senza tuttavia tralasciare taluni aspetti operativi ultronei, offertici dalla Prassi e dalla Giurisprudenza tout court.

  1. IL TRUST ED IL SUO RICONOSCIMENTO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO

Per relazionare dettagliatamente in merito all’annosa, quanto più dibattuta, natura giuridica ed istitutiva del trust, si ravvisa la necessità, esigendone una riconsiderazione in senso più ampio, di intervenire sul rapporto intercorrente tra esso ed il concetto sia di proprietà, civilisticamente inteso, sia quello legato al vincolo di destinazione delle cose. Ebbene se da un lato, il nostro Ordinamento, ai sensi dell’art. 832 c.c., professa il diritto di godimento e di disposizione in pienezza ed esclusività delle cose, entro ovviamente i limiti e con gli obblighi da quest’ultimo imposti, dall’altro riconosce opportunamente, in via tipica ed atipica, la facoltà di imporre ad un bene o ad un insieme precipuo di beni, specifici vincoli di destinazione, tanto più che queste limitazioni abbiano ad alterare tutta una serie di prerogative in capo al titolare del bene o dei beni, e conseguentemente ai rapporti con i terzi relativamente ad esso o ad essi. Da ciò ne deriva la perdita dell’assolutezza di matrice liberale da sempre caratteristica tipica quantunque primaria del diritto di proprietà, facendo spazio ad una particolare forma di “privazione temporanea” del bene o dei beni in possesso ad altro soggetto. Seguendo proprio l’elaborazione di tradizione anglosassone, il trust si basa sul presupposto secondo il quale: “un soggetto disponente (o settlor) trasferisce, per atto inter vivos o mortis causa, taluni beni o diritti a favore di un terzo, denominato trustee, il quale li amministra, con i diritti e poteri di un vero e proprio proprietario, per un fine determinato e nell’interesse di un beneficiario (o beneficiary) (3), avendo fondamentalmente quale primario obiettivo, in tal senso, quello di eseguire congiuntamente taluni rapporti giuridici sulla scorta delle volontà elencate dal disponente”. Caratterizzato quindi da una singolare duttilità e versatilità non riscontrabile in altri strumenti giuridici tipizzati dal nostro Ordinamento e che perseguono le stesse finalità normo-giuridiche – si pensi al fondo patrimoniale ex art. 167 c.c. oppure al contratto fiduciario -, e con il fine di rispondere comunque “all’esigenza fondamentale di separare o proteggere un patrimonio con l’intestazione di quest’ultimo ad un amministratore che, pur diventandone proprietario, lo gestisce secondo i modelli posti in essere dal disponente in favore dei soggetti beneficiari(4)”, il trust, nel tempo, è riuscito ad affermarsi progressivamente nel nostro Ordinamento, interfacciandosi, seppur con evidenti difficoltà, con le norme di diritto interno, nelle sue fasi istitutive, ma soprattutto in quelle patologiche, riuscendo per la prima volta ad assicurare una disgiunzione fra titolarità del diritto di proprietà e interesse per il quale il diritto è esercitato attraverso la separazione del “trust fund”(5).

Senza troppo divagare in una genesi storica a lungo ripercorsa, nel nostro paese, nonostante l’assenza di una disciplina della materia che lo riguardasse, il trust ebbe a ricevere il suo indiscutibile riconoscimento giuridico con l’adesione dell’Italia alla Convenzione dell’Aja del luglio 1985, ratificata con la Legge n. 364 del 16 ottobre 1989 e successivamente entrata in vigore il 1 gennaio 1992. Così come vero è che la procedura d’integrazione del Trust nel nostro Ordinamento non soltanto non è stata priva di ostacoli nel suo divenire, ma per piegare certune resistenze sottese al suo riconoscimento interno, ebbe a necessitare dell’ausilio della dottrina, oltre che della giurisprudenza, sia per quanto concerne l’accettazione del concetto di segregazione patrimoniale, insito nel trust e che, “violativo” dell’art. 2740 c.c., sarebbe stato in potenza agevolativo di ipotetiche dissoluzioni patrimoniali per conto del debitore, eludendo con ciò talune sue responsabilità, sia in relazione all’assorbimento della normativa extra-codicem, di modo che si andasse a dubitare dello scopo ultimo della ratifica n. 364.

2. IMPOSIZIONE INDIRETTA E DIRETTA DEL TRUST.

Atteso l’oramai consolidato e frequente ricorso al trust, quale fondamentale strumento di autonomia privata, tanto che “esso consente di risolvere una serie di problemi molto sentiti nella moderna economia mobiliare che richiede di poter costituire patrimoni separati destinati a vari scopi predeterminati(6)”,

numerosi sono stati e sono ancora gli interrogativi e le incognite afferenti il presupposto d’imposta del trust.

Preliminarmente, giova rammentare come la Convenzione dell’Aja in materia di trust, ai sensi dell’art. 19 qui citata testualmente “non pregiudicherà la competenza degli Stati in materia fiscale”, dando il potere agli Stati aderenti di espletare in piena autonomia l’applicazione tributaria più adeguata al trust.

A tal proposito, venne posto, all’attenzione degli addetti ai lavori, la vexata quaestio concernente il riconoscimento del trust quale soggetto passivo d’imposta, giacché non ritenuto persona giuridica. Il vuoto normativo era tale, e l’eccessivo catalogo di forme di trust non consentiva un’agevole categorizzazione dell’istituto, al fine di inquadrare unitariamente la materia.

Nell’ipotesi relativa ai vincoli di destinazione, si preferì aderire alla Legge n. 286 del 2006 reintroducendo l’obbligo di tassazione di successioni e donazioni poiché il retroterra civilistico era riconosciuto come identico a quello sul quale si poggiava il medesimo regime tributario, riferendosi indistintamente ancorchè estensivamente a tutti quegli istituti la cui disciplina positiva fosse assimilabile a quella del trust.

In particolare, il dettato normativo di cui all’art. 2, comma 47 della summenzionata legge, ebbe a lasciare pochissimi dubbi circa la portata applicativa dell’imposizione fiscale del trust con quella dei contratti fiduciari, ritrovandosi gli analoghi caratteri strutturali e funzionali di base. A migliorare il suesposto ambito applicativo, il Legislatore, segnatamente, ebbe ad integrare le lett. B) e C) dell’art. 73 del TUIR, di modo che i trust residenti nel territorio dello Stato sarebbero rientrati fra i soggetti passivi dell’IRES (7),

assieme agli enti diversi dalle società distinguendosi per questo in trust commerciali e non commerciali, in ragione del fatto che essi avessero, quale oggetto esclusivo o principale, l’esercizio di attività commerciali o meno.

Con riguardo sempre alle imposte dirette, con l’entrata in vigore della Finanziaria del 2007 – per intenderci i commi 74,75 e 76 dell’art. 1 della Legge n. 296 del 2006 – il Legislatore si applicò nell’ offrire una soluzione, tanto precisa quanto pragmatica, agli innumerevoli interrogativi sollevati in seno alla dottrina, andando così ad introdurre per ciascuna tipologia di trust due regimi impositivi generali che si sarebbero avvicendati, a seconda della loro correlata disciplina e della individuazione palese del beneficiario. E’ evidente che fu proprio quest’ultimo uno dei motivi per cui si andò ad integrare la disciplina ex art. 73 del Tuir; ciò nonostante, una parte della Dottrina palesò forti perplessità sull’elaborazione normativa, ritenendo conseguentemente che alla conclamata perdita di catalogazione casistica, si affiancò un totale sacrificio di opportunità, proveniente da approcci sistematicamente orientati (8).

Ad ogni buon conto, lo scopo perseguito dal Legislatore del tempo, attraverso le modifiche apportate all’art. 73 del dpr n. 917 del 1986, fu quello di inserire il trust in una delle categorie dei soggetti passivi d’imposta, ed equipararlo così:

agli enti commerciali residenti ex art. 73, 1° comma, lett. b, allorquando avessero ad oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali; agli enti non commerciali residenti di cui all’ art. 73, 1° comma, lett. c, qualora non avessero per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali; agli enti non residenti se possessori di residenza fiscale estera.

Notevole rilevanza andrà ad assumere ovviamente la residenza del trust quale luogo di produzione dei redditi, determinandosi con ciò il presupposto impositivo. Se la regola generale della competenza territoriale per il trust residente si sostanzia in un assoggettamento impositivo globale dei redditi prodotti; di contro nella distinta ipotesi di trust non residente, la qualificazione tributaria territorialmente competente si basa sui redditi prodotti nel territorio dello Stato ex. art 23 Tuir, con ovvia esclusione dei redditi di provenienza estera come da disposizione normativa ex artt. 151 e 153 Tuir (9).

In conseguenza di ciò se ne trae anche l’assunto per il quale il trust, in base al dettato normativo frutto delle modifiche ed integrazioni predette, viene riconosciuto definitivamente quale soggetto passivo di Ires dal Legislatore, qualsiasi sia la sua natura o la sua struttura operativa, con l’imprescindibile caratteristica dell’autonoma capacità contributiva, ovviamente difforme da quella dei soggetti interessati – disponente, trustee e beneficiario (10); così va a giustificarsi anche il suo inserito asservimento impositivo, in concomitanza con l’ambito applicativo tributario agli enti commerciali o non commerciali e, nel caso di non residente, a quella applicabile alle società e agli enti non residenti, come poc’anzi accennato. Seguendo il solco che illo tempore ebbe a tracciarsi per mezzo della Finanziaria del 2007, il Legislatore tributario, con lo scopo precipuo di definire e analizzare maggiormente il concetto di autonomia impositiva ai fini dell’assoggettamento del trust all’Ires, previde, ai sensi del 2 comma dell’art. 73 del Tuir, un’eccezione alla regola generale, a tenore della quale: “nei casi in cui i beneficiari del trust fossero individuati, i redditi conseguiti dal trust verranno imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali”, evincendosi in tal senso, dalla disposizione de qua, che il dettato normativo di cui alla Finanziaria predetta ebbe volutamente ad operare una distinzione determinante ai fini fiscali di tutti i meccanismi impostivi delle imposte sui redditi, in ordine sia ai trust senza beneficiari riconosciuti ( trust cd. opaco), sia ai non riconosciuti (trust cd. Trasparente) (11).

In un’ottica d’insieme, giova porre l’accento sul fatto che l’obiettivo che ha inteso raggiungere la normativa in rassegna fu quello di collocare il trust quale nuovo soggetto passivo di Ires a fianco delle società e degli enti non societari, e che lungi dal volersi confondere con esse. Il dato secondo cui l’istituto del trust, da un punto di vista squisitamente impositivo, sia stato affiancato, non anche assimilato, a quello delle categorie testè elencate, si ricava dal medesimo dettato normativo, avendo il Legislatore disposto tale accostamento tecnico “ai sensi delle lett. b), c) e d) del comma 1 e, in tutti i casi, tale accostamento è stato operato impiegando la formula “nonché i trust” ovvero “compresi i trust” (12).

Così come, in virtù di una posizione privilegiata e sovraordinata del trust, il Legislatore ha imposto, al pari degli altri enti non societari, l’obbligo di tenutezza delle scritture contabili per il tramite della modifica normativa di cui all’art 13 del dpr 600 del 1973.

A tacer d’altro, ai fini delle imposte dirette, non è necessariamente detto che l’assoggettabilità ad essa debba esclusivamente riferirsi al solo trust.

In talune ipotesi ricorrenti, il reddito prodotto dal trust è da ricondursi ai suoi diretti beneficiari.

Difatti, nell’ipotesi di trust cd. trasparente, l’art. 73 del Tuir esplicita come: ”nei casi in cui i beneficiari del trust siano individuati, i redditi conseguiti dal trust sono imputati in ogni caso ai beneficiari in proporzione alla quota di partecipazione individuata nell’atto di costituzione del trust o in altri documenti successivi ovvero, in mancanza, in parti uguali”.

Ed ovviamente questa configurazione normativa fa il paio con l’individuazione del soggetto che esprime la relativa capacità contributiva oggetto d’imposizione fiscale.

Naturalmente, per far sì che il beneficiario soggiaccia ad essa, non soltanto egli dovrà essere nominativamente indicato nell’atto costitutivo, ma dovrà direttamente percepire quella parte di reddito proveniente dal trust e che, per pubblicità e nel segno della “trasparenza” gli è stato destinato. Un problema si potrebbe porre allorchè il trustee decida, in via del tutto discrezionale, la destinazione dei redditi in forma pro quota ai beneficiari, rischiando di essere fortemente penalizzati a causa di detta imputazione fiscale e tutto ciò in aperta violazione dell’art. 53 della nostra costituzione. A fugare dubbi di sorta, è intervenuta la prassi per il tramite della Circolare n. 48/E dell’Agenzia delle Entrate, a mente della quale “…è necessario, quindi, che il beneficiario non solo sia puntualmente individuato, ma che risulti titolare del diritto di pretendere dal trustee l’assegnazione di quella parte di reddito che gli viene imputata per trasparenza”, di conseguenza la tassazione è correlata ad una immediata ed originaria riferibilità al reddito prodotto (13), escludendo con ciò qualsiasi forma di discrezionalità del trustee.

Ad adiuvandum, dacchè il Legislatore ebbe a riferirsi a “beneficiari del Trust”, si sarebbe potuto porre il problema sull’imputazione del reddito, atteso la presenza di un beneficiario da reddito destinato al trust e beneficiario del patrimonio del trust. In detta ipotesi, se per i primi il presupposto impositivo incombe sin dalla percezione del reddito sotteso al trust, per i secondi la tassazione va ad ingenerarsi solo alla scadenza del trust stesso (14).

3. TRUST ESTERO: INTEGRAZIONI NORMATIVE

Ai sensi del D.P.R del 22 dicembre 1986 n. 917, Testo Unico delle Imposte sui Redditi TUIR, art. 44, rubricato “Redditi di capitale”, comma 1 lett. g-sexies “ i redditi imputati al beneficiario di trust ai sensi dell’articolo 73, comma 2, anche se non residenti, nonché i redditi corrisposti a residenti italiani da trust e istituti aventi analogo contenuto, stabiliti in Stati e territori che con riferimento al trattamento dei redditi prodotti dal trust si considerano a fiscalità privilegiata ai sensi dell’articolo 47-bis, anche qualora i percipienti residenti non possano essere considerati beneficiari individuati ai sensi dell’articolo 73”. La citata lettera, aggiunta dall’art. 1, comma 75, L. 27.12.2006, n. 296, con decorrenza dal 01.01.2007, è stata poi così modificata dall’art. 13, comma 1, lett. a), D.L. 26.10.2019, n. 124 con decorrenza dal 27.10.2019 e dalla legge di conversione, L. 19.12.2019, n. 157, con decorrenza dal 25.12.2019.

Quello introdotto dal c.d. Decreto Fiscale 2019 si presenta come un intervento fortemente innovativo per quanto riguarda il regime tributario applicabile ai redditi realizzati da trust esteri e successivamente distribuiti a un beneficiario residente in Italia.

L’intento del Legislatore della riforma è chiaramente antielusivo ed il fine dichiaratamente perseguito è quello di sottoporre a tassazione i redditi corrisposti dai trust situati in Stati o territori a fiscalità privilegiata, nei confronti di beneficiari fiscalmente residenti in Italia. Nel nostro Ordinamento giuridico, come si ha avuto modo di evidenziare, al trust viene riconosciuta natura di “soggettività passiva d’imposta” ai fini reddituali. Viene riconosciuto al Trust la qualifica di organizzazione idonea ad esprimere un’autonoma capacità contributiva (art. 73, comma 1, del T.U.I.R.), distinta rispetto a quella dei soggetti interessati (disponente, trustee e beneficiario) (15). Come la dottrina ha recentemente messo in evidenza, la conseguenza di tale osservazione è che “L’inserimento del trust nell’impalcatura sistematica dell’imposta sul reddito ne comporta l’assoggettamento, in dipendenza dell’attività in concreto svolta, all’insieme di regole applicabili agli enti commerciali o non commerciali e, qualora non residente, alla disciplina applicabile alle società e agli enti non residenti” (16).

Ciò detto, punto nevralgico dell’intera impalcatura logico-giuridica è la constatazione che la fissazione della residenza del trust incide sulla configurabilità del presupposto territoriale d’imposizione dei redditi. Da questo discende che …”Se il trust residente risulta soggetto al principio della tassazione “mondiale” dei redditi ovunque prodotti, il trust non residente deve qualificarsi come soggetto passivo unicamente con riferimento ai redditi prodotti nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 23 del T.U.I.R., con esclusione dei redditi di fonte estera (artt. 151 e 153 del T.U.I.R.)” (17).

Ci si sente sicuri nel ritenere che la disposizione introdotta dal Decreto Fiscale, ossia l’art. 13 del citato Decreto, interviene a modificare la lettera g- sexies) dell’art. 44 del Testo Unico, mantenendo la previsione secondo cui assumono la qualifica di redditi di capitale “i redditi imputati al beneficiario di trust ai sensi dell’art. 73, comma 2, anche se non residenti”. Di talché la novità legislativa  consiste nel disporre che la stessa qualificazione reddituale deve essere data anche a “i redditi corrisposti a residenti italiani da trust e istituti aventi analogo contenuto stabiliti in Stati e territori a fiscalità privilegiata ai sensi dell’art. 47- bis, anche qualora i percipienti residenti non possono essere considerati beneficiari individuati ai sensi dell’art. 73”. Il nuovo testo porta con sé, ovviamente, delle problematiche interpretative anche di tipo sistematico. Sul testo, in merito alla tipologia di trust, si possono effettuare alcune considerazioni: a) la prima parte della lett. g-sexies) è riferita ai redditi prodotti dai trust trasparenti (18); b) la seconda parte individua come redditi di capitale anche i redditi “corrisposti” da trust ed enti assimilabili non residenti “anche qualora i percipienti residenti non possono essere qualificati come beneficiari individuati“. Nella seconda parte della disposizione vengono identificati, quindi, redditi di capitale anche i redditi corrisposti, a determinate condizioni, da trust opachi (19).

In altre parole, da quanto normativamente introdotto la portata realmente innovativa della riforma non si riduce alla qualificazione di redditi da trust in una delle categorie previste dall’art. 6 del T.U.I.R., ma nell’introduzione, quantomeno letterale, di un autonomo presupposto d’imposizione. Quello che diviene oggi in virtù di tale modifica oggetto di tassazione è una manifestazione di capacità contributiva in cui prima difettava il presupposto dell’imposizione reddituale. Quanto indicato è rispondente alla ratio della disposizione per come individuata in sede di lavori preparatori e dalla stessa relazione illustrativa al Decreto i cui obiettivi dichiarati, tra gli altri, sono quelli di “risolvere problematiche di carattere interpretativo e operativo, sottoponendo a imposizione nei confronti dei beneficiari italiani i redditi distribuiti dai trust opachi esteri stabiliti in Paesi a fiscalità privilegiata” (20).

Come la dottrina ha messo in evidenza “Secondo la relazione illustrativa infatti, nella previgente disposizione normativa l’ambito applicativo era da circoscrivere ai redditi imputati ai beneficiari individuati (i.e. trust trasparenti), e non anche nel caso di beneficiari del reddito non individuati (i.e. trust opachi)” (21).

In merito all’ambito di applicazione di quanto analizzato avendo la stessa natura innovativa dovrebbe trovare applicazione a far tempo dal periodo d’imposta 2020 e non retroattivamente. Inoltre, a ben osservare non appare applicabile a qualunque trust opaco residente all’estero. Detta disciplina dovrebbe trovare applicazione infatti esclusivamente a trust opachi residenti in Stati e territori a fiscalità privilegiata (22).

La riforma in esame ha affrontato il tema della tassazione dei beneficiari del trust, con particolare riguardo al caso del trust non residente e il “…legislatore ha scelto di introdurre normativamente la revisione della tassabilità in capo ai beneficiari dei frutti percepiti da un trust estero opaco. La circolare n. 61/E del 2010, travisando il dato letterale della norma, ha affermato che i beneficiari residenti sono tassati sulle attribuzioni di frutti nonostante il trust sia opaco, in quanto non vi è certezza che tali frutti abbiano già scontato idonea tassazione” (23)

In conclusione, il Legislatore, allo stato attuale, non ha recepito l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate ammettendo la tassabilità dei beneficiari solo in presenza di trust extracomunitari con un livello impositivo eccessivamente ridotto.


[1] Sulla materia in oggetto, si veda M. Lupoi, Istituzioni del diritto dei trust negli ordinamenti di origine e in Italia, III ed., Padova, 2016.

[2] In considerazione dell’applicabilità dell’imposta di successione e donazione del trust “autodichiarato” si veda Cass., 24 febbraio 2015, n. 3737, in banca dati Big suite;

[3] Fra tutti cfr. V. Uckmar – Corasaniti – P. de’ Capitani di Vimercate – C. Corrado Oliva, Manuale di Diritto Tributario Internazionale, Padova, 2009, pag. 270 ss;

[4] Capolupo S., Maggiori poteri (?) per l’individuazione del titolare effettivo nei trust, in “il fisco” n. 7 del 2020, pagg. 1-641;

[5] Sul punto, cfr. H. Hansmann – U. Mattei, The Function of Trust Law: A Comparative Trust Legal and Economic Analysis, in N.Y.U. Law review, 1998, 438, ripreso da Ravera A., Il trust in Dir. e Prat. Trib., 2018, 1, pag. 456;

[6] In tal senso A. Gambaro, Trust, in D. dir. priv., sez. civ., pag. 460.

[7] G. Fransoni, La disciplina del trust nelle imposte dirette, in Riv. Dir. Trib., 2007, I, pag. 240 il quale asserisce come sia “proprio l’omogeneità strutturale, e non la denominazione formale, che presiede all’individuazione delle categorie soggettive (anzi delle categorie in generale)”. Si veda anche P. Laroma Jezzi, la fiscalità dei trust aspettando i trust di diritto italiano, in Riv. Dir. Trib., 2012, pag. 585 e ss.

[8] G. Fransoni, op. loc. cit., pagg. 240 e ss.

[9] A. Longo – A. Sandalo, Il nuovo Criterio di tassazione dei redditi da Trust esteri, in Fisco, 44, Ipsoa, 2019, pag. 4246;

[10] D. Stevanato, Il regime fiscale del Trust tra punti fermi e questioni irrisolte, in Corr. Trib., n. 2, 2008, pag. 95;

[11] Si veda altresì sul punto O. F. Mansi, Il trust e le imposte sui redditi: rebus sic stantibus, in Notariato, 20, 1, Ipsoa, pag. 84, il quale, avvalora giuridicamente l’assunto integrativo secondo cui: “Se, infatti, l’art. 73, comma 1, T.U.I.R. indica in modo esplicito i trust quali soggetti passivi IRES, ciò non implica una soggettività assoluta degli stessi ai fini dell’imposizione diretta e, tanto, proprio in ragione della previsione di cui al comma 2 del medesimo articolo, che introduce una soggettività del trust ai fini IRES condizionata dalla mancanza di beneficiari; ovvero, è possibile considerare il trust soggetto passivo IRES (solo) se dalla lettura dell’atto istitutivo e dall’analisi di altri documenti collegati, non risultino individuati i beneficiari. Al contrario, nel caso di trust trasparente, il trust non subisce alcuna imposizione IRES ed i redditi sono tassati direttamente in capo ai “beneficiari individuati”.

[12] G. Fransoni, op. loc. cit., ripreso da A. Ravera, il Trust, in Dir. E Prat. Trib., 2018, 1, pag. 456;

[13] Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 425/E del 5 novembre 2008;

[14]  A. Ravera, op. loc. cit., in contrapposizione con la prassi dell’Amministrazione finanziaria si veda V. A. Vicari, La soggettività passiva del trust nelle imposte dirette tra interposizione fittizia, simulazione e riqualificazione, in Trusts e attività fiduciarie, 2011, pag. 475.

[15] D. Stevanato, “Il regime fiscale del trust tra punti fermi e questioni irrisolte”, in Corr. Trib., n. 2/2008,pag. 95.

[16] A. Longo – A. Sandalo, Il nuovo criterio di tassazione dei redditi distribuiti da trust esteri, in Fisco, 2019, 44, 4246.

[17] A. Longo – A. Sandalo, Il nuovo criterio di tassazione dei redditi distribuiti da trust esteri, in Fisco, 2019, 44, 4246.

[18] Ai sensi del citato art. 73, comma 2, imputati e tassati per trasparenza in capo ai beneficiari individuati.

[19] A. Longo – A. Sandalo, Il nuovo criterio di tassazione dei redditi distribuiti da trust esteri, in Fisco, 2019, 44, 4246.

[20] Ennio Vial, Tassazione dei beneficiari del trust alla luce del Decreto fiscale 2020, il commercialista telematico, il 6 novembre 2019

[21] Davide Cotroneo, Trust opachi esteri con una nuova tassazione, in IPSOA, 2019.

[22] Dario Augello, Trust esteri opachi tassati in Italia se paradisiaci, in EUTEKNE, ottobre 2019.

[23] Ennio Vial, Tassabili i frutti dei trust esteri opachi, IPSOA, 2019.