(CASSAZIONE SENT. DEL 09.06.2021 N. 36195)
di Francesco Serra
La Suprema Corte, con la Sentenza in commento, si è espressa sul tema della responsabilità dell’amministratore di diritto rispetto a quella dell’amministratore di fatto nella commissione dei reati tributari di cui agli artt. 5 e 10 del D. Lgs. 74/2000, pur trattandosi di “mero prestanome”.
La Corte d’Appello di Milano, con sentenza datata 15 ottobre 2020, confermava il provvedimento precedente del Giudice dell’udienza preliminare condannando l’imputato alle pene di legge per i reati di cui agli art. 110, 81 cpv cod. pen. e 5 D.Lgs. n. 74/2000 e 110, 81 cpv e 10 D.Lgs. n. 74/2000.
Il ricorrente, nelle more del ricorso, lamentava anzitutto il fatto che la condanna fosse scaturita in ragione della carica, seppur formalmente ricoperta, di amministratore della società, pur qualificandosi quale mero amministratore di diritto (rectius, “testa di legno”). Lo stesso, infatti, era solo un esecutore di disposizioni da altri soggetti impartitegli, circostanza in ordine alla quale non sussisterebbe il dolo specifico previsto dalla norma incriminatrice.
Per completezza espositiva e prima di esaminare compiutamente la sentenza in argomento, pare opportuno ripercorrere, seppur in maniera non esaustiva, gli illeciti penali tributari di cui si dibatte.
Orbene, gli artt. 5 e 10 del D. lgs. 74 del 2000 disciplinano l’omessa dichiarazione e l’occultamento o distruzione delle scritture contabili, mediante i quali si tutelano da un lato “la tempestiva ed integrale percezione del tributo da parte dell’Erario1“dall’altro “la trasparenza fiscale”.
Come per la maggior parte delle ipotesi incriminatrici rubricate nel D.Lgs. n. 74/2000, l’art. 5 rientra nella categoria dei reati cosiddetti propri, ossia commessi da soggetti con specifica qualifica, nel caso di specie contribuenti individuati ed obbligati alla presentazione della dichiarazione.
In ordine alla regolare detenzione delle scritture contabili e a differenza dell’omessa dichiarazione, nel delitto di cui all’art. 10 d.lgs. 74 del 2000 l’autore del reato può essere qualsiasi individuo, tipico dei reati cosiddetti “comuni”. In particolare, il soggetto deve, rispetto all’interesse tutelato, garantire, nel solco della più autorevole Dottrina, “l’ostensibilità delle scritture e dei documenti contabili per non ostacolare la funzione di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, non essendovi dubbio che, in tale prospettiva, la documentazione contabile rivesta un ruolo imprescindibile2“
Nel gioco degli addebiti rilevati, avendo rammentato il fatto che la realizzazione dei medesimi può attribuirsi esclusivamente a determinati e qualificati soggetti, non è un caso che quest’ultimi vengano individuati dal legislatore alla luce del ruolo o della carica ricoperti nello specifico.
Ciò detto, quanto rileva nella vicenda in parola è soprattutto la preclusione, con riferimento agli illeciti fiscali commessi in ambito societario, nell’attribuire la commissione di detta ipotesi incriminatrice a chiunque indistintamente sia operativo nell’impresa, consolidandosi la posizione di responsabilità penale in capo a chi occupa il vertice e/o la rappresentanza della società, come concretamente verificatosi.
Altro dato di non poco momento è quello legato all’art. 110 c.p. a mente del quale: “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti”.
In effetti, stante la presenza nella compagine societaria di un amministratore di fatto e di uno di diritto, la Giurisprudenza di legittimità ha ritenuto di favorire il consolidamento del proprio orientamento maggioritario ritenendo così il primo responsabile della gestione societaria a prescindere dalla fittizietà e, quindi, degli eventuali illeciti tributari ricommessi ed il secondo, avendo gli stessi identici doveri del rappresentante legale, di tutte le condotte penalmente rilevanti allo stesso addebitabili per il suo contributo di carattere materiale o morale.
Va da sé che, in ossequio all’art. 40, comma secondo c.p. in forza del quale: “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo” l’illecito penale di cui all’art. 10 D.Lgs. 74/2000, “è ascrivibile all’imputato a titolo di concorso per omesso impedimento dell’evento (tra le più recenti, Cass., Sez. 3, n. 1722 del 25/09/2019, dep. 2020, Passoni, Rv. 277507-01)” dal momento che in concorso con l’amministratore di fatto si è messo in pericolo la conservazione del patrimonio sociale e la opportunità di impedire danni alla tenuta della società in virtù della posizione di garanzia che la normativa civilistica gli attribuisce.
In conclusione, il Supremo collegio, con la pronuncia in commento, ribadisce quanto sostenuto dall’orientamento giurisprudenziale testè richiamato, statuendo che l’amministratore di diritto risponde al pari dell’amministratore di fatto dei reati tributari, più specificatamente dei reati di cui agli artt. 5 e 10 del D.Lgs. n. 74/2000, rispondendo direttamente l’imputato per l’omessa presentazione della dichiarazione, e – a titolo di concorso – per la fattispecie di occultamento e distruzione di documenti contabili.
La Corte, altresì, conferma quanto fatto in termini di buon governo da parte dei giudici di merito, ed evidenzia l’assunto secondo il quale l’imputato fosse assolutamente cosciente degli obblighi assunti e della posizione di garanzia in capo ad esso, disinteressandosi per giunta della diffusa illegalità che gli si muoveva attorno, il tutto confermato dal collegato procedimento per bancarotta fraudolenta definitosi ai sensi del disposto 444 c.p.p..
In conclusione, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dall’imputato amministratore di diritto condannandolo al pagamento delle spese processuali.
1 Si veda NOCERINO C. – PUTINATI S., La riforma dei reati tributari, le novità del D. Lgs. n. 158/2015, Giappichelli, 2015, pag. 106 e ss., da cui può evincersi una più sostanziale approfondimento dottrinale sul tema.
2 NOCERINO C. – PUTINATI S., op. cit., pag. 154; si veda sul punto anche MUSCO E. – ARDITO F., Diritto penale tributario, Bologna, 2012, pag. 252 e ss., in considerazione del fatto che l’accertamento del bene giuridico tutelato si debba muovere, in linea di massima, su base analitico-contabile.