CASSAZIONE SENT. DEL 02 DICEMBRE 2021 N. 37952

di Francesco Serra

Con la recente sentenza, la Corte di Cassazione si è occupata del tema del danno erariale nel caso di operazioni ritenute inesistenti.

La vicenda trae abbrivio a seguito del disconoscimento, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di un credito IVA vantato dalla società per l’anno d’imposta 2002 in quanto ingenerato in maniera artificiosa sotto forma di compravendite fittizie. In particolare, è stato ricostruito lo schema secondo il quale la società A cede alla società B un terreno per £ 2.350.000.000 miliardi a maggio 2001 e lo ricompra a dicembre per £ 2.810.000.000 miliardi.

In primo grado l’impugnazione dell’avviso di accertamento non conseguì alcun risultato.

Altrettanto si prospettò in appello per la società ricorrente, che nelle more del giudizio era dichiarata fallita.

A sostegno della predetta decisione il giudice d’appello ha improntato il suo convincimento in relazione al compendio indiziario presentato in giudizio, in quanto grave, preciso e concordante e, pertanto, idoneo a sorreggere la pretesa impositiva: si è appurato, infatti, come le due società coinvolte nella rapida sequenza di compravendite facevano capo a un unico soggetto; inoltre, le due compravendite sono avvenute in un brevissimo lasso di tempo tale da comprovare l’inconsistenza delle ragioni addotte a sostegno della seconda compravendita; inoltre, i Giudici di seconde cure hanno fatto notare la evidente discordanza tra le modalità di pagamento indicate nei contratti diversamente a quanto veniva riportato nelle scritture contabili delle società, essendo risultati pagamenti avvenuti in un momento successivo alle compravendite.

Per quanto sopra, la sentenza d’appello conveniva con le eccezioni formulate dall’Agenzia in ordine alle compravendite, quali operazioni volte a costituire un ingente credito IVA in favore della prima società.

Avverso detta Sentenza, il curatore del fallimento della società propose ricorso per ottenerne la cassazione, affidandolo a ben sette motivi, cui l’Agenzia non ha risposto con difese scritte.

La Cassazione ha rigettato il gravame della società pur compensando le spese di giudizio per mancanza di attività difensiva.

Invero, il Giudice di legittimità ha avuto modo di ritenere che:

1. non produce alcun rilievo la circostanza per la quale le società avrebbero dichiarato e versato l’IVA da ciascuna dovuta;

2. di contro, rileva la formazione artificiosa e macchinosa del credito IVA da parte della cessionaria e, dunque, la rettifica del medesimo;

3. la vexata qaestio, cioè il credito d’imposta, scaturisce dalle difformi basi imponibili provenienti dalle due compravendite, motivo per cui l’esistenza di quel credito s’impianta nel rischio di perdita di gettito fiscale;

4. quanto al principio di neutralità, rileva la Suprema Corte, esso “si traduce in quello di parità di trattamento, sicché, al cospetto del debito d’imposta di uno dei soggetti passivi della catena di operazioni, nessuna rilevanza ha il fatto che il soggetto che abbia realizzato l’operazione corrispondente all’anello successivo della catena abbia assolto l’iva (in termini, tra le ultime, Cass. 29 settembre 2021, n. 26342 e 3 agosto 2021, n. 22092; nella giurisprudenza unionale, sulla irrilevanza dell’intenzione di un operatore che intervenga nella stessa catena delle cessioni, si veda Corte giust. 27 giugno 2018, cause C-459 e C-460/17, SGI, punto :38). Specularmente non si configura alcuna doppia imposizione, riscontrabile qualora la pretesa impositiva sia fondata sul medesimo presupposto e nei confronti del medesimo soggetto (Cass. 24 settembre 2015, n. 18917), non già quando la pretesa si basi su diversi titoli e nei confronti di soggetti diversi (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27625)”.

Di talché, le conclusioni a cui è approdata la Corte sembrano comunque porsi in contrapposizione con ultronee pronunce dello stesso Giudice di legittimità, e anche della Corte UE, che per converso valorizzano, ai fini del diniego della detrazione o spettanza del rimborso, la sussistenza o meno di un danno erariale, posto in essere dall’omesso versamento dell’imposta dovuta.

Infatti, in diverse pronunce (tra le altre, Cass. Sent. n. 10974/2019 e Ord. n. 7080/2020) si ebbe già a chiarire che il contribuente è “tenuto a versare l’imposta per l’intero ammontare indicato, fermo restando il diritto del contribuente al rimborso dell’imposta versata qualora venga accertato dal giudice di merito che sia stato eliminato in tempo utile qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale”, essendo “del tutto irrilevante che la Contribuente sia stata indotta al descritto pagamento dall’azione di accertamento e di repressione operata dall’Ufficio”.

Nel caso in esame, sembrerebbe però che nessun omesso versamento d’imposta sia stato riscontrato e quindi nessun danno erariale sia configurabile. Pertanto, del tutto errata sarebbe la conclusione circa la asserita irrilevanza dei principi ex causa EN.SA. (c.712/17) a mente dei quali i Giudici di legittimità, in un solco del tutto contrario, statuiscono che: “al cospetto di vendite fittizie di energia elettrica effettuate in modo circolare tra gli stessi operatori e per gli stessi importi, che secondo il giudice del rinvio non avevano hanno causato perdite di gettito fiscale, la direttiva iva, letta alla luce dei principi di neutralità e di proporzionalità, deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che esclude la detrazione dell’imposta sul valore aggiunto (iva) relativa a operazioni fittizie, imponendo al contempo ai soggetti che indicano l’iva in una fattura di assolvere tale imposta, anche per un’operazione inesistente, purché il diritto nazionale consenta di rettificare il debito d’imposta risultante da tale obbligo qualora l’emittente della fattura, che non era in buona fede, abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di gettito fiscale. In quel caso, difatti, si aveva riguardo a operatori che cumulavano la qualità di emittenti le fatture e di destinatari di esse, e a operazioni concernenti le medesime quantità di energia per il medesimo prezzo: di contro, nel caso in esame il credito d’imposta scaturisce giustappunto dalle diverse basi imponibili delle due compravendite ed è proprio l’esistenza di quel credito a radicare il rischio di perdita di gettito fiscale”.

In ogni caso, è possibile il palesarsi di un onere sanzionatorio, comprensivo altresì del diniego di detrazione, che costituirebbe una evidente sanzione implicita, del tutto sproporzionata al danno erariale, di non provata realizzazione.

La sentenza in commento, pertanto, si conforma al diritto unionale, ragion per cui: “il meccanismo di detrazione dell’iva (nonché quello omologo del rimborso del credito da eccedenza detraibile) mira sì a sgravare interamente l’imprenditore dall’onere dell’Iva dovuta o assolta nell’ambito di tutte le sue attività economiche, purché, però, esse siano soggette all’imposta”.