La sconfitta del sì al referendum potrebbe aprire scenari imprevisti sia in senso positivo che negativo. Il mondo non si sbilancia, tende a sdrammatizzare, ma ci osserva con attenzione, pronto a intervenire. Lo spread per ora è sotto controllo e i leader internazionali si complimentano con Renzi e il suo tentativo andato a vuoto. Del resto anche Hollande andrà a casa presto e Angela Merkel proverà a cimentarsi nella mission impossible di rappresentare ancora i tedeschi per un quinquennio.

L’occasione persa nonostante le argomentazioni del no non lascerà comunque inevasa sine die la questione del “cambiamento istituzionale” e della necessità di entrare nella Terza repubblica ma la ritarderà. Le dimissioni di Renzi non vanno intese come un abbandono irrevocabile ma suonano piuttosto come una ritirata strategica in vista della grande partita interna legata al congresso del Pd. Si avrà l’opportunità finalmente di far chiarezza dentro un partito attraversato da correnti e conflitti in vista delle prossime elezioni. Dopo aver sperimentato il fronte comune del no referendario, si avrà anche in seno a un centrodestra orfano di Berlusconi l’opportunità di ricostituirsi attorno a un programma e magari a un leader meno compromettente di Salvini, più vicino al populismo grillino che all’autorevolezza e alla moderazione che una formazione di centrodestra richiederebbe. Intanto, accantonato momentaneamente Renzi, sarà la volta di Gentiloni che dovrà rappresentare l’Italia – in una sorta di continuità soft – ai grandi appuntamenti che l’attendono nel 2017, in primis il G7 a presidenza italiana. Il 2017 sarà davvero un “anno speciale” per la politica estera italiana che avrà un “ruolo chiave” in Europa e nel Mediterraneo. Ci sarà inoltre l’anniversario dei trattati di Roma, e dal 1 gennaio l’Italia parteciperà al Consiglio di sicurezza dell’Onu, avrà la presidenza del processo di Berlino e comincerà ad esercitare la presidenza dell’Osce per il 2018. Senz’altro Renzi anche per queste ragioni sperava di poter rimanere in testa al paese. Avrebbe rafforzato sulla ribalta internazionale la sua leadership interna, consacrandosi come riferimento politico indiscusso anche dei partner esteri. Ma così non è stato e toccherà a Gentiloni far da supplente in attesa di tempi migliori.

Occorre ora prepararsi alle elezioni venture senza perder di vista le questioni legate al lavoro e alla ripresa economica. Inoltre c’è la spada di Damocle delle banche in crisi, MPS in primis, il cui eventuale salvataggio getterebbe l’Italia nelle mani della Trojka che non attende altro che dare una mano.

L’opportunità, difficile da realizzarsi ma effettiva, è costituita dalla possibilità doverosa di tornar a parlare di politica, di problemi, di idee, mettendo da parte – almeno fino a nuovo ordine – antipatie, guerrette, rancori figli di una campagna referendaria lunga quanto il travaglio di una partoriente.

Ben otto mesi!

Ed anche se la chiusura di una campagna ci ha gettato praticamente in un’altra, modificare in fretta l’Italicum e sfruttare la ribalta internazionale degli eventi previsti nel 2017 per siglare accordi importanti, costituirebbero un successo.

Sul tavolo restano la questione migranti e la cooperazione nel mediterraneo, il superamento dell’austerity e il terrorismo. Questo l’intermezzo succoso che ci separa da una nuova sanguinosa campagna elettorale che sancirà il percorso dell’Italia da qui ai prossimi anni. Un anno da sfruttare il 2017, per evitare un avvitamento sotto tutti i punti di vista – economico, politico e sociale – che ci farebbe cadere nelle braccia del populismo più inconcludente e perciò pericoloso dell’Europa occidentale.