a cura di Giuseppe Camera

Proseguiamo nella pubblicazione di una serie di contributi in tema di “ne bis in idem”, facendo seguito al precedente contributo del 24 gennaio 2022.

4. IL CASO A. e B. c. NORVEGIA: REVIREMENT DELLA CORTE EDU

La decisione della Corte EDU, 15 novembre 2016, A e B c. Norvegia, prende le mosse dalla vicenda che coinvolse due cittadini Norvegesi, i quali, attraverso due ricorsi, lamentavano la violazione dell’art. 4 Prot. 7 CEDU, per essere stati giudicati due volte, in sede penale e amministrativa, con riguardo ai medesimi fatti di natura fiscale.

I ricorrenti erano titolari di una società registrata in Gibilterra, la Estora Investment Ltd., attraverso la quale avevano posto in essere diverse operazioni di carattere finanziario. In particolare, dopo aver acquistato le azioni della società Wnet AS, la Estora Ltd le cedette successivamente ad un prezzo notevolmente superiore con un conseguente guadagno per il primo ricorrente di circa 360.000 euro e per il secondo di circa 500.000 euro.

Tali somme di denaro vennero trasferite presso altre due società off-shore, anch’esse controllate dai due ricorrenti, senza che fossero dichiarate le ingenti plusvalenze ottenute al Fisco norvegese, che evidenziò una perdita di circa 3.6 milioni di euro.

Nel 2005, da una verifica fiscale, vennero fuori le sopraindicate transazioni e le relative evasioni, con conseguente comunicazione della notitia criminis all’autorità giudiziaria penale.

Nel 2008 veniva ad essere esercitata l’azione penale nei confronti del primo dei ricorrenti.

Nel mentre, sulla scorta delle dichiarazioni rese dal soggetto in sede di indagini preliminari, per mezzo delle quali egli aveva ammesso le condotte contestate ma negato la loro contrarietà alla legge, l’Autorità fiscale gli comminava una sanzione amministrativa pari al 30% dell’imposta evasa.

Il ricorrente aveva deciso di non impugnare il provvedimento sanzionatorio e di versare l’intero importo dovuto prima della scadenza del termine per l’impugnativa, chiudendo così in breve tempo il procedimento amministrativo.

Nel 2009 si concluse il processo penale di primo grado, con una condanna ad un anno di reclusione per frode fiscale.

Nella quantificazione della pena, il Tribunale aveva precisato di aver tenuto conto della sanzione tributaria già inflitta all’imputato e già versata da costui al Fisco.

La decisione era stata confermata sia in appello sia dinanzi alla Corte Suprema, nonostante il ricorrente avesse già sollevato di fronte agli organi giurisdizionali interni l’eccezione sull’inosservanza del proprio diritto al ne bis in idem, in violazione dell’art. 4 Protocollo 7 CEDU. Stessa “sorte” toccava anche il secondo ricorrente, che, dopo aver ammesso, in sede di indagini, la propria responsabilità con riguardo il reato di frode fiscale, era stato comunque condannato sia dall’Amministrazione finanziaria al pagamento di una somma pari al 30% dell’imposta evasa – pagata senza contestare il provvedimento, sia dall’Autorità giudiziaria ad un anno di reclusione.

Anche in questo caso il Tribunale specificava di aver tenuto conto della sanzione irrogata dalla prima Autorità.

La condanna era poi stata confermata nei successivi gradi di giudizio, nonostante il ricorrente avesse lamentato la violazione del ne bis in idem, per essere stato giudicato due volte in ordine alla medesima vicenda di evasione fiscale.

Anche nei suoi confronti e con argomentazioni pressoché identiche, la Corte Suprema norvegese aveva escluso la sussistenza di una simile violazione.

I giudici norvegesi ebbero modo di rilevare sia che le circostanze che avevano condotto all’imposizione di due sanzioni e allo sviluppo di due procedimenti, erano le medesime, sia che la sanzione amministrativa irrogata aveva natura sostanzialmente penale e che la prima decisione (in entrambi i casi quella tributaria) era divenuta definitiva.

Nonostante questi rilievi, i giudici ritennero che non vi fosse stata alcuna violazione dei diritti fondamentali dei ricorrenti perché i due procedimenti erano stati condotti parallelamente ed in modo tale che si integrassero a vicenda, tanto che, da un lato, l’amministrazione finanziaria aveva valorizzato le prove assunte nel corso del procedimento penale e le dichiarazioni rese in sede di indagini preliminari, e dall’altro ,il giudice penale, ai fini del quantum della sanzione, aveva espressamente tenuto conto di quella amministrativa, evitando un cumulo certamente sproporzionato.

La Suprema Corte norvegese, adottando sia i criteri Engel per la qualificazione della sanzione come sostanzialmente penale, sia utilizzando la nozione di idem fattuale così come formulata dalla sentenza Zolotoukhine, non negava l’applicabilità dell’art 4 Prot. 7 CEDU, tuttavia rilevava come l’applicazione del ne bis in idem avrebbe potuto subire deroghe nei casi di procedimenti paralleli.

Proprio con riguardo ai procedimenti paralleli, la Corte suprema norvegese richiamava alcuni precedenti di inammissibilità della Corte EDU1, in relazione ai quali la stessa Corte non aveva ravvisato una violazione del ne bis in idem.

Sulla base delle argomentazioni dei giudici di Strasburgo, la Corte giungeva ad affermare che i due procedimenti, tributario e penale, sono parte di un’unica reazione sanzionatoria, poiché sono legati da una sufficient connection in substance and time, ovvero, una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta.

Esauriti i ricorsi interni i due soggetti si rivolgevano alla Corte di Strasburgo sostenendo di essere stati soggetti ad una doppia incriminazione per lo stesso fatto.

I giudici di Strasburgo concordano con la Corte Suprema norvegese e riconoscono la natura penale delle sanzioni e, di conseguenza, la potenziale applicabilità del principio del ne bis in idem.

Il tema fondamentale e maggiormente rivoluzionario della sentenza che, secondo alcuni, “segna un netto superamento rispetto ai principi enunciati dalla stessa Corte in tema di ne bis in idem convenzionale e doppio binario sanzionatorio amministrativo e penale”2, è comunque un altro.

Alla Corte veniva chiesto di stabilire se l’art. 4 Prot. 7 precludesse solo i procedimenti consecutivi o anche quelli paralleli per il medesimo fatto.

La Corte rileva come nella sua giurisprudenza vi fossero tre filoni interpretativi accomunati dal fatto di ritenere pacifico che il divieto di bis in idem fosse applicabile anche in caso di procedimenti paralleli sul medesimo fatto, quando uno di questi si fosse concluso con provvedimento definitivo.

Questo criterio era già stato applicato dalla Corte nel 2000 e nel 2005, nei casi R.T. c. Svizzera e Nilsson c. Svezia, ma anche più recentemente, in una sentenza del 2015, Boman c. Finlandia.

In quei casi non era stata ritenuta sussistente la violazione del ne bis in idem convenzionale poiché il provvedimento amministrativo di revoca della patente, disposto in relazione al medesimo fatto per cui il soggetto era già stato sanzionato anche penalmente, era stato irrogato dall’autorità amministrativa senza alcun ulteriore accertamento, dopo aver preso atto che nel frattempo era intercorsa una condanna penale per guida senza patente.

Lo stesso criterio era stato poi utilizzato dalla Corte nella recente sentenza Nykanen c. Finlandia, in questo caso per confermare la violazione del principio del ne bis in idem perché tra i due procedimenti paralleli, penale e amministrativo, non vi era stata alcuna connessione.

In altre sentenze invece il criterio non era stato in alcun modo menzionato, come nella sentenza Grande Stevens c. Italia in cui si era accertata la violazione dell’art. 4 Prot. 7 per la sola circostanza della pendenza del processo penale, una volta conclusosi definitivamente quello amministrativo.

Alla luce della propria casa law, la Corte si è espressa in questi termini.

Innanzitutto, i giudici hanno ritenuto opportuno lasciare un margine di discrezionalità agli Stati contraenti riguardo la definizione delle modalità con cui regolare la materia, tenendo conto sia del fatto che il protocollo non è stato ratificato da quattro paesi (Germania, Paesi Bassi, Turchia e Regno Unito) sia che quattro paesi (Italia, Austria, Francia e Portogallo) hanno ratificato lo stesso apponendo riserve.

D’altro canto, i giudici di Strasburgo hanno premesso che forme di tutela multilivello sono state sempre ritenute conformi con le tradizioni costituzionali di molti paesi europei, e a riprova di ciò, ben 6 paesi (Bulgaria, Repubblica Ceca, Grecia, Francia, Moldavia e Svizzera) sono intervenuti ad adiuvandum del Regno di Norvegia per la volontà di preservare il proprio assetto ordinamentale.

Sul punto la Corte richiama anche la giurisprudenza della CGE, in particolare l’opinione dissenziente dell’Avvocato generale nel caso Fransson.

Questi aveva sottolineato che quello il “doppio binario” rappresenta una pratica diffusa negli Stati membri, ciascuno dei quali ne gestisce l’applicazione in maniera diversa. Il compito della Corte consiste dunque nel verificare che la strategia adottata dallo Stato chiamato di fronte a lei sia o meno il “prodotto di un sistema integrato che permette di affrontare i diversi aspetti dell’illecito in maniera prevedibile e proporzionata, nel quadro di una strategia unitaria3.

Ritiene dunque la Corte al fine di operare un bilanciamento tra gli interessi dell’individuo e quelli dello Stato ad attuare un approccio con sanzioni “integrate” tra loro, la soluzione migliore sarebbe la valorizzazione del test della “sufficiently close connection in substance and time”, già enunciato nei suoi precedenti giurisprudenziali, i quali erano stati richiamati anche dalla stessa Corte suprema norvegese.

Lo Stato deve dimostrare che i due procedimenti paralleli siano strettamente connessi dal punto di vista sostanziale e cronologico.

Ciò implica che, non solo gli scopi perseguiti e i mezzi usati nei due procedimenti devono essere tra loro complementari e collegati nel tempo, ma anche che le possibili risposte sanzionatorie devono risultare proporzionate e prevedibili da parte del contravventore.

Per riconoscere la sussistenza di una stretta connessione sostanziale e temporale, si dovrà dunque valutare:

  • se i procedimenti perseguono scopi complementari, ed hanno ad oggetto, non solo in astratto ma anche in concreto, diversi aspetti della stessa condotta antisociale;
  • se la duplicità dei procedimenti era una prevedibile conseguenza, sia sul piano giuridico che sul piano pratico, della stessa condotta;
  • se i due procedimenti sono condotti in modo da evitare “per quanto possibile” ogni duplicazione nella raccolta e nella valutazione della prova, in particolare attraverso una “adeguata interazione tra le varie autorità competenti in modo da far sì che l’accertamento dei fatti in un procedimento sia utilizzato altresì nell’altro procedimento”;
  • e, soprattutto, se la sanzione imposta nel procedimento che per primo sia diventato definitivo era stata tenuta in considerazione nel procedimento divenuto definitivo per ultimo, per rispettare le esigenze di proporzionalità complessiva della pena.

La sussistenza di un collegamento “nel tempo” tra i due procedimenti è un fattore assolutamente fondamentale; questo non vuol dire che debbano procedere esattamente e strettamente in parallelo: ciò che importa è che il loro svolgimento sia “sufficientemente vicino”.

La Corte, nel caso di specie, ritiene legittima la scelta, operata dal legislatore norvegese, di affidare la risposta sanzionatoria a un doppio ordine di sanzioni.

Questo alla luce del fatto che l’esposizione ad entrambi i procedimenti e ad entrambe le sanzioni era prevedibile da parte dell’individuo e che i rispettivi procedimenti, portati avanti in parallelo, sono stati in concreto strettamente interconnessi.

Da un lato infatti l’amministrazione tributaria aveva basato la propria sanzione sulle dichiarazioni che i soggetti avevano reso in sede di indagini preliminari; dall’altro i giudici penali, nel commisurare la pena, avevano tenuto conto delle sanzioni già irrogate dall’amministrazione tributaria.

I ricorrenti non hanno subito un pregiudizio sproporzionato e ingiusto, perché tra i due procedimenti vi è stata una “connessione sostanziale e cronologica sufficientemente stretta”, tale da considerare i due procedimenti come facenti parte di un unico schema sanzionatorio. Dunque, la Corte esclude la violazione dell’art. 4 Prot. 7 CEDU, nonostante avesse riconosciuto che le sovrattasse del 30 % irrogate a entrambi i ricorrenti avessero natura penale; che i fatti storici alla base delle due decisioni fossero i medesimi, nonostante l’elemento specializzante della frode che caratterizza l’illecito penale; che il provvedimento amministrativo fosse venuto definitivo.

La sentenza, che opera un vero e proprio revirement della Corte, raccoglie un ampio consenso dentro la Grande Camera: sedici voti favorevoli ed un voto contrario del giudice Pinto Albuquerque. Nella sua feroce dissenting opinion il giudice rileva come, con la sentenza in commento e l’adozione del criterio della “connessione sostanziale e cronologica sufficientemente stretta” tra i due procedimenti, la Corte sia giunta a demolire l’approccio garantista della sentenza Zolotoukhine riducendo il principio del ne bis in idem da “diritto individuale ed inalienabile” a “diritto fluido, angusto e illusorio”4. (segue)


1 Cfr. Corte EDU, 30 maggio 2000, R.T c. Svizzera, cit.; Corte EDU, 13 dicembre 2005, Nilsson c. Svezia, cit., e Corte EDU, 17 febbraio 2015, Boman c. Finlandia

2 Cit. P. FIMIANI, Market abuse e doppio binario sanzionatorio dopo la sentenza della Corte EDU, Grande Camera, 15 novembre 2016, A e B contro Norvegia, inwww.penalecontemporaneo.it,( materiale inserito  l’08 febbraio 2017), p.1

3 Cit. § 122 come tradotto da F. VIGANO’, La Grande Camera delle Corte di Strasburgo su ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio, in www.penalecontemporaneo.it, 18 novembre 2016.

4 Cfr. il § 80 della Opinione dissenziente del giudice Pinto de Albuquerque a A. e B. c. Norvegia