Cronaca di un fallimento annunciato
Il 2014 che si appresta a terminare è stato per la politica italiana un anno senza gloria durante il quale il sistema Istituzionale e dei Partiti ancora una volta ha dimostrato tutta la propria incapacità a dare quella svolta necessaria alla guida del Paese per far uscire l’Italia dallo stato di annichilimento etico, sociale oltre che economico in cui da troppi anni è scivolato.
Quali degli obiettivi che politica ed Istituzioni si erano prefissati ad inizio del 2014 sono stati raggiunti? Praticamente nessuno.
In primo luogo delle riforme annunciate dai Governi di centrosinistra non si è visto nulla, né durante l’epoca dell’esecutivo Letta, né tantomeno da febbraio, da quando cioè è Renzi a detenere il timone del Paese.
Nessun passo in avanti si è fatto nella direzione della riscrittura dell’architettura dello Stato e tutto quello che si è toccato è stato modificato in senso peggiorativo: la riforma delle Province ci ha portato via solo l’esercizio democratico delle elezioni che permettevano ai cittadini comunque di nominare direttamente i propri rappresentanti all’interno dei consigli Provinciali ma non ha spazzato via le prerogative intermedie – a volte dei veri e propri doppioni amministrativi – che le province continueranno ad esercitare a detrimento delle tasche dei cittadini. La cessazione del Bicameralismo e la nuova legge elettorale sono altri due esempi tangibili di questo ulteriore fallimento , frutto di accordi stiracchiati intercorsi tra l’esecutivo e le opposizioni interne ed esterne che hanno prodotto solo il mantenimento dello “statu quo”. Il Senato continuerà ad esistere con la sua forza neutralizzante delle disposizioni più importanti approvate dalla Camera e l’Italicum, una volta approvato, ha il solo scopo di ridurre il dibattito parlamentare con l’estromissione dei Partiti più piccoli ed introdurre forzatamente il modello bipartitico in Italia a detrimento del bipolarismo post tangentopoli.
La politica economica e finanziaria di Renzi e Letta, basata sull’inasprimento della tassazione e dal taglio dei servizi, ha portato il Paese alla stagnazione economica e all’impoverimento del potere di acquisto delle classe medie e di quelle socialmente più deboli: disoccupati e pensionati. Essi hanno continuato in politica economica la strada tracciata in precedenza dal famigerato professor Monti: seguire a tutti i costi i dettami imposti da Bruxelles. I risultati di tale stretta tributaria però non hanno portato al raggiungimento del livello del 3% tra il debito pubblico e la ricchezza prodotta dal Paese ma solo ad una robusta crescita della disoccupazione ed ad un calo degli investimenti produttivi da parte delle aziende italiane.
Per quanto riguarda la politica estera italiana è indubbio che essa è stata altrettanto negativa e fallimentare in quanto si è proseguito nel sottostare – anche in maniera maggiore rispetto ai governi di Berlusconi – ai diktat della commissione europea mentre Francia, Germania o Gran Bretagna sono intervenuti in alcune aree di crisi , africa sub – sahariana, conflitto Russo – ucraino e medio oriente,a loro piacimento per difendere i propri interessi nazionali senza preoccuparsi minimamente della politica comune estera fin qui seguita o di come avrebbero potuto reagire gli altri alleati del vecchio continente.
Evidenza tangibile di questo falso europeismo a senso alterno degli stati Europei più forti nei confronti dell’Italia è stato lo svolgersi delle politiche comunitarie in materia di immigrazione clandestina in quanto è stato evidente, fin da subito,come il nostro Paese sia stato lasciato completamente solo – in termini di apporto di mezzi, risorse umane e soldi – nella lotta impari contro l’invasione di disperati che giornalmente subiscono i nostri confini mediterranei.
Totalmente negativo è stata pure l’azione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, è chiaro, ha abdicato da tempo ai suoi doveri di terzietà che la Costituzione gli impone gestendo la situazione parlamentare e quella uscita fuori di volta in volta dalle urne in modo spesso assai spregiudicato.
Anche esso, a secondo dell’occasione, è intervenuto a piedi uniti o dando semplici “buffetti” se a compiere eventuali manchevolezze politiche fosse stato Berlusconi o uno tra Renzi, Letta o Monti. Sempre pronto a mostrare mal di pancia nel caso dell’uso del voto di fiducia parlamentare da parte degli esecutivi guidati dal Cavaliere, adesso mostra un silenzio di tomba sul continuo ricorso di questo istituto da parte dell’ex sindaco gigliato. In verità, tace proprio su tutto il fronte, dimostrandosi la stampella principale dell’attuale esecutivo: esemplificativo di ciò è l’assenza di critiche rispetto all’“annuncite” dell’attuale Presidente del Consiglio visto i continui malcelati malumori nei confronti delle esternazioni del Cavaliere.
Napolitano poi pur amando – almeno a parole – ergersi a difensore della democrazia e degli italiani ha fatto negli anni però strame di questa sua buona intenzione ogni qual volta un Governo uscito dalle urne non gli è stato congeniale: vedi i governi del Cavaliere e quello di Bersani. Se i malumori provenienti da Bruxelles colpiscono i governi di centro destra il polverone era garantito, se come succede, da mesi è l’azione di Renzi ad essere criticata dai partners europei allora il silenzio è d’oro.
Se erano i Governi del Cavaliere ad intavolare discussioni parlamentari sulle modifiche costituzionali ed istituzionali, il “niet” calava salvifico a difesa “tout court” della obsolescente Carta fondamentale della nazione, dei simboli dello stato e di tutto il sistema democratico: al momento che il buon Matteo sta partorendo una “riformicchia” inutile – dalle nuove Province all’Italicum – e a tratti anti democratica, allora nessuno deve disturbare il manovratore.
Quando scendevano in piazza i sindacati contro l’azione politica di Berlusconi, allora i moniti a non svellere il tessuto sociale del Paese – che va da sé era democratico e solidale – si alzavano forti e chiari dal Quirinale;adesso che tutte le categorie – pure le forze dell’ordine – protestano prima contro Monti e ora nei confronti di Renzi, allora esse vengono definite da parte dell’inquilino del colle più alto come proteste conservatrici e retrograde che mirano ad impedire il sacrosanto cambiamento in atto.
Se poi, nel Parlamento c’era aria di fronda nei confronti del Cavaliere, allora il richiamo del Colle nei confronti dell’uomo di Arcore suonava preciso e puntuale, pronto come era Napolitano a coagulare intorno a se stesso le forze contrarie al centrodestra. Quando invece dalle Camere o dai Partiti provengono dei lamenti nei confronti dell’attuale Governo – o prima ancora verso quelli di Monti o Letta – allora il richiamo al senso dello Stato verso gli scontenti era chiaro e forte perché di volta in volta non si poteva andare ad elezioni o perché c’era un semestre europeo da rispettare, oppure perché le borse erano in fibrillazione e non si poteva lasciare il sistema Paese alle recondite volontà della speculazione internazionale.
Alla fin dei conti tutte balle visto che la crisi economica, la disoccupazione, il deficit sono aumentati esponenzialmente con Monti, Letta e Renzi di più di quando successo col Cavaliere in sella ,dimostrazione tangibile questa di quanto l’operato politico di Napolitano sia stato sin qui disastroso.
Egli però d’altro canto incarna proprio le contraddizioni delle Istituzioni politiche italiane: quella rappresentata da un Presidente che la Costituzione ha voluto senza poteri, senza l’imprimatur delle urne e con un valore solo simbolico che però, nel silenzio dei sacri palazzi della politica, tiene le redini del teatrino degli eletti e quella dei partiti incapaci di prendere decisioni, i quali oltretutto auto mutilandosi delle proprie prerogative di Governo trasmessagli dai cittadini attraverso il voto delegano a Re Giorgio parecchie delle funzioni che essi dovrebbero compiere.
L’ultima speranza ed auspicio per il 2015 è che la crisi economica arrivi finalmente agli sgoccioli sia per le tasche degli italiani sia perché in tal modo anche l’ultimo spauracchio che permette a Napolitano di restare in sella cada definitivamente.