a cura di Giuseppe Camera
Proseguiamo nella pubblicazione di una serie di contributi in tema di “ne bis in idem”, facendo seguito al precedente contributo del 2 febbraio 2022.
6. LE SEZIONI UNITE DEL 2013 E IL RAPPORTO DI “PROGRESSIONE” TRA GLI ILLECITI IN MATERIA DI EVASIONE FISCALE
Nella costellazione delle pronunce in tema di doppio binario sanzionatorio una posizione rilevante è occupata dalla sentenza resa dalle Sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione il 28 marzo 20131, relativa al reato di omesso versamento dell’Iva.
In questa sentenza il massimo consesso di legittimità ha rilevato che con l’introduzione dell’art. 10-ter D.lgs. n. 74/2000 “Non si è formalmente determinata la sostituzione di un regime sanzionatorio ad un altro, ma si è aggiunta, alla generale previsione delle fattispecie di illecito amministrativo di cui al primo comma dell’art. 13 D.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, la previsione di una specifica fattispecie penale, ruotante nell’ambito dello stesso fenomeno omissivo ma ancorata a presupposti fattuali e temporali nuovi e diversi”2.
La Suprema Corte ha osservato che “nell’illecito amministrativo il presupposto è costituito dal compimento di operazioni imponibili, comportanti l’obbligo di effettuare il versamento periodico dell’Iva; la condotta omissiva si concretizza nel mancato versamento periodico e il termine per l’adempimento è fissato al giorno 16 del mese successivo a quello di maturazione del debito Iva”.
Di converso, nell’illecito penale il presupposto si rinviene sia nel compimento di operazioni imponibili che comportano l’obbligo di versamento periodico, sia nella presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno precedente ed infine in una condotta omissiva, costituita dal mancato versamento per un importo che supera il limes segnato dalla soglia di punibilità.
Secondo la Corte, quindi, tenuto conto della comunanza di alcuni presupposti (compimento di operazioni imponibili comportanti l’obbligo di effettuare il versamento periodico dell’Iva) e della condotta (omissione di uno o più versamenti periodici), gli elementi costitutivi delle due fattispecie di illecito differiscono in alcuni elementi essenziali : la presentazione annuale della dichiarazione Iva, richiesta solo dall’illecito penale; la soglia minima dell’omissione, presente nel solo illecito penale; il termine di riferimento per l’assunzione di rilevanza dell’omissione, posto, per l’illecito di carattere amministrativo, al giorno sedici del mese successivo a quello di maturazione del debito mensile Iva e coincidente, per l’ illecito penale, con quello previsto per il versamento dell’acconto Iva, relativo al periodo di imposta successivo.
Queste divergenze, come si evince dal testo della sentenza in commento, “inducono a ricostruire il rapporto tra i due illeciti in termini, non di specialità, ma piuttosto di “progressione”: la fattispecie penale – secondo l’indirizzo di politica criminale adottato in generale dal D.lgs. 74/2000 – costituisce una violazione molto più grave di quella amministrativa e , pur contenendo necessariamente quest’ultima, la arricchisce di elementi essenziali( dichiarazione annuale, soglia di punibilità, termine di consumazione), che non sono complessivamente riconducibili al paradigma della specialità” in quanto “ recano decisivi segmenti comportamentali […] che si collocano temporalmente in un momento successivo al compimento dell’illecito amministrativo”3.
Sulla scorta di tali argomentazioni gli Ermellini hanno stabilito che i fatti descritti dalle due fattispecie di illecito non sono i medesimi, così che, in caso di omesso versamento dell’Iva, sono applicabili entrambe le sanzioni, penale e amministrativa, senza che ciò si ponga in contrasto con l’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU e con l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che sanciscono il principio del ne bis in idem.
L’orientamento che statuisce la tesi della “progressione criminosa” è stato seguito anche nella sentenza 37425 del 20 marzo 2013 dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, al cui giudizio era stata sottoposta una questione relativa alla applicabilità dell’art 10-bis D.lgs. 74/2000 (entrato in vigore il primo gennaio 2005) alle omissioni dei versamenti relative all’anno 2004.
La Suprema Corte, nel concludere in senso positivo, ha precisato che ciò non comporta la violazione del principio della irretroattività della norma penale, in quanto la condotta penalmente rilevante non è l’omesso versamento delle ritenute nel termine previsto dalle norme tributarie, ma piuttosto il mancato versamento delle ritenute nel maggiore termine stabilito per la presentazione della dichiarazione annuale, relativa al periodo d’imposta dell’anno precedente.
Nella pronuncia in commento, la Corte ha avuto modo di affermare che l’illecito amministrativo, rappresentato dall’omesso versamento delle ritenute di cui all’art. 13, c. 1, D.lgs. n. 471 del 18 dicembre 1997 e l’illecito penale di cui all’art. 10-bis D.lgs. n. 74/2000 hanno alla base comportamenti diversi e sono integrati da fatti altrettanto diversi; invero, se la fattispecie di reato presenta le caratteristiche già menzionate, d’altro canto, nell’illecito amministrativo la condotta commissiva è costituita dall’erogazione di somme, che comportano l’obbligo di effettuazione della ritenuta alla fonte e di versamento della stessa all’Erario, mentre la condotta omissiva si manifesta nel mancato versamento della ritenuta mensile nel termine per l’adempimento, posto al giorno 16 del mese successivo a quello di effettuazione della ritenuta.
Nella sentenza in commento, ricalcando le argomentazioni proposte nella sentenza n. 37424 del 2013, la Corte ha affermato che, nonostante vi siano una parte dei presupposti e della condotta comuni alle due fattispecie, penale ed amministrativa, gli elementi costituivi divergono in ordine ad alcuni elementi essenziali, e segnatamente dal requisito della certificazione delle ritenute ( richiesto dall’illecito penale), dalla soglia minima dell’omissione ( richiesta solo dall’illecito penale) e dal diverso termine di rilevanza dell’omissione.
Anche in questo caso il rapporto ricostruito dagli Ermellini non si colloca in termini di specialità, bensì in quello di “progressione criminosa; e di conseguenza, qualora l’omesso versamento riguardi ritenute certificate e venga superata la soglia di punibilità, illecito penale ed amministrativo concorrono e potranno essere applicate cumulativamente entrambe le relative sanzioni, senza che ciò comporti la violazione del principio del ne bis in idem.
Le conclusioni affermate dalle due sentenze delle Sezioni Unite del 2013 potrebbero essere riproposte anche a seguito dell’entrata in vigore del D.lgs. 158 del 2015.
Invero, la struttura della fattispecie dell’illecito amministrativo, alla stregua di quella del reato ex art. 10-ter D.lgs. 74/2000, è rimasta immutata; la nuova formulazione dell’art. 10-bis D.lgs. 74/2000 mantiene invariati gli “elementi specializzanti”, costituiti, oltre che dalla soglia di punibilità, anche dal diverso termine di rilevanza giuridica dell’omissione.
Anche dopo l’introduzione della novella del 2015 persiste il problema del cumulo delle sanzioni, solamente attenuato dalla nuova previsione di cui all’art. 13 D.lgs. 74/2000, per cui vi è la possibilità di pagare integralmente gli importi dovuti, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento del giudizio di primo grado.
Tale ricostruzione del rapporto tra illecito amministrativo di cui all’art. 13, primo comma, D.lgs. n. 471 del 1997 e i reati di omesso versamento dell’Iva e di omesso versamento delle ritenute, in termini di progressione, ribadita anche in pronunce successive della Suprema Corte4, ha aperto un dibattito nella dottrina.
Parte della dottrina ha messo in evidenza “la fragilità di quell’approdo interpretativo”, in quanto, da un lato, appare ben esile una “progressione” caratterizzata soltanto da diverse scadenze temporali e dall’altro è difficile negare che la fattispecie penale assorbe tutto il fatto colpito dall’illecito amministrativo, che si consuma a cadenze più brevi. Nello specifico, si è osservato che, avendo i delitti considerati come paradigma generale il modello appropriativo “(si tratta di ipotesi ad hoc di appropriazione indebita), si comprende come il fatto, sul piano processuale, sia il medesimo. Volendo sintetizzare la questione (pur con qualche approssimazione): appropriarsi di un bene altrui per un lasso di tempo di 12 mesi implica l’aver tenuto una condotta appropriativa – su quel medesimo bene – per più segmenti temporali trimestrali”5.
Un’altra parte della dottrina, assestandosi sulla predetta posizione critica, ha sottolineato che la Corte di cassazione, nel momento in cui riconosce che la fattispecie penale costituisce una violazione più grave rispetto a quella amministrativa, in quanto la prima, pur contenendo quest’ultima, “la arricchisce di elementi essenziali”, in realtà afferma che il rapporto tra le due fattispecie di illeciti è di specie e di genere, poiché il primo contiene tutti gli elementi che integrano il secondo, salvo poi essere arricchito da elementi ulteriori, aventi valenza “specializzante”.
Se si condividesse tale linea interpretativa, non sarebbe possibile negare il rapporto di specialità, nulla escludendo che tale rapporto tra i due illeciti possa dipendere dalla presenza di elementi di specializzazione che si collocano temporalmente in un momento successivo a quello di consumazione della figura generale6.
Si è inoltre affermato che, se è corretto il riferimento alla categoria della progressione, Che rimanda al fenomeno del contestuale susseguirsi di aggressioni di crescente gravità nei confronti di un medesimo bene e al quale pare riconducibile il passaggio dalle violazioni fiscali, rilevanti in ambito amministrativo, all’integrazione della fattispecie di cui all’art. 10-bis D.lgs. n. 74/2000, non può però condividersi che il richiamo a questo concetto sia posto in essere per avallare il cumulo del concorso di illeciti e di relative sanzioni, essendo, di contro, la categoria della progressione stata elaborata dalla dottrina al fine di includere ipotesi caratterizzate da “più azioni naturalistiche che, in base ad un giudizio normativo sociale, appaiono riconducibili a un azione giuridicamente unitaria”, con conseguente esclusione della possibilità del concorso e ciò in forza del principio di assorbimento7.
6.1 (Continua) LA “STRETTA CONNESSIONE SOSTANZIALE E TEMPORALE” NELLE SENTENZE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La rassegna delle tappe principali della “lunga marcia” del ne bis in idem ha messo in luce l’importanza della sentenza A. e B. c. Norvegia e il ruolo di protagonista, rivestito dal parametro valutativo della connessione sostanziale temporale dei procedimenti.
Tenuto conto degli approdi raggiunti dalla giurisprudenza di entrambe le Corti europee, la duplicità dei procedimenti, sostanzialmente penali, non costituisce di per sé una violazione dell’art. 4 Prot. n. 7 della CEDU o dell’art. 50 CDFUE.
Ciò che rileva è che vi sia un coordinamento tra i procedimenti, che, come affermato espressamente dalla Corte EDU nella sentenza A. e B. c. Norvegia del 2016 e ribadito nella recente sentenza Nodet c. Francia, Si snoda sotto un duplice profilo: sostanziale e temporale.
Per la Corte EDU il parametro fa leva anche sul profilo temporale e non solo su quello sostanziale, strumentale, quest’ultimo, alla garanzia della proporzione del trattamento sanzionatorio complessivo, profilo maggiormente valorizzato dalla Corte di giustizia.
La valutazione di tale parametro è stata rimessa alla discrezionalità del giudice nazionale, il quale, come ha ricordato la Consulta con la sentenza n. 222 del 2019 “avrà ora la possibilità (e il dovere) di mostrare di essere all’altezza del proprio compito di tutore dei diritti fondamentali dell’individuo nei confronti della potestà punitiva e statale, così come riconosciuti nel comune spazio giuridico europeo”.
Invero, nelle verifiche concrete del suddetto parametro, nei casi sottoposti al vaglio dei giudici nazionali, chi sono registrate posizioni diverse e non sempre rigorosa.
Nell’ambito degli abusi di mercato, l’iter argomentativo Della Corte di Cassazione è stato a volte prevalentemente focalizzato sul parametro della proporzionalità del cumulo sanzionatorio rispetto al grado dell’offesa.
Ciò è avvenuto, ad esempio, con la sentenza n. 45829 del 2018 (Franconi), in materia di manipolazioni di mercato, nella quale la V Sezione penale ha, in primis, osservato che, alla luce della sentenza A. e B. c. Norvegia, i due procedimenti “ Non solo possono iniziare ma anche concludersi, mutando in tal modo profondamente la natura del ne bis in idem convenzionale, che varia da principio eminentemente processuale del divieto del doppio processo ancor prima che della doppia sanzione sostanzialmente penale, a garanzia di tipo sostanziale. Infatti, purché la risposta sanzionatoria, derivante dal cumulo delle due pene inflitte nei diversi procedimenti, sia completamente proporzionate alla gravità del fatto e prevedibile, nulla via al legislatore nazionale di predisporre un doppio binario sanzionatorio e alle autorità preposte di percorrerlo fino alla decisione”.
Premesso ciò, la Corte ha proceduto direttamente a sindacare la proporzionalità del cumulo sanzionatorio, in applicazione dell’art. 620, comma 1, lett. l), c.p.p., che consente di annullare senza rinvio se la Corte ritenga “di poter decidere, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, o di rideterminare la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito o di adottare i provvedimenti necessari, e in ogni altro caso in cui ritiene superflui il rinvio”.
In ambito tributario, l’attenzione della Corte di Cassazione si è sovente incentrata sulla connessione temporale.
Emblematica in tal senso è la sentenza n. 6993 del 22 settembre 2017, in cui la III Sezione penale della Suprema Corte ha valutato la sussistenza della connessione tra i procedimenti, penale ed amministrativo, alla luce del profilo temporale.
Nello specifico, il ricorrente aveva lamentato che, a seguito della comunicazione della notizia di reato, gli era stato inviato dall’Agenzia delle entrate un avviso di accertamento per l’anno 2010, oltre all’atto di contestazione attraverso il quale gli veniva irrogata una sanzione amministrativa unica di euro 529.876,80 ed euro 3.859.444,75 ai fini Iva, questi ultimi atti non oggetto di contestazione e dunque divenuti definitivi.
Il ricorrente, dopo ripetuti richiami alla giurisprudenza della Corte EDU, soprattutto con riferimento alle sentenze Grande Stevens e Nykanen, denunciava la natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa, alla luce dei criteri Engel.
La Suprema Corte ha invece affermato che non vi era stata alcuna violazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, in quanto tra i procedimenti sussisteva la stretta connessione temporale, che costituisce l’elemento per ritenere che le due sanzioni irrogate possano essere considerate quali parti di un unico sistema sanzionatorio, adottato da uno Stato per sanzionare la commissione di un fatto illecito.
Secondo gli Ermellini la connessione risultava chiaramente dagli atti che gli avvisi di accertamento e di contestazione, per il cui tramite venivano mosse le contestazioni e irrogate le sanzioni, datati 15 luglio 2014, erano stati notificati, per mezzo di lettera raccomandata, nel luglio 2014; il procedimento di primo grado innanzi al Tribunale di Bergamo si era concluso con sentenza il 2 dicembre 2014, sicché vi era stata vi era stata contemporaneità dell’irrogazione delle due sanzioni a pochi mesi di distanza e, pertanto, doveva ritenersi avverata la condizione della close connection in substance and in time.
Risulta evidente che il parametro della connessione è stato, in questo caso, ristretto al profilo temporale, elemento necessario ma non sufficiente.
Non si argomentato, invece, riguardo il profilo sostanziale, meritevole senz’altro di considerazione.
Invero, la stessa Corte EDU nella sentenza A. e B. c. Norvegia ha osservato che le sanzioni tributarie sono meno stigmatizzanti di quelle inerenti altre violazioni, in quanto, concretizzandosi in un aumento percentuale dell’imposta evasa, non si avvicinerebbero all’hard core of criminal law, e di conseguenza, la valutazione della close connection risulterebbe più elastica ed “indulgente”; resta comunque ferma la necessità del vaglio anche in ordine al profilo della connessione sostanziale tra i procedimenti.
Merita infine di essere menzionata, una recentissima sentenza della III Sezione della Corte di Cassazione, la n. 4439 depositata il 4 febbraio 2021.
sul tema del ne bis in idem.
In particolare, il soggetto imputato in un procedimento penale per aver inserito nelle dichiarazioni fiscali elementi passivi inesistenti al fine di evadere le imposte invoca la violazione del principio del ne bis in idem in quanto egli ha definito l’accertamento con adesione versando al fisco quanto richiesto ritenendo di essere stato sottoposto ad una doppia sanzione per i medesimi fatti.
La Corte di legittimità, non ha accolto la tesi del ricorrente, richiamando espressamente la pronuncia della Consulta n. 222/2019 in merito al rapporto tra procedimento penale ed amministrativo, diretti ambedue ad infliggere una sanzione di natura (sostanzialmente) penale. Non sempre e necessariamente, a detta dei giudici costituzionali, l’implicazione di un soggetto al procedimento penale per lo stesso fatto per il quale è già stato sanzionato definitivamente in via amministrativa, concretizza una violazione del divieto di bis in idem.
Un inevitabile richiamo è stato fatto anche con riferimento anche alla sentenza A e B contro Norvegia della Grande Camera della CEDU dove è stato ritenuto non violato il principio in parola quando innanzi a due procedimenti, uno penale ed uno amministrativo, che sanzionano lo stesso fatto sussiste un legame materiale e temporale sufficientemente stretto.
Tale legame si ravvisa:
- quando le due sanzioni perseguono scopi diversi e complementari, connessi ad aspetti diversi della medesima condotta;
- quando la duplicazione dei procedimenti è prevedibile;
- quando esiste una coordinazione tra i due procedimenti, specie sul piano delle prove;
- quando il risultato delle sanzioni nel complesso (penale più amministrativo) non risulti eccessivamente afflittivo, in rapporto alla gravità dell’illecito.
È bene notare come la Corte d’appello abbia applicato con correttezza i dettami suesposti ed abbia giustamente concluso che la pena complessivamente inflitta non risultava gravosa, visto che nel procedimento amministrativo era stata applicata la misura minima con riduzione per effetto dell’adesione e nel procedimento penale la circostanza attenuante.
In conclusione, il sistema del “doppio binario” trova giustificazione, secondo gli Ermellini, nella rilevanza degli interessi nazionali e nella diversità dei fini perseguiti: il procedimento amministrativo è volto al recupero delle imposte non versate, il procedimento penale è teso alla prevenzione e repressione dei reati tributari.
In conclusione, appare inevitabile che l’elasticità del criterio della close connection in substance and in time e la perdurante assenza di un intervento risolutivo del Legislatore generino situazioni nelle quali l’interprete si trova obbligato a ricercare soluzioni foriere di incertezze, specialmente perniciose nella materia penale8.
(Fine) Conclusioni
Il principio del ne bis in idem, sancendo il divieto di doppio giudizio, si configura quale diritto fondamentale dell’individuo e al contempo garantisce un bilanciamento tra la potestà punitiva dello stato e l’interesse del singolo a non essere assoggettato ad un secondo procedimento.
Esso consta di due diverse nature: una sostanziale e l’altra processuale.
Nell’accezione sostanziale, il principio è diretto ad impedire l’iniqua moltiplicazione di sanzioni in relazione ad un medesimo fatto storico; nella sua veste processuale, è posto quale presidio contro la possibilità che nei confronti del medesimo soggetto, per il medesimo fatto, vengano instaurati più procedimenti.
Detto principio, nella sua accezione processuale, è sancito all’articolo 649 c.p.p., mentre l’accezione sostanziale non gode di un esplicito riferimento normativo.
Il ne bis in idem, a livello sovranazionale è sancito sia nella CEDU, all’art. 4 del Protocollo n. 7 sia nella Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea, all’art. 50.
Invero, di recente, proprio grazie al contributo interpretativo svolto dalle Corti europee, il principio ha visto riconosciuta, oltre alla sua natura processuale, anche una matrice sostanziale.
Risulta di fondamentale importanza l’opera ermeneutica svolta dai giudici di Strasburgo e Lussemburgo, i quali si sono soffermati nello specifico sui presupposti applicativi del principio del ne bis in idem, dando autonomo rilievo alla nozione di “materia penale”.
Proprio l’ampia nozione di “materia penale” prospettata dalla Corte Edu rappresenta il punto di partenza per la “messa in discussione” e relativa “crisi” dei sistemi sanzionatori basati sul regime del doppio binario, cioè quei sistemi che prevedono sanzioni sia di carattere penale che amministrative nei confronti del medesimo soggetto.
Un importante settore, nel nostro ordinamento, in cui è previsto un sistema sanzionatorio a doppio binario è quello degli illeciti tributari.
Il doppio binario tipico dell’ambito tributario è definito “alternativo” in quanto prevede che le sanzioni non si applichino congiuntamente, ma alternativamente.
Si è avuto modo di vedere come il principio di specialità, previsto all’art. 19 del D. Lgs. n. 74/2000, previene il cumulo sul piano sostanziale e l’art. 21 del medesimo decreto prevede un meccanismo preventivo sul piano processuale.
Nonostante i due procedimenti di accertamento, tributario e penale, siano indipendenti e sovrani ex art. 20 del citato decreto, la sanzione amministrativa non può essere irrogata se prima il processo penale non si sia concluso in senso assolutorio.
Ove vi sia stato un esito di condanna, sarà invece la specialità a prevenire il cumulo, a vantaggio dell’illecito penale.
Inoltre, l’art. 13 delinea dei meccanismi riparatori che mitigano l’applicazione della sanzione penale nel caso in cui il contribuente provveda al pagamento del debito fiscale.
Il sistema appena delineato è congegnato in modo da prevenire ed impedire la violazione del principio del ne bis in idem sostanziale ma non anche di quello processuale: infatti, anche se la condanna in sede tributaria diventa ineseguibile in caso di accertata responsabilità penale, ambedue i procedimenti vengono comunque celebrati a carico del medesimo soggetto.
A complicare ulteriormente il quadro appena delineato vi è inoltre l’interpretazione refrattaria della Corte di Cassazione, orientata a escludere l’operatività del principio di specialità tra le sanzioni penali di cui agli art. 10 – bis, 10 – ter e 10 – quater del D. Lgs. 74/2000 e la sanzione amministrativa prevista all’art. 10 del D. Lgs., sulla base dell’assunto che tra le predette sanzioni vi sarebbe un rapporto di “progressione illecita” piuttosto che di specialità.
In tale contesto di incertezza, sin dalla emanazione della sentenza sul caso Grande Stevens, dottrina e giurisprudenza hanno proposto diverse soluzioni interpretative.
Ad oggi il divieto di bis in idem sancito dalla CEDU e dalla Carta di Nizza, così come interpretato a seguito della sentenza A. e B. c. Norvegia, non impedisce la previsione normativa di un doppio binario sanzionatorio purché i due procedimenti appaiano connessi sul piano sostanziale e temporale in maniera sufficientemente stretta, e purché esistano meccanismi in grado di assicurare risposte sanzionatorie complessivamente proporzionate e prevedibili.
In definitiva, appare senza dubbio auspicabile una riforma legislativa organica che miri al pieno adeguamento dell’ordinamento nazionale alle disposizioni della CEDU
Nondimeno, il presupposto per porre fine alle continue incertezze applicative del ne bis in idem è che la scelta di politica criminale di istituire simili apparati sanzionatori sia oggetto, già sul piano interno, di vagli critici settore per settore e di rinnovato “coraggio” nel giustiziarne la ragionevolezza da parte della Consulta.
Sarà più che mai opportuno indagare a fondo le ragioni che giustificano un secondo apparato sanzionatorio e soprattutto spiegare perché siano necessarie due sanzioni entrambe afflittive e dunque “sostanzialmente penali”, senza motivare il tutto con l’effettività o con la discrezionalità del legislatore, e senza escludere ripensamenti e riforme integrali e potenzialmente risolutive9. (fine)
1 Per un commento alla sentenza n. 37424/2013 delle Sezioni Unite: A. TRAVERSI, Interpretazione rigorosa delle Sezioni Unite sull’omesso versamento dell’Iva e delle ritenute, in Corriere Tributario, 2013, fasc. 44, p. 3487
2 G.A.R. PACILLI, Sistema sanzionatorio e ne bis in idem, cit. p. 413
3 Così, anche Cass. pen., Sez. III, 8 maggio 2014, n. 30267, in Il Fisco, 2014, p. 3269, con nota di C.BECCALLI, Sanzione penale e amministrativa per il mancato versamento da indebita compensazione.
4 Cfr., ad es., Sez. III, sentenza dell’11 febbraio 2015 n. 19334
5 Cfr. M.CAIANIELLO, Ne bis in idem ed illeciti tributari per omesso versamento dell’IVA: Il rinvio della questione alla Corte costituzionale, in www.penalecontemporaneo.it(materiale inserito il 18 maggio 2015).
6 A.LANZI-P.ALDROVANDI, Diritto penale tributario, Padova, 2014, p. 98
7 A.LANZI-P.ALDROVANDI, Diritto penale tributario cit. p. 99
8 G.A.R. PACILLI, Sistema sanzionatorio e ne bis in idem, cit. p. 444.
9 L.BIN, Anatomia del ne bis in idem: da principio unitario a trasformatore neutro di principi in regole, in Diritto penale contemporaneo- Rivista trimestrale, 3/2020, p. 128.