(Corte di cassazione, V sezione, 07/12/20, Sentenza n. 27963).
di Francesco Serra
MASSIMA: “Se gli imponibili prodotti in dichiarazione, sono inferiori a quelli reali, è possibile l’irrogazione di un’unica autonoma violazione sanzionatrice ex. art. 5 del D. Lgs. n. 471/97 a titolo di dichiarazione infedele, la quale, trattandosi di unico comportamento a carattere omissivo ed essendo meno favorevole al contribuente, quindi più grave di quella di omesso versamento, la assorbe sic et simpliciter dacché la predetta, implicitamente, presuppone le imposte regolarmente dichiarate ma non versate”.
ABSTRACT: If the taxable amounts in return are lower than the real ones, it is possible to apply a single autonomous sanctioning violation pursuant to art. d. lgs. 471/97 by way of an unfaithful declaration, which, since it is the only behavior of an omissive nature and being less favorable to the taxpayer, therefore more serious than that of omitted payment, absorbs it sic et simpliciter since the aforementioned, implicitly, presupposes the taxes duly declared but not paid.
“REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg. ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente
Dott. CATALDI Michele – Consigliere
Dott. CONDELLO Pasqualina A. P. – rel. Consigliere
Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere
Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22186/2013 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende come per legge;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.A.S., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta delega a margine del controricorso, dagli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS), con domicilio eletto presso il loro studio in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 45/12/12 della Commissione Tributaria regionale del Piemonte depositata il 10 luglio 2012
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 8 ottobre 2020 dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Zeno Immacolata, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore della parte ricorrente, avv. (OMISSIS);
udito il difensore della parte controricorrente, avv. (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle entrate notificava alla società (OMISSIS) s.a.s. avviso di accertamento, per l’anno 2005, con il quale procedeva al recupero di IRAP e I.V.A. ed all’applicazione della sanzione di cui al Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 5, per infedele dichiarazione.
La contribuente, riconosciuta la fondatezza dei rilievi mossi dall’Amministrazione, provvedeva al pagamento delle sanzioni ed al versamento rateizzato dell’imposta.
2. Con distinto atto di contestazione l’Ufficio, rilevando la violazione generale di omesso versamento dell’I.V.A. per il medesimo anno d’imposta, irrogava l’ulteriore sanzione di cui al Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 13, ed avverso tale atto ricorreva la contribuente, eccependo che questo aveva l’effetto di duplicare la sanzione già irrogata con il primo avviso di accertamento.
3. La Commissione tributaria provinciale di Torino accoglieva il ricorso con sentenza che veniva impugnata dall’Ufficio dinanzi alla Commissione tributaria regionale che la confermava.
In particolare, i giudici d’appello osservavano che si era in presenza di un unico comportamento omissivo in ordine al quale era applicabile una sola sanzione e che, secondo quanto stabilito dal del Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 29, la sanzione prevista dal Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 13, non si applicava nei casi di omesso, carente o tardivo versamento delle somme dovute, nei termini previsti, sulla base di accertamenti esecutivi.
4. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta decisione, affidandosi a tre motivi, cui resiste la società contribuente mediante controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso la difesa erariale deduce violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articoli 5 e 13, del Decreto Legislativo n. 472 del 1997, articolo 3, e del Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 29.
Essendo pacifico che la contribuente aveva dichiarato un imponibile I.V.A. inferiore a quello risultante dalla stessa contabilità, sostiene che, diversamente da quanto ritenuto dalla C.T.R., sono ravvisabili due distinti comportamenti: uno consistito nella presentazione della dichiarazione con l’indicazione di un’imposta dovuta inferiore a quella reale, meritevole di sanzione Decreto Legislativo n. 471 del 1997, ex articolo 5, applicata con l’avviso di accertamento, e l’altro, radicalmente diverso, consistito nell’omesso versamento – nei termini di legge – dell’I.V.A. dovuta in base alla contabilità ed alle conseguenti liquidazioni periodiche.
Ad avviso della ricorrente a nulla vale richiamare il Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 29, che si limita a statuire che l’omesso (ritardato, insufficiente) versamento delle somme accertate dovute e richieste con accertamento esecutivo (o impo-esattivo) nei termini di legge previsti per il versamento delle somme non è sanzionato ex articolo 13 citato, in quanto tale disposizione vale solo a dire che l’omesso versamento delle somme accertate con avviso “esecutivo” entro il termine fissato dalla legge per detto versamento non e’ sanzionato ai sensi del citato articolo 13, ma non vale ad affermare che qualora l’imposta I.V.A. sia richiesta con accertamento esecutivo non sia applicabile la sanzione di cui all’articolo 13 in caso di omesso versamento nei termini di legge.
2. Con il secondo motivo la difesa erariale censura la decisione impugnata per motivazione omessa od insufficiente su fatto decisivo della controversia, lamentando che la C.T.R. ha apoditticamente affermato che si è in presenza di un unico comportamento omissivo, disattendendo le deduzioni dell’Ufficio che aveva, invece, sostenuto che sussistevano due distinti contegni di infrazione chiaramente evincibili dalla motivazione dell’avviso di accertamento e dell’atto di contestazione.
3. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione del Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 29, nella parte in cui la Commissione regionale ha affermato che la disposizione normativa citata faccia venire meno la sanzione per l’omesso versamento, nel termine previsto dalla legge, dell’imposta risultante dovuta in base alle liquidazioni periodiche.
4. I motivi, che possono essere trattati unitariamente in quanto strettamente connessi, sono infondati.
4.1. Risulta incontestato che l’Agenzia delle entrate ha applicato, con l’avviso di accertamento, la sanzione prevista dal Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 5, che viene irrogata nella ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione annuale dell’imposta sul valore aggiunto, e, con l’atto di contestazione, l’ulteriore sanzione, pari al 30 per cento di ogni importo non versato, prevista dallo stesso D. Lgs., articolo 13, che colpisce chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o saldo dell’imposta risultanti dalla dichiarazione.
4.2. Il tenore letterale delle due norme sanzionatorie evidenzia chiaramente che con la prima viene punita la “dichiarazione infedele”, che si realizza quando il contribuente indica nella dichiarazione una imposta inferiore a quella effettivamente dovuta, omettendo di conseguenza di dichiarare somme dovute e di versare le relative imposte, mentre con la seconda viene sanzionato il mancato pagamento, alle scadenze stabilite, delle somme indicate dal contribuente nella propria dichiarazione.
4.3. Il Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 13, comma 1, si riferisce, in particolare, sia ai casi di omesso versamento dell’imposta risultante dalla dichiarazione, sia ai casi in cui, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile.
La disposizione in esame non sanziona, dunque, il mero “omesso versamento” dell’imposta, ma piuttosto la mancata esecuzione, in tutto o in parte, dei versamenti dell’imposta risultante dalla dichiarazione e presuppone, pertanto, che dalla dichiarazione redatta dal contribuente emerga un preciso importo come imposta dovuta e che l’importo dichiarato non sia stato successivamente versato.
E’ evidente, pertanto, che, ai fini dell’irrogazione della sanzione in esame, non rileva il fatto che l’imposta dovesse risultare dalla contabilità del contribuente, richiedendo espressamente l’articolo 13, come detto, che l’imposta risulti “dalla dichiarazione” e dai dati in essa contenuti, poichè è soltanto con la dichiarazione che il contribuente comunica all’Erario l’imposta dovuta.
4.4. Da quanto detto discende che, laddove il mancato versamento dell’I.V.A. sia diretta conseguenza della omessa indicazione nella dichiarazione dell’importo dell’imposta effettivamente dovuto, tale comportamento integra dichiarazione infedele, per la quale è prevista la sanzione ben più grave di cui al Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 5, che copre non solo la violazione formale dell’infedele dichiarazione, ossia di una dichiarazione errata, recante un importo inferiore a quello realmente dovuto, ma anche il conseguente ed inevitabile mancato versamento dell’imposta effettivamente dovuta, non potendo ovviamente, in tal caso, la parte contribuente provvederà materialmente al versamento dell’importo corretto, atteso che il pagamento corrisponde al dato indicato nella stessa dichiarazione.
Cio’ comporta che la sanzione meno favorevole prevista dal Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 5, assorbe anche l’omesso versamento dell’imposta ed osta all’applicazione di quella prevista dal Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 13.
5. Nella fattispecie in esame, sulla base di quanto emerge dalla sentenza impugnata, l’Amministrazione non ha contestato alla societa’ contribuente di avere dichiarato importi dovuti a titolo di imposta che non sono stati successivamente versati, ma ha piuttosto accertato, come si evince dalla stessa motivazione dell’avviso di accertamento – prodotto unitamente al ricorso per cassazione – che la contribuente aveva dichiarato (a suo dire per mero errore materiale) un imponibile inferiore a quello reale risultante dalla contabilita’ e dichiarato I.V.A. a debito minore di quella reale, con conseguente omesso versamento di I.V.A. per Euro 331.000,00.
L’Ufficio, quindi, con il primo atto impositivo ha rilevato che la dichiarazione annuale presentata dalla contribuente non riportava l’esatto importo dell’I.V.A. dovuta, tanto che ha irrogato la sanzione per dichiarazione infedele, e, con l’atto di contestazione, ha contestato l’omesso versamento dell’I.V.A. effettivamente dovuta, ossia dell’I.V.A. non indicata nella dichiarazione annuale, pur trattandosi di omissione gia’ sanzionata con il primo accertamento.
6. Non sono dunque ravvisabili, come asserisce la ricorrente, due distinte violazioni autonomamente sanzionabili, ma un unico comportamento, al quale non puo’ che essere applicata un’unica sanzione.
La insussistenza di due infrazioni trova d’altro canto ulteriore conforto, come correttamente rilevato dalla C.T.R., nel Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 29 – che ha previsto la esecutorieta’ degli avvisi di accertamento, senza necessita’ di iscrizione a ruolo e notifica di cartella di pagamento – come integrato dal Decreto Legge n. 70 del 2011, articolo 7, comma 2, lettera n), convertito dalla L. n. 106 del 2011, che stabilisce espressamente che la sanzione prevista dal Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 13, “non si applica nei casi di omesso, carente o tardivo versamento delle somme dovute sulla base degli avvisi di accertamento esecutivi”.
Tale disposizione normativa, sicuramente applicabile alla fattispecie in esame in forza del Decreto Legislativo n. 472 del 1997, articolo 3, – che, ispirandosi al principio del favor rei, stabilisce che se in un momento successivo a quello in cui e’ stato commesso il fatto viene prevista, attraverso una modifica legislativa, una sanzione piu’ tenue, oppure viene meno del tutto la norma sanzionatoria, il contribuente deve poter beneficiare del nuovo regime anche se al momento in cui ha commesso il fatto quel determinato comportamento era espressamente sanzionato – impone, in ogni caso, di ritenere che il Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 13, non si applica in caso di omesso versamento delle imposte sul reddito e di I.V.A. nei termini indicati negli avvisi di accertamento.
La decisione impugnata si sottrae, pertanto, alle censure ad essa rivolte.
7. In conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
Stante la non debenza da parte delle Amministrazioni pubbliche del versamento del contributo unificato, non deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, primo periodo, ai fini del raddoppio del contributo per il caso di impugnazione integralmente respinta (Cass., sez. U, 25/11/2013, n. 26280; Cass., sez. U, 8/05/2014, n. 9938).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura forfettaria del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.“
- IL CASO GIURIDICO
Con la Sentenza n. 27963 del 7 dicembre 2020, La Quinta Sezione della Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi in relazione ad un tema, delicato quanto mai annoso, che da tempo impegna la Giurisprudenza di Legittimità circa l’assorbimento della sanzione più grave di infedele dichiarazione rispetto alla meno grave sanzione di omesso versamento, chiarendone i dubbi scaturenti dalle criticità cui ai legittimi presupposti applicativi e rimuovendone qualsivoglia incertezza in ordine al rapporto.
Il caso giuridico trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate ad una Società contribuente per procedendo così al recupero di Irap ed Iva per l’anno d’imposta 2005 ed alla conseguente applicazione della sanzione di cui all’art. 5 del D. Lgs. 471/97 a titolo di infedele dichiarazione, cui il contribuente non ha fatto alcun mistero ritenendola fondata.
In seguito, l’Agenzia irrogò sempre per il medesimo anno d’imposta nuova sanzione ex art. 13 del D. Lgs. 471/1997 con riferimento al 30% dell’Iva non versata, anche esso oggetto di impugnazione della Società contribuente.
Sia la Commissione tributaria provinciale, sia quella regionale ebbero ad annullare l’avviso di accertamento, accogliendo in toto le eccezioni di parte ricorrente, dal momento che in relazione alla sanzione applicata, per il medesimo anno d’imposta, la contribuente si era subito prodigata a versare l’imposta inerente la sanzione ex art. 5 del D. Lgs. n. 471/1997 e, trattandosi di unica omissione tributaria, osservava sul punto che si sarebbe dovuto procedere all’applicazione della sola sanzione tributaria per infedele dichiarazione escludendo l’applicazione di eventuali cumuli sanzionatori.
Avverso l’annullamento dell’avviso di accertamento esecutivo, l’Agenzia delle Entrate propose ricorso per Cassazione affidandosi a tre motivi; di contro, la Società ricorrente si oppose per il tramite di un controricorso.
Trattati in via unitaria poiché strettamente connessi all’oggetto predetto, la Suprema Corte li ha ritenuti tutti infondati, condannando la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
2. LA SCELTA DIRIMENTE SUL PUNTO DELLA CORTE DI CASSAZIONE.
La vexata quaestio protagonista della decisione rassegnata dai giudici di legittimità si sostanzia nell’esclusione cumulativa/applicativa della doppia sanzione di omessa presentazione della dichiarazione annuale dell’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 5 del D. Lgs. 471/1997, nonchè dell’omesso ritardato versamento normato dall’art. 13, comma 1 del predetto decreto, riconoscendo, con buona pace di tutti, la sola applicazione della prima sanzione afflittiva più grave e riconducibile ad un unico comportamento omissivo.
Seguendo il dettato normativo delle due ipotesi sanzionatorie, con la prima si è andati a censurare la «dichiarazione infedele», la cui realizzazione si ritiene configurata allorquando il contribuente vada ad indicare nella dichiarazione un’imposta inferiore a quella effettivamente dovuta, omettendo attraverso ciò di dichiarare somme dovute ed il conseguente versamento delle relative imposte; con la seconda, di contro, va ad essere sanzionato il mancato pagamento, alle scadenze stabilite, delle somme indicate dal contribuente nella propria dichiarazione.
Nel caso di specie, l’approdo interpretativo a cui è giunto il Supremo Collegio della legittimità è il riconoscimento nell’infedele dichiarazione, quale sanzione meno favorevole al contribuente, di quella proprietà assorbente che più si attanaglia all’omesso versamento ex art. 13 poiché “La disposizione in esame non sanziona, dunque, il mero «omesso versamento» dell’imposta, ma piuttosto la mancata esecuzione, in tutto o in parte, dei versamenti dell’imposta risultante dalla dichiarazione e presuppone, pertanto, che dalla dichiarazione redatta dal contribuente emerga un preciso importo come imposta dovuta e che l’importo dichiarato non sia stato successivamente versato”, come sancito espressamente dalla norma succitata.
Inoltre, a detta dei Giudici di Legittimità, il mancato versamento dell’Iva, considerato qual condicio sine qua non per la mancata indicazione dell’importo dovuto all’Erario, non v’è chi non veda che essa stessa debba ricondursi nel novero dell’infedele dichiarazione sic et simpliciter, andando a censurare “non solo la violazione formale dell’infedele dichiarazione, ossia di una dichiarazione errata, recante un importo inferiore a quello realmente dovuto, ma anche il conseguente ed inevitabile mancato versamento dell’imposta effettivamente dovuta, non potendo ovviamente, in tal caso, la parte contribuente provvedere materialmente al versamento dell’importo corretto, atteso che il pagamento corrisponde al dato indicato nella stessa dichiarazione”, “cosicchè la condotta illecita determinatasi nella mancata dichiarazione ingloba in sé il mancato versamento del tributo1 “.
In conclusione, a detta dei Supremi Giudici, non andrebbero a ravvisarsi, per come rassegnato dalla Ricorrente, la violazione di due fattispecie da sanzionare in via del tutto autonoma “ma un unico comportamento, al quale non può che essere applicata un’unica sanzione e la decisione in disamina si sottrae logicamente alle censure rivoltele”.
3. IL SUPERAMENTO DEL CONTRASTO GIURISPRUDENZIALE
Come si è avuto modo di rappresentare, la Pronuncia in rassegna non soltanto vuole approfondire il tema quanto mai florido di interessanti spunti di riflessione sul nostro sistema sanzionatorio tributario2, ma vuole altresì registrare, ad avviso di questo scrivente, il contrasto sorto in seno alla medesima sede giurisprudenziale con l’intenzione di escludere, con riferimento all’oggetto che è stato trattato nella sentenza in commento, l’assorbimento della sanzione per omesso versamento in quella di omessa fatturazione.
Quanto alla portata applicativa dell’intero corpus normativo, volto alla repressione di illeciti di natura fiscale, si deve prendere in considerazione il primo comma dell’articolo 2, l’articolo 21 e l’articolo 26 del D. Lgs 472 del 97.
Invero, si è previsto a norma dei succitati articoli, la comminazione di una sanzione pecuniaria e, nelle ipotesi tassativamente previste dalla norma fiscale, di eventuali sanzioni accessorie, andandosi a determinare in rapporto variabile tra un minimo ed un massimo edittale.
Tanto premesso, il tema che interessa la nota in redazione verte, in particolare, del cumulo fra sanzioni per un’unica condotta omissiva nel segno di un favor rei in sede tributaria3.
Difatti la Sentenza del 7 dicembre scorso riconosce plasticamente l’applicazione al caso di specie del principio di portata generale di cui all’art. 3 del D. Lgs 472 del 1997, sancendo l’applicabilità del principio di legalità in materia di sanzioni tributarie con annessi corollari di derivazione penalistica, laddove stabilisce che “se in un momento successivo a quello in cui è stato commesso il fatto viene prevista, attraverso una modifica legislativa, una sanzione più tenue, oppure viene meno del tutto la norma sanzionatoria, il contribuente deve poter beneficiare del nuovo regime anche se al momento in cui ha commesso il fatto quel determinato comportamento era espressamente sanzionato”, esprimendosi così in senso contrario all’applicazione ex art. 13 del D. Lgs. 471 del 1997, confortando l’insussistenza di due sanzioni applicabili autonomamente, nel caso di specie l’infedele dichiarazione e l’omesso versamento.
Per le ragioni sopracitate, in specie di opportunità comparativa e ovviamente completezza espositiva, si riporta l’Orientamento giurisprudenziale contrario della Corte di Cassazione, a tenore del quale il principio di diritto affermato per il quale: “le violazioni tributarie che si esauriscono nel tardivo od omesso versamento dell’imposta risultante dalla dichiarazione fiscale non sono soggette all’istituto della continuazione disciplinato dall’art. 12, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, poichè questo concerne le violazioni potenzialmente incidenti sulla determinazione dell’imponibile o sulla liquidazione del tributo, mentre il ritardo o l’omissione del pagamento è una violazione che attiene all’imposta già liquidata, per la quale l’art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997 dispone un trattamento sanzionatorio proporzionale ed autonomo per ciascun mancato pagamento4“, non ebbe a riconoscere nella violazione “una propria autonoma configurazione in quanto incidente negativamente sul versamento del tributo, arrecando grave pregiudizio all’incasso erariale5“. Il contrasto sorto in Giurisprudenza fra i rassegnati orientamenti, come esplicitato precedentemente, rafforza
CONCLUSIONI FINALI
Dal tenore delle disposizioni su richiamate, si appalesa lapalissiano il favore nei cui confronti si sostanzia l’accoglimento prodotto dalle conclusioni cui sono approdati i Giudici di P.zza Cavour e condannando l’Agenzia delle Entrate a rifondere parte ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
L’esistente nesso di progressione nella commissione della violazione, corroborato dall’art. 12 del D. Lgs. 472/1997, consentendo di applicare la sanzione una volta soltanto, seppur aumentata nei limiti previsti dalla norma, va ritenuto più equo rispetto all’ipotesi più afflittiva della Giurisprudenza del 2018, laddove non riconobbe l’applicabilità della continuazione il cui scopo era quello di mitigare il rigore del cumulo materiale. Vi è di più. La Sentenza emessa nel dicembre scorso ha il merito di avere dato una esposizione chiara, nitida e rispettosa dell’interpretazione della disciplina sanzionatoria in tutta la sua comprensibile quanto più giustificata fondatezza. Nella chiosa ragionata appare fortemente contrario e con un irragionevole rigorismo il comportamento assunto dall’Agenzia delle Entrate, dacchè l’immotivato inasprimento sanzionatorio richiesto nelle more del ricorso non soltanto è in contrasto con quanto scaturisce dai principi generali del diritto punitivo tributario, ma sembra “voglia assegnare, più o meno consapevolmente, ad un istituto (la sanzione) lo scopo di un altro (tributo)6.
1 Sul punto si veda CORDEIRO GUERRA R. – BRAMI R., La Suprema Corte rimuove le incertezze sul rapporto tra infedele dichiarazione ed omesso versamento di imposte, nota a sentenza in Giur. Trib., Sanzioni, 4/2021, pag. 331, i quali espongono con interessantissima lucidità giuridica quanto rassegnato nella sentenza in epigrafe indicata soprattutto in ordine “al maggior disvalore punito dal Legislatore con la sanzione più grave rispetto a quella connotata da minore pericolosità rappresentata dall’omesso versamento”. Peraltro, nella vicenda de qua, quest’ultima condotta, essendo ritenuta normativamente meno grave rispetto al comportamento adottato dal soggetto passivo nell’omettere di dichiarare financo la sussistenza della obbligazione tributaria, essa stessa si vedrà punita con la sanzione meno afflittiva pari al 30% dell’importo non pagato.
2 Si veda POLLARI N., Manuale di diritto tributario, Laurus Robuffo, 2020, pag. 498. Giova rammentare in questa sede come il nostro sistema sanzionatorio tributario, il cui obiettivo tutelare si ravvisa nel garantire un buon funzionamento del rapporto tra contribuente e Amministrazione finanziaria, per la una sua più pregnante efficacia, necessitava di un completamento normativo che arrivò con l’approvazione di ben 3 Decreti legislativi delegati, atti a rimpinguare la maglia sino ad allora troppo incerta del diritto punitivo tributario: il D. Lgs. 471, il D. Lgs. 472 ed il D. Lgs. 473, tutti del 18 dicembre 1997, tuttavia individuando nel secondo il fulcro ed i principi generali da esso affermati.
3 Non a caso, La Cassazione, nella Pronuncia in commento, per dirimere ancorchè censurare l’orientamento del 2018, richiama il disposto di cui all’art. 29 del D.L. 78/2010 il quale, con successiva integrazione ad opera dell’art. 7, comma 2, lett. n) del D.L: n.70/2010, convertito con modificazioni dalla Legge n 106/2011, va a disporre della inapplicabilità della sanzione di cui all’art. 13 del D. Lgs. n. 471/1997, qualora si tratti di ipotesi di omesso, carente o tardivo versamento delle somme, la cui debenza è riconducibile all’esecutività degli avvisi di accertamento.
4 Fra tutte Cass., Sez. V, n. 29299 del 2018.
5 Cfr. CORDEIRO GUERRA R. – BRAMI R., op. cit., pag. 333.
6 Si veda Cfr. CORDEIRO GUERRA R. – BRAMI R., op. cit., pag. 335 il quale richiama dello stesso Autore altro scritto CORDEIRO GUERRA R., Infedele dichiarazione e ritardato versamento delle imposte: cumulo o assorbimento delle sanzioni?, in Corr. Trib., n. 47/2021.