di Edoardo Tedeschi1
- Premessa
Con l’aumento esponenziale del commercio on line avvenuto negli ultimi vent’anni si è vista la diffusione capillare di un nuovo strumento di pagamento, la criptovaluta. Tale metodo di pagamento, basato esclusivamente sullo scambio di informazioni digitali, si riferisce ad un metodo di certificazione affidato ad un software che, tramite il noto sistema della doppia chiave pubblica-privata, certifica l’avvenuta transazione attraverso un processo informatico di crittografia: da qui il termine “criptocurrency”.
Nel moderno “internet of value”, quindi, il funzionamento della criptovaluta è legato alla duplice presenza di una chiave pubblica e una privata: la prima è costituita da una stringa alfanumerica che identifica il wallet a cui sono associati degli asset; la chiave privata è una sorta di password, che permette di firmare la transazione in modo verificabile e non replicabile.
La transazione criptata, risultando così certificata in maniera univoca, costituisce un nuovo “blocchetto di informazioni” (block) che viene aggiunto alla catena di informazioni che l’hanno preceduta, allungando in tal modo la blockchain. Invero, la blockchain si presenta quale species del genus dei DLT (Distributed Ledger Tecnhology)2: essa è un sistema che sfrutta le caratteristiche di una rete di nodi, organizzati in forma di registro distribuito e protetti mediante la crittografia ma, diversamente dalle generiche DLT, in tale registro è solo possibile aggiungere dati al database distribuito. I dati, dopo essere stati registrati, sono immutabili.
Ciò considerato, la criptovaluta presenta degli elementi di vantaggio e delle palesi criticità.
In primo luogo, il vantaggio è costituito senza dubbio dall’assenza di un controllore centrale, sì da non comportare l’esistenza di un monopolio economicamente rilevante, ovvero dalla possibilità di certificare le informazioni a prescindere dall’identità dell’utilizzatore.
Parimenti, emergono in via evidente anche gli elementi di criticità che caratterizzano le criptovalute, tra i quali si possono citare: carenza e asimmetria di informazioni; estrema volatilità; assenza di forme di controllo e di vigilanza; possibilità di ottenere ingenti perdite dovute ad attacchi commessi nello spazio cibernetico; utilità per fini criminali quali riciclaggio di denaro e finanziamento al terrorismo. In tale ottica, Banca d’Italia e Consob hanno nel tempo pubblicato diversi avvisi alla collettività, e soprattutto ai piccoli risparmiatori, sui rischi derivanti dalla operatività in criptoattività, dei quali l’ultimo risale al 28 aprile 2021.
Esistono oltre 5 mila3 tipologie di criptovalute al mondo, anche se non è possibile effettuare stime precise in quanto ne nascono continuamente di nuove ed ogni volta che questo succede restano fuori dalle statistiche fino al momento in cui vanno in quotazione su qualche exchange.
Il Bitcoin, ideato nel 2008 da Satoshi Nakamoto, può essere considerato quale prototipo delle criptovalute da intendersi rete di pagamento virtuale, ideata per rendere più sicure e veloci le transazioni su internet, da differenziarsi dal bitcoin inteso come nuovo tipo di valuta. Gli stessi risultano apprezzati dal mercato come riserva di valore, fino al punto da poterli considerare come il nuovo oro digitale.
D’altro canto, gli Ethereum (principale alternativa al bitcoin) sono considerati alla stregua del petrolio, ben potendo essere utilizzati – a seconda del contesto – come riserva di valore, merce, e asset produttivo4.
Ciò posto, appare evidente la specialità che caratterizza questa tipologia di asset, che non trova precedenti negli ordinamenti giuridici e che difficilmente potrebbe essere regolata dal quadro normativo attuale, senza un intervento legislativo che ne definisca in maniera precisa tutti gli aspetti, anche quelli di natura prettamente fiscale. Nello specifico settore tributario, invero, il TUIR, ancorché più volte modificato e integrato nel corso del tempo, è stato adottato più di 35 anni fa, molto prima della nascita delle criptovalute e, pertanto, non contempla alcuna previsione di dettaglio in merito.
2. Profili fiscali delle criptovalute.
L’ingresso nel mercato di questa nuova tipologia di asset impone la regolamentazione di vari settori, tra i quali sicuramente uno importante attiene all’impatto tributario dell’operatività in criptoattività.
Tralasciando gli aspetti relativi alla qualificazione giuridica ed economica delle valute virtuali, appare senz’altro importante regolare la materia della tassazione dei redditi derivanti dall’utilizzo di criptovalute, nella considerazione che tale vuoto normativo possa aumentare gli aspetti di patologia connessi al fenomeno che possono sfociare in comportamenti elusivi o, addirittura, illeciti.
Questo allarme risulta ancora più marcato se si analizzano due degli aspetti fondamentali propri delle criptoattività, ossia l’anonimato e la a-territorialità, caratteristiche che nascondono possibili comportamenti insidiosi che destano non poche preoccupazioni al legislatore italiano ed europeo, atteso anche il crescente aumento dell’utilizzo delle stesse.
Dal punto di vista tributario, in un approccio orientato a soggettività e funzionalità nel rispetto dell’art. 53 della Costituzione, appare fondamentale distinguere il trattamento dal punto di vista delle imposte dirette da quello delle imposte indirette.
3. Il trattamento fiscale delle criptovalute in Europa
A livello unionale, il primo e fondamentale arresto giurisprudenziale sul tema della fiscalità delle criptovalute attiene alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nell’ambito della causa C-264/14, a seguito della proposizione di rinvio pregiudiziale dinanzi alla citata Corte, ai sensi dell’art. 267 del TFUE, dalla Corte Suprema amministrativa di Svezia (la c.d. Högsta Förvaltningsdomstolen). La richiesta di rinvio pregiudiziale riguardava l’interpretazione degli artt. 2, paragrafo 1, e 135, paragrafo 1, della direttiva 2006/112/CE in relazione al trattamento dell’imposta sul valore aggiunto nelle operazioni di compravendita di valuta virtuale.
Invero, già nel 2014 la Commissione europea aveva trattato, in un documento del 23 ottobre, il fenomeno in argomento, prospettando agli Stati membri possibili proposte di inquadramento5. In tale documento, infatti, la Commissione considerava espressamente esenti dall’imposta “le operazioni, compresa la negoziazione, relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio” ai sensi dell’art. 135, paragrafo 1, lett. e) della direttiva in materia di IVA. Ciò nella considerazione che il Bitcoin non potrebbe ritenersi svolgere tutte e tre le differenti funzioni che la Banca Centrale Europea ricollega alle divise tradizionali (vale a dire quella di mezzo di scambio, di unità di conto e di riserva di valore), né soddisferebbe il criterio previsto dalla citata norma, con riguardo al “valore liberatorio”.
Purtuttavia, nonostante lo sforzo della Commissione, lo studio non ha portato i risultati sperati in quanto non ha fornito agli Stati membri soluzioni comunemente accettate sul sistema impositivo da adottare.
Sul punto, il primo passo in avanti raggiunto in sede unionale è da ricercarsi nella citata sentenza del 22 ottobre 2015 (c.d. “sentenza Hedqvist”) che simboleggia “la prima pronuncia ufficiale sui Bitcoin con un riconosciuto valore legale e a livello sovranazionale”6.
La vicenda traeva abbrivio da un parere reso dalla Commissione tributaria svedese in merito all’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto sulle operazioni di cambio della valuta virtuale bitcoin in una valuta tradizionale e viceversa che il sig. Hedqvist intendeva effettuare per il tramite di una società.
La Corte di Giustizia Europea ha statuito il principio secondo il quale il bitcoin, essendo un mezzo di pagamento contrattuale accettato da entrambe le parti della transazione, non potesse essere considerato né un conto corrente né un deposito di fondi, un pagamento o un versamento. Sul punto, costituiscono prestazioni di servizi effettuate a titolo oneroso le operazioni di cambiavalute, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra il prezzo al quale l’operatore è interessato ad acquistare valute e il prezzo al quale le vende ai suoi clienti. Conseguentemente, le operazioni di cambiavalute, ai sensi dell’art. 135, paragrafo 1, lett. e) della già citata Direttiva, costituiscono operazioni esenti dall’imposta sul valore aggiunto.
In buona sostanza, la Corte qualifica tali operazioni come prestazioni di servizi soggette all’imposta sul valore aggiunto in regime di esenzione, poiché inerenti a “divise, banconote e monete con valore liberatorio”, considerandole alla stregua di operazioni finanziarie di cambio tradizionale.
Con la sentenza in argomento, la Corte di Giustizia ha pienamente rispettato il principio fondamentale della libera circolazione dei capitali e ha ricondotto il Bitcoin in un contesto contiguo a quello delle monete tradizionali, individuando, pertanto, il conseguente trattamento fiscale correlato.
4. Il trattamento fiscale delle criptovalute in Italia
In ambito nazionale il primo pronunciamento sul tema della fiscalità delle criptovalute si rileva nella risoluzione dell’Agenzia delle entrate n. 72/E in data 2 settembre 2016, avente ad oggetto il trattamento fiscale applicabile alle società che svolgono attività di servizi relativi a monete virtuali7.
La risoluzione in parola riguarda una istanza di interpello presentata ai sensi dell’art. 11 della L. n. 212/2000 (c.d. “Statuto dei diritti del contribuente”) nell’ambito della quale un contribuente, per il tramite di una società a responsabilità limitata, intendeva svolgere operazioni di acquisto e vendita di bitcoin e, pertanto, chiedeva di conoscere il corretto trattamento fiscale sia ai fini dell’imposta sul valore aggiunto sia ai fini delle imposte dirette.
Preliminarmente, l’Agenzia qualifica la circolazione dei bitcoin quale “sistema di pagamento decentralizzato, che utilizza una rete di soggetti paritari (peer to peer) non soggetto ad alcuna disciplina regolamentare specifica né ad una Autorità centrale che ne governa la stabilità nella circolazione”.
Parimenti, la risoluzione cita la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea quale imprescindibile pronunciamento sul trattamento ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, costituendo “necessariamente un punto di riferimento sul piano della disciplina fiscale applicabile alle monete virtuali e, nello specifico, ai bitcoin”.
D’altra parte, il caso analizzato dai giudici della Corte europea si mostrava davvero simile a quello che la stessa Agenzia delle Entrate si trovava ad affrontare, inerente un exachange che svolgeva attività di cessione ed acquisto di valuta virtuale, sempre bitcoin, in cambio di valuta tradizionale. Anche in quella situazione il compenso per l’attività era determinato in misura pari al margine differenziale fra il prezzo che il cliente paga per l’acquisto di un’unità di moneta virtuale e la migliore quotazione dello stesso bitcoin sul mercato.
Conformandosi all’orientamento proprio del giudice europeo, l’Agenzia ha qualificato, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, l’attività della società istante quale prestazione di servizi esenti da imposta ai sensi dell’articolo 10, comma 1, n. 3), del D.P.R. n. 633/1972.
Coerentemente all’inquadramento giurisprudenziale europeo, l’Agenzia delle entrate ha ritenuto che la società istante dovesse essere assoggettata ad imposizione diretta per le componenti positive di reddito derivanti dalla attività di intermediazione nell’acquisto e vendita di bitcoin, al netto di quelle negative riferite a detta attività.
Nel caso in esame, l’Agenzia ha evidenziato che:
- il cliente, in caso di ordine di acquistare, provvede ad anticipare le risorse finanziarie alla società che, concluso l’acquisto di bitcoin, registra nel wallet del cliente i codici relativi ai bitcoin acquistati;
- la società, in caso di ordine di vendere, preleva dal cliente i bitcoin e gli trasferisce, al completamento delle operazioni di vendita, la somma pattuita.
Il guadagno (o la perdita) di competenza della società – derivante dalla differenza (positiva o negativa) tra i prezzi di acquisto sostenuti dall’istante e costi di acquisto a cui si è impegnato il cliente (nel caso in cui quest’ultimo abbia affidato alla società l’incarico a comprare) o tra prezzi di vendita praticati dall’istante e ricavi di vendita garantiti al cliente (nel caso di affidamento di incarico a vendere) – è imputabile ai ricavi (o ai costi) di esercizio, che concorrono quali elementi positivi (o negativi) alla formazione della base imponibile da assoggettare a tassazione ai fini delle imposte dirette (Ires ed Irap).
I bitcoin che permangono nella disponibilità della società a fine esercizio devono, invece, essere valutati secondo il cambio vigente alla data di chiusura dell’esercizio e tale valutazione acquisisce rilievo ai fini fiscali in ragione dell’art. 9 del TUIR, facendo pertanto riferimento al valore normale rinvenibile sulla base della media delle quotazioni ufficiali riportate nelle piattaforme on line ove sono compravenduti i bitcoin. Sul punto, emergono chiari segnali di criticità legati, oltre che alla estrema volatilità dei prezzi di riferimento (anche giornalmente), all’assenza di un sistema di rilevazione ufficiale che comporta possibili fenomeni di arbitraggio nelle quotazioni dei singoli mercati.
Al contempo, ancorché in via incidentale, nella citata risoluzione n. 72/E l’Agenzia si esprime in ordine agli aspetti di tassazione ai fini delle imposte dirette per le persone fisiche che detengono bitcoin al di fuori dell’attività di impresa, ricordando che le operazioni a pronti (acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa.
Purtuttavia, non si è esclusa la possibilità di generare un reddito diverso8 ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. c-ter), del TUIR. Tale disposizione contempla la sottoposizione a tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute, ma l’imponibilità delle operazioni sulle valute estere è riferita esclusivamente a quelle operazioni tassativamente riportate nella lett. c-ter) che si intendono come espressive, per presunzione di legge, di una attività di investimento e, cioè, il prelievo della valuta da depositi o conti correnti ovvero la sua cessione a termine. D’altro canto, non sono mai rilevanti le cessioni a pronti delle valute, mancando, appunto, la finalità speculativa.
In tal senso si è espressa la stessa Agenzia delle entrate – Direzione Regionale Lombardia, nella risposta (non pubblicata) all’interpello n. 956-39/2018 relativo all’istanza presentata da un contribuente privato investitore che nel 2013 aveva acquistato alcuni bitcoin su una piattaforma exchange e nel 2017 ne aveva utilizzati una parte al fine di acquistare oro da investimento da un intermediario estero che ammetteva il pagamento con moneta virtuale. Con tale istanza veniva chiesto all’Agenzia delle entrate il corretto trattamento fiscale della plusvalenza realizzata con l’acquisto dell’oro tramite bitcoin9.
Preliminarmente, l’Agenzia delle entrate esordisce rappresentando che in “attuazione della direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo e recante modifica delle direttive 2005/60/CE e 2006/70/CE e attuazione del regolamento (UE) n. 2015/847 riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi e che abroga il regolamento (CE) n. 1781/2006”, è stato adottato il D.Lgs. n. 90/2017, in vigore dal 4 luglio 2017.
L’art. 1 del suddetto decreto legislativo ha sostituito, tra l’altro, l’art. 1 del D.Lgs. n. 231/2007 introducendo la nozione di “valuta virtuale”.
In particolare, il novellato art. 1, comma 2, lettera qq), del D.Lgs. n. 231/2007, definisce “valuta virtuale” “la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi è trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.
In altri termini, in base a tale definizione, il legislatore riconosce normativamente l’utilizzo delle valute virtuali come strumento di pagamento alternativo a quelli tradizionalmente utilizzati nello scambio di beni e servizi ovvero definisce tale “strumento di pagamento” quale “rappresentazione digitale di valore”, “trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.
L’Agenzia, nell’assimilare la cessione di criptovalute a quella di “valute estere rinvenienti da depositi e conti correnti”, consente applicazione l’art. 67 del già menzionato TUIR, a mente del quale, al comma 1-ter: “le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere rinvenienti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che nel periodo d’imposta la giacenza dei depositi e dei conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento sia superiore ad euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui”.
Ai fini della eventuale tassazione del reddito diverso occorre, dunque, verificare se la conversione di bitcoin con altra valuta virtuale (oppure da valute virtuali in euro) avviene a seguito di una cessione a termine oppure se la giacenza media del wallet abbia superato il controvalore in euro di 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta.
Inoltre, in ordine alla determinazione di un’eventuale plusvalenza derivante dal prelievo dal wallet, che abbia superato la predetta giacenza media, si deve prendere in riferimento il costo di acquisto, considerando – nella quantificazione delle plusvalenze/minusvalenze – cedute per prime le valute acquisite in data più recente (art. 67, comma 1-bis, del TUIR).
La plusvalenza conseguita (al netto di eventuali minusvalenze scomputabili) va inserita nel quadro RT della dichiarazione annuale, utilizzando il criterio LIFO in caso di vendite parziali e liquidando la relativa imposta sostitutiva del 26%. Il costo, se non documentabile, può essere calcolato dividendo l’importo del bonifico effettuato all’exchanger per il numero di criptovalute acquistate. Per ciò che attiene al calcolo della plusvalenza, si applicano le regole dell’art. 68, comma 6, del TUIR, che individua la plusvalenza fiscalmente riconosciuta nella differenza tra il corrispettivo percepito a seguito della cessione e il valore di acquisto.
Ultimo punto attiene alla rilevanza delle criptovalute ai fini degli obblighi di monitoraggio fiscale previsti dal D.L. n. 167/90. Sul tema, “l’Agenzia delle Entrate, partendo sempre dall’assunzione che le valute virtuali siano equiparabili alle valute estere, si esprime a favore della riconducibilità di tale fenomeno nell’ambito della disciplina del monitoraggio fiscale; e ciò stante l’inclusione – in linea con i principi generali indicati nella circolare n. 38/E/2013 – delle valute estere tra le attività finanziarie estere. Ne consegue che, secondo l’Agenzia delle Entrate, tutti i soggetti che detengono bitcoin (e in generale criptovalute) al di fuori del circuito degli intermediari residenti, devono monitorare detti investimenti nel quadro RW della dichiarazione dei redditi“10.
Attesa l’applicabilità dei principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali nonché le disposizioni in materia di antiriciclaggio anche alle valute virtuali, l’Agenzia ritiene che anche le valute virtuali debbano essere oggetto di comunicazione attraverso il citato quadro RW, indicando alla colonna 3 (“codice individuazione bene”) il codice 14 – “Altre attività estere di natura finanziaria”. Il controvalore in euro della valuta virtuale detenuta al 31 dicembre del periodo di riferimento deve essere determinato al cambio indicato a tale data sul sito dove il contribuente ha acquistato la valuta virtuale. Negli anni successivi, il contribuente dovrà indicare il controvalore detenuto alla fine di ciascun anno o alla data di vendita nel caso di valuta virtuale vendute in corso d’anno.
Anche il Tribunale Amministrativo del Lazio si è recentemente pronunciato sul trattamento fiscale delle criptovalute, con sentenza n. 1077 del 27 gennaio 202011. Il giudice amministrativo definisce le valute virtuali come “rappresentazioni digitali di valori“12, ribadendo la riconducibilità delle stesse ai redditi diversi ai sensi dell’art. 67 del TUIR. Il caso riguardava un ricorso di legittimità proposto da due associazioni contro due provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate13 relativi all’obbligo di indicazione nel quadro RW della dichiarazione dei redditi delle criptovalute detenute.
Le associazioni hanno agito sostenendo che le valute virtuali siano dei meri “contenitori astratti vuoti”, che si prestano, eventualmente, ad essere riempiti di dati e trasmessi ad altri utenti.
L’Agenzia delle Entrate, dunque, avrebbe assoggettato le valute virtuali all’obbligo di dichiarazione dei redditi senza una previsione legislativa specifica, e senza previa adeguata informazione al contribuente.
La decisione del TAR evidenzia un ulteriore orientamento del panorama giuridico italiano sulla materia, attribuendo rilievo all’aspetto funzionale: il TAR, infatti, assoggetta ad imposizione non il mero possesso di valute virtuali ma il loro diverso utilizzo fintantoché questo generi materia imponibile. In altri termini, ciò che è assoggettato a tassazione non è la moneta virtuale come mezzo finanziario in sé, ma l’utilizzo che se ne fa della stessa.
Argomenta il TAR nel senso che è dirimente la circostanza che la modifica del D.L. n. 167/1990, operata per il tramite del D.Lgs. n. 90/2017, ha esplicitamente inserito l’utilizzo delle “monete virtuali” tra le operazioni relative ai trasferimenti da e per l’estero, rilevanti ai fini del relativo monitoraggio ex art. 1 del D.L. n. 167/1990.
L’art. 1 citato opera sotto un duplice profilo, oggettivo e soggettivo: sotto il profilo oggettivo, assoggetta espressamente al monitoraggio sia l’utilizzo delle valute virtuali, che l’utilizzo di “mezzi di pagamento” (distinti dalle prime e definiti all’art. 1, comma 2, lett. “s” del D.Lgs. n. 231/2007); sotto quello soggettivo, ai suddetti obblighi di monitoraggio sono tenuti, inoltre, sia gli operatori finanziari che gli operatori non finanziari. Su queste premesse, il TAR ha ritenuto infondate le doglianze del ricorrente secondo le quali le valute virtuali non dovrebbero essere dichiarate nel quadro RW perché non espressamente elencate nell’art. 4: la nozione di investimenti esteri, valevole ai fini del monitoraggio, è definita all’art. 1 del medesimo decreto legge, che concorre a definire la nozione degli “investimenti all’estero” e di “attività estere di natura finanziaria”, includendo in esse anche investimenti ed attività mediante impiego di valute virtuali.
Per ultimo, sostiene il TAR, l’art. 1 assoggetta agli obblighi di monitoraggio sia gli operatori finanziari che quelli non finanziari; pertanto, irrilevante è la tesi secondo cui le monete virtuali sarebbero “mezzi di pagamento” (e non valute), perché la disposizione di cui all’art. 1 è relativa alle operazioni compiute sia con valute virtuali sia con mezzi di pagamento in quanto tali.
5. Considerazioni finali
Pare ormai indiscutibile la continua e rapida evoluzione della società verso l’era digitale, ove uno dei settori più “controversi” è dato appunto dalle criptovalute. L’ingresso nella società di questo nuovo asset comporta un necessario adeguamento anche dal punto di vista normativo e giuridico, il cui iter burocratico mal si concilia con la velocità e il dinamismo che caratterizza il mondo tecnologico.
Di converso, il giurista è sempre più costretto a velocizzare procedimenti standardizzati che, sovente, quando vengono stigmatizzati non sono più attuali con il progredire della tecnologia.
Nonostante in molti pensino che le criptovalute costituiscano la moneta del futuro a livello globale, un’altra e numerosa parte risulta scettica in quanto carente delle comuni funzioni di una moneta, quali mezzo di scambio, unità di conto e riserva di valore. Allo stesso modo, l’estrema volatilità del prezzo della valuta, unita ad assenza di forme di controllo e di vigilanza ovvero ad adeguata informazione, lasciano presagire che la strada da percorrere sia ancora lunga e tortuosa.
Sul punto, infatti, negli ultimi giorni il valore dei bitcoin è crollato del 30% circa, facendo sprofondare la criptovaluta al di sotto dei 40 mila dollari, anche in considerazione del fatto che – secondo quanto riportato da alcuni quotidiani on line – la Banca centrale cinese avrebbe vietato l’emissione di strumenti finanziari legati alle criptovalute14. Ancora una volta risultano, pertanto, di fondamentale importanza gli avvisi emanati sulla questione dalla Consob e dalla Banca d’Italia.
Dal punto di vista prettamente fiscale, in assenza di norme specifiche, l’Agenzia delle entrate si è pronunciata in due documenti di prassi ove è addivenuta a delle soluzioni che, nonostante il pregevole sforzo ermeneutico, non sembrano tuttavia soddisfare appieno il bisogno di regolamentazione che contraddistingue il settore.
Le soluzioni cui è addivenuta l’Agenzia, pur nell’intento di colmare vuoti normativi consistenti, lasciano ancora aperte numerose questioni e proprio l’equiparazione delle criptovalute alle valute estere risponde all’esigenza di trovare una soluzione, seppur momentanea, in attesa di un inquadramento normativo più organico e definitivo, sulla natura che questi nuovi “valori digitali” possano rivestire per gli investitori.
1 Dottorando di ricerca in Diritto e Impresa (XXXVI ciclo), presso la LUISS Guido Carli. Specializzato in Diritto d’impresa, Diritto bancario e Scienze economiche e bancarie europee.
2 Risoluzione del Parlamento europeo del 3 ottobre 2018 sulle tecnologie di registro distribuito e blockchain (2017/2772/RSP).
3 Fonte: https://coinmarketcap.com/it/.
4 Pantanella A., Ethereum e Bitcoin: finzioni giuridiche e territorialità delle plusvalenze, in Il fisco, 19, 2021, p. 1-1815.
5 Vds. Commissione europea – Group on the future of VAT, VAT treatment of Bitcoin, 23 ottobre 2014, su https://circabc.europa.eu/sd/a/4adc83f8-a7ab-48ee-b907-468459c0dad7/49%20%20VAT% 20treatment%20of%20Bitcoin.pdf.
6 Piasente M., Esenzione IVA per i “Bitcoin”: la strada indicata dalla Corte UE interpretando la nozione “divise”, in Corr. trib., 2016, 2, p. 141.
7 In dottrina vds. CAPACCIOLI S., Criptovalute e Bitcoin: un’analisi giuridica, Milano, 2015; ID., Bitcoin: le operazioni di cambio con valuta a corso legale sono prestazioni di servizio esenti, cit.; ID., Riciclaggio, antiriciclaggio e Bitcoin, in Il Fisco, 2014, n. 46, p. 4561; CLAPS P. E PIGNATELLI M., L’acquisto e la vendita per conto terzi di “Bitcoin” non sconta l’IVA ma rileva ai fini IRES ed IRAP, in Corr. trib., 2016, n. 40, p. 3075; CORASANITI G., Il trattamento tributario dei Bitcoin tra obblighi antiriciclaggio e monitoraggio fiscale, cit.; FERRARI E., Bitcoin e criptovalute: la moneta virtuale tra Fisco e antiriciclaggio, in Il fisco, 2018, 9, p. 861 e ss; MAGLIOCCO A., Bitcoin e tassazione, in Strumenti finanziari e fiscalità, 2016, p. 22; PALUMBO G., Il trattamento tributario dei «Bitcoin», in Dir. Prat. Trib., 2016, 1, p. 279 e ss.; PIASENTE M., Esenzione IVA per i “Bitcoin”: la strada indicata dalla Corte UE interpretando la nozione “divise”, cit..
8 Nella categoria denominata “redditi diversi”, disciplinata dal Tuir, il legislatore ha concentrato una serie di casistiche reddituali eterogenee, non riconducibili alle fattispecie tipiche, ossia alle categorie caratterizzate dalla derivazione dei redditi considerati da una fonte produttiva omogenea. In particolare, la accennata eterogeneità delle ipotesi contemplate dall’art. 67 del Tuir è una diretta conseguenza delle finalità proprie della categoria reddituale in esame, che sono quelle di assoggettare ad imposizione i redditi nei cui confronti non si sia verificato almeno uno dei presupposti necessari per la riconduzione nell’ambito delle altre categorie reddituali previste dal legislatore. Tra i redditi diversi vi sono anche alcuni redditi di natura finanziaria e, in special modo, quelli derivanti da operazioni finanziarie che possono dar luogo a risultati sia positivi che negativi (guadagni o perdite) in relazione al verificarsi di eventi incerti e aleatori (c.d. capital gains).
9 Vds. Angelucci P. e Bracchi A., Tassazione e monitoraggio fiscale delle criptovalute. Analisi dei recenti chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate – Direzione Regionale della Lombardia nella risposta (non pubblicata) all’interpello n. 956-39/2018”, su http://novitafiscali.supsi.ch/723/1/Angelucci%20%26%20Bracchi%20-%20Tassazione%20 e%20monitoraggio%20fiscale%20delle%20criptovalute.pdf
10 Cancelliere F. e Tardini A., Risposta (non pubblica) all’interpello n. 956-39/2018: profili fiscali della detenzione di criptovalute da parte di persone fisiche residenti in Italia, rinvenibile su https://www.datocms-assets.com/45/1526661377-maggio2018_fiscalitacriptovalute_cancellieretardini_tremontiromagnolipiccardi.pdf?ixlib=rb-1.1.0.
11 Il testo della sentenza è rinvenibile al sito https://www.giustiziaamministrativa.it/.
12 Cfr. normativa antiriciclaggio, D.Lgs. 231/2007.
13 Prot. nn. 23596/2019 e 85457/2019.
14 Fonte: https://www.quotidiano.net/economia/bitcon-valore-perche-1.6382132.