di Edoardo Tedeschi1

Sinora abbiamo fatto esclusivo riferimento al sistema Bitcoin, pur avendo spesso fatto accenno all’esistenza di altre criptovalute. In effetti il Bitcoin non è l’unica criptovaluta esistente: molte ne sono state create dopo che Satoshi Nakamoto ha dato vita nel 2018 al sistema sinora descritto.

La loro realizzazione è stata agevolata per ovviare ai limiti fondamentali del protocollo Bitcoin, ossia:

– lentezza transattiva;

– elevato numero di informazioni cumulate nella blockchain e conseguente difficoltà di elaborazione;

– notevole dispendio energetico richiesto per ogni transazione;

– trasparenza e storicizzazione delle transazioni.

Più in particolare, una delle maggiori problematiche che ha investito i Bitcoin è la scalabilità del sistema2. Come noto, quando il valore di un bene subisce delle improvvise oscillazioni e dei repentini incrementi, il problema è quello di mantenere la sostenibilità della crescita esponenziale. I Bitcoin, nell’ultimi anni, hanno fatto registrare una crescita fulminea, tanto da aver mandato in tilt le piattaforme distribuite di gestione delle transazioni. Il sistema Bitcoin, come abbiamo visto, si regge su un grande database distribuito che tiene traccia di tutte le transazioni, che presenta il limite tecnologico nella dimensione dei singoli blocchi, che corrisponde a 1 MB e che permette di raggiungere al massimo sette transazioni per secondo. Il limite di capacità del blocco funge, di fatto, da collo di bottiglia e ciò ha portato all’incremento del costo delle commissioni, che gli utenti sono disposti a pagare per vedersi confermate prima possibile le transazioni. Gli sviluppatori hanno ovviato con degli adattamenti alla blockchain o attraverso la creazione di nuove criptovalute.

Le criptovalute diverse dai Bitcoin sono definite anche altcoins e sono nate grazie alle modifiche apportate ai codici dei sistemi preesistenti (che come abbiamo illustrato erano open source), ma anche creandone di nuovi ed innovativi. Quelle che prendono origine da modifiche al codice fonte del Bitcoin sono dette forks; quelle che, invece, utilizzano un codice fonte diverso, pur sfruttando sempre la tecnologia della blockchain, sono dette Bitcoin 2.0 o Criptovalute 2.0.

Quante ne esistono? Non è semplice fare una stima: investing.com ne quota (alla data del 28 febbraio 2022) 10.647. Coinmarketcap.com ne quota invece 17.868, la cui capitalizzazione totale, alla sessa data, è pari a $ 1,835,058,968,077. In realtà, molte di queste criptovalute sono inoperative e rappresentano dei token il cui valore è quello deciso dall’emittente e non dal mercato.

Le fork si realizzano attraverso la scomposizione di una blockchain in due o più rami, in modo che da uno scenario in cui era presente una sola catena riconducibile ad un’unica criptovaluta, se ne formino due (o più) relative a criptovalute diverse. La suddivisione in fork della blockchain può avvenire attraverso due metodi, definiti hard fork e soft fork.

Il primo si realizza quando alcuni nodi della rete scelgono di seguire nuove regole per la gestione delle operazioni con la criptovaluta, rendendo irrealizzabili operazioni di comunicazione “a ritroso” tra i nodi della nuova catena e quelli che ancora seguono le vecchie norme (in termini tecnici, si parla di reverse connection). In questo modo, i nodi della nuova catena non accettano blocchi provenienti dai nodi operanti con le vecchie regole, impedendo ogni sorta di comunicazione “a ritroso” con la catena preesistente.

Nel soft fork, al contrario, i nodi che seguono le nuove regole accettano anche i blocchi legittimati dai nodi operanti con le vecchie regole e, quindi, tra le due catene sarà possibile anche la comunicazione “a ritroso”.

Analizziamo di seguito alcune altcoin.

Ethereum (simbolo ETH) si caratterizza per essere la prima piattaforma decentralizzata che sfrutta degli applicativi in grado di creare, pubblicare e trasferire dei “contratti intelligenti” (smart contract), ossia protocolli informatici che facilitano, verificano, o fanno rispettare, la negoziazione o l’esecuzione di un contratto, senza la mediazione di terze parti, permettendo talvolta la parziale o la totale esclusione di una clausola contrattuale3. Per poter operare sulla rete peer-to-peer, i contratti di Ethereum “pagano” l’utilizzo della sua potenza computazionale tramite una unità di conto, detta Ether4, che funge quindi sia da criptovaluta che da vero e proprio carburante. In altre parole, contrariamente a molte altre criptovalute, Ethereum non è solo un network per lo scambio di valore monetario, ma una rete per far girare contratti basati su tale sistema. Tra le attività che possono essere svolte attraverso la piattaforma Ethereum rientrano anche le raccolte di fondi svolte da privati o organizzazioni prive di scopo di lucro (crowdfunding), ovvero le offerte di pubblico acquisto non regolamentate dette ICOs (Initial Coin Offerings).

Ripple (simbolo XRP)5, da molti considerata l’erede del Bitcoin (è la seconda criptovaluta in assoluto per capitalizzazione di mercato al mondo), deriva il suo nome dal protocollo open source, che persegue lo scopo di rendere possibili transazioni finanziarie gratuite di qualsiasi importo. Il sistema si serve di token che rappresentano sia una tradizionale valuta legale (fiat currency), sia criptovalute, commodities o qualsiasi altra unità di valore. Al contrario del Bitcoin, Ripple non si basa su di una blockchain, ma ha una struttura HashTree che si affida ad un database pubblico condiviso, una sorta di server di validazione delle operazioni da parte di ogni partecipante, che può essere chiunque, una persona fisica o anche una banca. Tra i validators si annoverano grandi aziende, Internet service providers, istituti quali il Massachusetts Institute of Technology, ma anche istituzioni finanziarie come UniCredit, UBS, Banco Santander, Credit Agricole e American Express Ripple, che hanno sperimentato il suo utilizzo come infrastruttura tecnologica. Non solo, ma al contrario di Bitcoin, Ethereum ed altre altcoin, Ripple non può essere minato; tutti i 100 miliardi di token sono stati creati in partenza “per inception” (ciò significa che il primo ledger conteneva già tutti i token).

Litecoin (simbolo LTC)6 opera attraverso tecnologia peer-to-peer, open source rilasciata con licenza MIT/X11. Da un punto di vista tecnico, ha preso ispirazione e risulta molto simile ai Bitcoin. Tuttavia, non mancano differenze, anche fondamentali, dettate dall’intenzione degli sviluppatori, di migliorare il protocollo Bitcoin. Innanzitutto, la rete Litecoin elabora un blocco ogni 2,5 minuti, 7,5 minuti in meno rispetto a Bitcoin. Il vantaggio si traduce in una conferma più veloce delle operazioni, anche se un tempo così ristretto ha aumentato le dimensioni del Litecoin blockchain e il numero dei blocchi “orfani”. La rete Litecoin produce, poi, 84 milioni di monete, il quadruplo di unità monetarie rispetto alla rete Bitcoin.

Zcash (simbolo ZEC)7, è una moneta virtuale emergente, molto sicura, in grado di criptare il contenuto all’interno di una transazione, il che vuol dire che tutte le informazioni relative ai pagamenti sono protette (i pagamenti Zcash sono pubblicati su una blockchain pubblica, ma il mittente, il ricevente e il valore della transazione possono rimanere privati). Zcash permette di inviare e ricevere pagamenti allo stesso modo del Bitcoin, con la differenza che è possibile scegliere se effettuare pagamenti pubblici o privati. Come Bitcoin, Zcash ha una fornitura fissa totale di 21 milioni di unità.

Iota8 è un progetto open-source sorto nel 2015 (ma operativo dal 2017), che si fonda su un token crittografico di nuova generazione, che sfrutta il sistema tangle e non il tradizionale blockchain. Ciò ha permesso di eliminare la figura del miner e quindi di eliminare “le tasse” a loro dovute. In sostanza, con il tangle, ogni transazione, per essere inserita in modo corretto, deve validarne altre due precedenti, non ancora validate. Questo elimina di fatto la differenza tra utenti e minatori, presente nel blockchain, perché la validazione non è basata sulla competizione tra nodi, ma viene eseguita in modo distribuito e uniforme da tutti i partecipanti della rete. Questo porta a due risultati particolarmente significativi: Iota è, in teoria, infinitamente scalabile, perché, all’aumentare del numero di transazioni, aumenta il numero di transazioni validate (ogni nuova transazione ne valida 2 precedenti)9; non sono state introdotte fee per le transazioni, in quanto ogni nodo partecipa allo stesso modo nella rete, senza competizione, e dunque, per mantenere un nodo, non vi è la necessità di investire in hardware sempre più costosi (come invece avviene per il mining nella blockchain). A differenza dei circa 21.000.000 di Bitcoin minati e minabili complessivamente, ci sono 2.779.530.283.277.761 Iota in circolazione, già tutti distribuiti. Dato l’attuale cambio rispetto alle valute fiat, l’unità di misura ricorrente per riferirsi alla criptovaluta non è lo stesso Iota, ma il Miota, ossia un milione di Iota.

L’elenco del criptovalute, come detto, è molto vasto e non mancano, peraltro, ambiziosi progetti sostenuti da alcune Nazioni interessate alla creazione di proprie criptovalute. Il Venezuela, ad esempio, è stato uno dei primi paesi al mondo ad essersi mosso annunciando la creazione di una propria criptovaluta, il Petro (così denominata in quanto garantita dal greggio)10.

Il progetto, in realtà, è stato a lungo inoperativo11 e, ad oggi, appare presentarsi più come una mossa propagandistica del regime e, ad ogni modo, in molti ritengono che tale strumento abbia finalità, oltre che speculative, anche elusive delle sanzioni internazionali12. Anche in Estonia è stato presentato un progetto per battere una criptovaluta di Stato, la cd. Estcoin. Il programma, non decollato, è legato al progetto e-residency, avviato nel 2014 per agevolare lo stabilimento di imprese estere attraverso l’attribuzione di una identità digitale attraverso cui investire nel paese13. Iniziative similari sono state annunciate in Russia14 e, come abbiamo, osservato in Giappone. Molti di questi progetti, denominati central bank digital currency (CBDC), su cui ci soffermeremo più diffusamente oltre, stentano a decollare perché si fondano su sistemi di controllo centralizzato.

El Salvador, invece, è stato il primo Stato ad approvare il Bitcoin come moneta ufficiale, tanto da sembrare il governo del Paese intenzionato a costruire una vera e propria città dei Bitcoin. Il riconoscimento del Bitcoin è stato accompagnato anche dal lancio dell’app wallet Chivo, a cui i cittadini si sono potuti iscrivere per effettuare transazioni.

Eppure, nonostante il grande favore con cui è stata inizialmente accolta l’iniziativa del riconoscimento dei Bitcoin come moneta ufficiale, le prime fasi non sono state molto positive per il Paese. Un crollo del valore della criptovaluta (fino a picchi di 17% in un solo giorno) ha provocato effetti disastrosi sull’economia dello Stato, già di per sé non molto florida. Ciò ha comportato una sorta di ripensamento tra i fautori dell’iniziativa, ancorché il governo non sia tornato indietro sulle proprie decisioni.

Al riguardo, anche il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha recentemente lanciato un monito a El Salvador, rappresentandogli che dovrebbe interrompere il corso legale dei Bitcoin a causa dei forti rischi che potrebbe comportare per la stabilità finanziaria del paese e per la protezione dei consumatori con forti ripercussioni (il debito pubblico potrebbe salire al 96% entro il 2026).

Anche la Cina sta intraprendendo il progetto di introdurre lo Yuan digitale o e-CNY e, considerata la forza economica del Paese, la circostanza ha destato grande interesse soprattutto nel mondo occidentale.


1 Dottorando di ricerca in Diritto e Impresa (XXXVI ciclo), presso la LUISS Guido Carli. Specializzato in Diritto d’impresa, Diritto bancario e Scienze economiche e bancarie europee.

2 Nell’informatica, nelle telecomunicazioni e in altre discipline, la scalabilità denota in genere la capacità di un sistema di aumentare o diminuire di scala in funzione delle necessità e disponibilità. Un sistema che gode di questa proprietà viene detto scalabile.

3 Ethereum nasce nel dicembre 2013 e le prime versioni del software in linguaggio Go e in linguaggio C++ sono state rilasciate agli inizi del febbraio 2014. Da allora sono state pubblicate diverse versioni successive, che hanno incluso lo sviluppo di tre linguaggi di programmazione appositamente creati per scrivere smart contract: il Serpent (ispirato al linguaggio Python), il Mutan (ispirato al linguaggio Go) e LLL (ispirato al linguaggio di programmazione Lisp). Per finanziare l’implementazione del sistema, Ethereum ha lanciato un’offerta pubblica di pre-vendita di Ether. L’offerta pubblica è durata 42 giorni ed ha totalizzato la raccolta di 31.591 Bitcoin, pari (al tasso di cambio del 2 settembre 2014) a circa 18,4 milioni di dollari statunitensi o 60.102.216 ETH.

4 Il suo valore al 28 febbraio 2022 è di 2.800,6 dollari.

5 Il suo valore al 28 febbraio 2022 è di 0,76 dollari.

6 Il suo valore al 28 febbraio 2022 è di 109,56 dollari.

7 Il suo valore al 28 febbraio 2022 è di 111,76 dollari

8 Il suo valore al 28 febbraio 2022 è di 0.76 dollari.

9 Nella blockchain invece, l’inserimento a velocità costante di un blocco, mediamente ogni 10 minuti, determina di fatto un collo di bottiglia per le prestazioni della rete.

10 Il Decreto Constituyente sobre Cripotactivos y la Criptomoneda Soberana Petro (DCCCSP) emesso il 9 aprile 2018, stabilisce la base legale per la creazione, la circolazione, l’uso e lo scambio di crypto-asset in Venezuela sia tra persone fisiche che giuridiche, pubbliche e private, compresi residenti e non residenti venezuelani. Il DCCCSP ha istituito il Petro, la criptovaluta sovrana venezuelana, sviluppata ed emessa dalla Repubblica Bolivariana del Venezuela e sostenuta da diverse materie prime, come minerali e riserve di idrocarburi. Il Petro, creato in alternativa al tradizionale sistema finanziario, opera attraverso transazioni su blockchain. Un decreto del 30 gennaio 2019 ha istituito la Superintendencia Nacional de Criptoactivos y Actividades Conexas (SUNACRIP), Autorità responsabile della regolamentazione, della creazione, emissione, organizzazione, funzionamento e utilizzo di crypto-asset (Vds. The Law Library of Congress, Global Legal Research Directorate, Regulatory Approaches to Crypto-assets in Selected Jurisdictions, aprile 2019, su https://www.loc.gov/law/help/cryptoassets/cryptoasset- regulation.pdf).

11 Secondo recenti informazioni il Petro avrebbe cominciato ad operare in Venezuela tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020 (vds. Cavicchioli M., Petro: adozione di massa in Venezuela?, 7 gennaio 2020, su https://cryptonomist.ch/2020/01/07/petro-adozione-in-venezuela/).

12 Vds. SOLDAVINI P., Il Venezuela lancia la sua criptovaluta: un Petro per un barile di petrolio, in Il Sole 24Ore del 20 febbraio 2018.

13 Vds. PIGNATELLI M., Estonia incubatore di start-up grazie all’e-residency, in Il Sole 24Ore del 14 gennaio 2019.

14 Vds. MARRO E., Putin studia un «criptorublo» per aggirare le sanzioni occidentali, in Il Sole 24Ore del 2 gennaio 2018.