di Edoardo Tedeschi1

Considerate le possibilità offerte dalle criptovalute di trasferire moneta in maniera veloce, economica ed anonima, è evidente come queste si prestino a essere utilizzate da chi intenda sfruttarne – in maniera delinquenziale – le modalità di funzionamento per trasferire fondi accumulati illecitamente e “ripulirli”.

L’uso delle criptovalute, infatti, contrasta con il principio cardine del sistema antiriciclaggio delineato dal D.Lgs. n. 231/2007, cioè quello della prevenzione, attuata mediante la conoscenza del cliente da parte degli intermediari finanziari, nonché del costante monitoraggio dell’operatività dei soggetti e delle operazioni da questi realizzate2.

L’insieme di queste peculiarità, unite alla mancanza di controllo sulla tracciabilità da parte di istituti centralizzati, rende difficoltosa, se non impossibile, l’identificazione certa dei soggetti che pongono in essere tali transazioni e avvantaggia certamente chi intenda realizzare operazioni di riciclaggio, data la difficoltà di monitorare le azioni di collocamento, stratificazione e integrazione.

In tal senso, l’Italia e più in generale l’Europa hanno svolto un ruolo pionieristico nel cercare di regolamentare gli aspetti connessi agli adempimenti antiriciclaggio e alla tassabilità delle operazioni di “incrocio” tra moneta reale e virtuale, muovendo da un assunto, secondo il quale, nonostante l’utilizzo equivoco dei termini “criptovaluta” o “cripromoneta”, ci troviamo di fronte ad una “non moneta”, ossia all’espressione digitale di un valore suscettibile di una valutazione economica da parte di coloro che ne accettano la negoziazione.

Infatti, secondo la V Direttiva antiriciclaggio (direttiva n. 2018/843 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018) per valuta virtuale deve intendersi “una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una Banca Centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”.

L’Italia, che aveva anticipato i tempi, già in sede di recepimento della IV Direttiva antiriciclaggio (che non conteneva la definizione appena citata)3, ad opera del D.Lgs. 25 maggio 2017, n. 90, ha previsto che per “valuta virtuale” debba intendersi la “rappresentazione digitale di valore, non emessa da una Banca Centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente4.

I primi interventi da parte del legislatore di regolare il sistema, infatti, muovono proprio dalla preoccupazione in ordine ai rischi di riciclaggio, assumendo quale parametro di riferimento la capacità delle criptovalute di auto-originarsi da fonti virtuali non regolamentate e di autorappresentare un valore che si può imporre come riserva e come mezzo di scambio.

In realtà, non mancano elementi di segno opposto. Studi sull’analisi economica del riciclaggio5 dimostrano che la remunerazione del rischio (percentuale dei flussi riciclati), e dunque il costo del riciclaggio, aumentano al crescere dell’efficacia della regolamentazione.

Tuttavia, nel caso di specie, si ritiene che utilizzare, da parte del riciclatore, un sistema che, per le note problematiche di volatilità, aggiunge un ulteriore fattore di rischio suscettibile di distruggere il valore accumulato appaia un non senso, e che quindi, la regolamentazione dei mercati che scambiano criptovalute da parte dei legislatori e regolatori europei ed internazionali, tesa a rendere maggiormente stabile l’intero sistema contro possibili bolle speculative, potrebbe avere l’effetto contrario rispetto a quello che ordinariamente si ottiene attraverso la regolamentazione delle transazioni finanziarie, ossia quello di attrarre maggiormente il crimine finanziario.

Un dato appare certo, se è vero che giornalmente si rincorrono notizie su singoli episodi illeciti che coinvolgono il mondo delle criptovalute, è altrettanto vero che mancano studi o comunque evidenze in grado di delineare un trend circa lo spostamento di grandi masse di capitali illeciti verso questi sistemi, la cui altissima volatilità rappresenta al momento un freno per gli stessi riciclatori.

A questo punto bisogna domandarci come il “sistema Bitcoin” possa essere sfruttato a fini di riciclaggio, ossia in operazioni di reimmissione di denaro di fonte illecita nel circuito dell’economia legale6.

Internet sicuramente incide in maniera sempre più complessa. Se inizialmente operava come mero strumento-veicolo, per la prima immissione dei proventi di reato (placement), oggi si presta per la creazione di stratagemmi anche per le fasi del layering ed integration attraverso sofisticate operazioni finanziarie7.

Nel sistema delle criptovalute, l’assenza di intermediari, la possibile gestione off-line dei wallet, l’utilizzo della crittografia avanza, uniti alla possibilità di avvalersi di sviluppi applicativi che rendono sempre meno trasparente l’utilizzo della blockchain, sono tutti elementi che appaiono favorire operazioni di riciclaggio8.

Ma è soprattutto lo pseudo-anonimato a rappresentare l’elemento di maggiore criticità per i moderni sistemi di contrasto al riciclaggio, poiché ne vanifica il principio dell’adeguata verifica della clientela. Le criptovalute, infatti, invertono il tradizionale rapporto – verso cui tende una norma antiriciclaggio – secondo cui “a transazione sconosciuta corrispondono delle parti conosciute”, in quanto ad essere sconosciute, in questo caso, sono proprio le parti e ciò rende molto più complicato applicare le disposizioni previste dalla normativa antiriciclaggio.

Il sistema, dunque, come si diceva in precedenza, rappresenta un vero “paradiso virtuale”, in cui restare impuniti grazie al completo anonimato è garantito in tutte e tre le fasi in cui si articola il riciclaggio. In merito, corre l’obbligo di evidenziare come autorevole dottrina abbia inteso focalizzare l’attenzione proprio su alcune caratteristiche ordinamentali di alcuni paesi che, in passato, avevano semplicemente schermato “amministrativamente” le proprie giurisdizioni da indagini conoscitive finalizzate al contrasto dell’evasione fiscale, fornendo una definizione degli stessi più al passo con i tempi e in grado di coglierne intuitivamente le nuove connotazioni, ovvero quella di “paradisi fisco-informatici9.

Nella fase del collocamento (placement) lo pseudo-anonimato è una caratteristica che, senza dubbio, è in grado di attirare chiunque intenda trasferire illecitamente dei fondi, mentre la velocità delle transazioni consente di convertire le criptovalute in altcoin con livelli di anonimato ancora più elevati o in valute fiat in Stati con un basso livello di contrasto al fenomeno del riciclaggio.

Nella fase della stratificazione (layering), i cyber criminali possono fare affidamento sull’impossibilità di tracciare e bloccare le transazioni una volta eseguite e sulla disponibilità di conti correnti intestati a soggetti “presta conto” (i cosiddetti “money mule”) che, una volta ricevuto l’accredito delle somme, procedono al loro incasso ed al successivo trasferimento al reale destinatario, ovvero possono svolgere tutta l’intera filiera di attività illecite (commissione del crimine, ottenimento del profitto, riciclaggio e utilizzo dei fondi ripuliti) senza mai uscire dall’area delle valute virtuali. Sempre nella fase della “stratificazione”, i soggetti possono distribuire i fondi illeciti su più dark wallet (utilizzando diverse altcoin) o cold wallet (come un hard disk), che assicurano servizi di conservazione off-line dei portafogli digitali.

Nella fase dell’integrazione (integration), l’anonimato consente di incassare il provento illecito per poi inviarlo a soggetti terzi, estranei alla rete criminale, anche se residenti in Stati terzi.

Ulteriori elementi di criticità, che si traducono ovviamente in una maggiore appetibilità delle valute virtuali per chi voglia attuare condotte di money laundering, sono dovuti al fatto che le criptovalute possono essere acquistate o convertite in moneta fiat, non solo attraverso un exchange (figura che, come vedremo è stata di recente regolamentata ed assimilata ai cd. cambia valute), ma anche avvalendosi di uno dei numerosi ATM all’uopo predisposti presenti nel mondo dal quale è possibile caricare, sul proprio digital wallet criptovaluta, ovvero convertirla e prelevare moneta fiat.

Non solo, ma uno dei metodi di scambio/cambio di criptovalute più diffusi, segue la regola del contante. Si tratta del cosiddetto “scambio faccia a faccia” (o face to face), ove i Bitcoin sono acquistati con denaro contante, in occasione di incontri fisici tra il cedente e l’acquirente (come a raduni o meeting) a seguito di un accordo sul prezzo di vendita avvenuto su siti, come Localbitcoin (operativo anche in Italia), che permette ad individui geograficamente vicini ed intenzionati all’acquisto o alla cessione di criptovalute di accordarsi sul prezzo ed incontrarsi e regolare la compravendita in contanti (ferma la possibilità, comunque di regolare il tutto in modo trasparente con bonifico bancario). Tale sistema può prevedere anche la presenza di un terzo soggetto, cosiddetto trader, che si occupa materialmente di cedere dietro corrispettivo, sempre in contanti, le criptovalute. A differenza di un exchange, ovviamente, il trader richiede commissioni più elevate, oscillanti fra il 7 ed il 15% del valore totale della transazione10.

Un ulteriore aspetto problematico dei trader riguarda il quantitativo di contante oggetto di scambio, che può superare il limite di utilizzo del contante fissato per legge. Il trader si accorda (attraverso mezzi di comunicazione e servizi di messaggistica istantanea come Telegram o Whatsapp) con gli acquirenti su siti presenti sia sul surface web che sulla dark net. Negli accordi, il venditore stabilisce sia il tasso di cambio da applicare che la soglia minima e massima di contante da versare per completare lo scambio.

Come già evidenziato, il sistema di scambio può, poi, essere reso ulteriormente opaco attraverso sistemi capaci di offuscare la relazione tra venditori ed acquirenti e di oscurare l’origine di qualsiasi transazione.

Oltre alla possibilità di modificare o nascondere l’indirizzo IP dell’utente collegato alla rete (specie su TOR), ulteriori possibilità sono date dall’uso di un mixer anche definito come laundry service mixer o tumbler.

In particolare, questi ultimi si fondano su algoritmi in grado di “mixare” i Bitcoin, attraverso pratiche di tumbling, condotte prevalentemente sul dark web, che consentono di spacchettare un consistente ammontare di criptovalute in una moltitudine di frazioni, così da ottenere effetti di “diversificazione” e “confusione”.

I siti specializzati pubblicizzano questi servizi per offrire una maggior grado di sicurezza contro attacchi esterni. È innegabile, tuttavia, che questi sistemi offrano ripari sia da penetrazioni hacker sia da controlli delle autorità.

In ultima analisi, va segnalata l’esistenza di altcoins che utilizzino un protocollo particolarmente impermeabile alla verifica delle identità degli utenti con sistemi automatici di mixing o con sistemi che creano una criptovaluta separata, anonima e simulata, che esiste a fianco di una (non-anonima) denominata basecoin e che può essere convertita in qualsiasi altra altcoin.

Parliamo, principalmente, di ZeroCoin e Monero, dove la prima, utilizza il protocollo ZeroCash, che assicura anche l’anonimato sull’origine dei pagamenti e sugli importi scambiati sulla blockchain, mentre la seconda, sfrutta il deep web e la tecnologia del node to node per creare una rete di copertura anonima ed aumentare la privacy delle transazioni.

Il sistema, per come è stato sinora delineato, appare certamente congeniale per le organizzazioni criminali intenzionate a riciclare il frutto delle proprie attività illecite, ciò in quando il mondo delle criptovalute sembra segnare il passo al passaggio da uno Shadow Banking System, complesso di mercati, istituzioni e intermediari che erogano servizi finanziari senza essere soggetti alla relativa regolamentazione, ad un sistema definibile ad  avviso di chi scrive come una sorta di Stealth Banking System, intendendosi con ciò fare riferimento ad un complesso di strumenti che, oltre alla assenza di regolamentazione, può assicurare di rendere invisibile la quantità di criptovalute transate e l’identità degli soggetti intervenuti nelle operazioni.

Sistemi, questi ultimi, che vedono l’intervento anche di soggetti terzi, altrettanto dissimulati, ed estranei agli obblighi antiriciclaggio (ad esempio il trader).

Il D.Lgs. n. 125/2019, che recepisce la direttiva 2018/843, amplia la platea dei prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale, comprendendo anche coloro che gestiscono la conversione in tra loro di valute virtuali, servizi di emissione, offerta, trasferimento e compensazione e ogni altro servizio funzionale. Con e-wallet, invece, si identifica “ogni persona fisica e giuridica, che fornisce a terzi, a titolo professionale, anche online, servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti al fine di detenere, memorizzare o trasferire valute virtuali”.

Il D. Lgs. 125/2019 non porta novità per quanto riguarda l’obbligo di registrazione che la direttiva richiede per i prestatori di servizi in valute virtuali, se non per l’estensione di tale obbligo anche ai “prestatori di servizi di portafoglio digitale”. Allo stesso modo non vi sono novità riguardo la possibilità per le FIU nazionali di ottenere informazioni che consentano di associare gli indirizzi della valuta virtuale alla reale identità del proprietario della stessa. Per tale ultimo aspetto, si applicano ai prestatori di servizi la cui attività consiste nella fornitura di servizio di cambio tra valute virtuali e valute aventi corso legale (exchanger) ed i prestatori di servizi di portafoglio digitale (e-wallet), i presidi antiriciclaggio finalizzati all’identificazione del titolare effettivo.

Andando ad analizzare le varie fasi attraverso le quali si configura un’operazione di riciclaggio, si può comprendere come le valute virtuali, grazie alle caratteristiche che le contraddistinguono, rappresentino oggi un’opportunità straordinaria per chi voglia reinvestire capitali di provenienza illecita, offrendo una serie di alternative ai metodi tradizionali.

Nella fase di collocamento, infatti, un criminale in possesso di denaro contante provento di reato può, con estrema facilità, utilizzare i servizi di LocalBitcoin Exchanges per scambiare le banconote con la criptovaluta (operazione eseguita in totale anonimato, in guisa da non collegare la valuta virtuale al reato presupposto).

Nella fase successiva, quella di stratificazione, in cui bisogna dividere le somme illecitamente accumulate, è possibile dar vita a diversi account di criptovaluta, frazionare l’ammontare originale in tante piccole parti e confondere così la tracciabilità delle transazioni

Nell’ultima fase, cioè quella di integrazione, il riciclatore potrebbe mantenere i guadagni illeciti sotto forma di moneta da investire in future transazioni, anche mediante la creazione di siti o compagnie di facciata online.

Lo schema sopra delineato si attaglia perfettamente all’esigenza propria di un riciclatore, ovvero quella di nascondere la vera titolarità del bene, abbattere il rischio che l’intero prezzo o la refurtiva, anche se convertiti, siano intercettati o ancora quella di occultare l’origine delittuosa del capitale utilizzato per acquistare criptovaluta. Emerge chiaramente, quindi, come le valute virtuali abbiano tutte le caratteristiche necessarie per conseguire tali finalità.

In ragione di quanto finora argomentato, non pare difficile rendersi conto del fatto che le organizzazioni criminali sono state le prime ad accorgersi e a sfruttare le potenzialità offerte dal mondo delle monete elettroniche, circostanza che ha innalzato il livello di attenzione del legislatore, il quale dovrà, in un futuro prossimo, procedere ad una compiuta regolamentazione del settore anche al fine di arginare il diffondersi di fenomeni criminali in materia, tra i quali quello del riciclaggio dei proventi di origine illecita.


1 Dottorando di ricerca in Diritto e Impresa (XXXVI ciclo), presso la LUISS Guido Carli. Specializzato in Diritto d’impresa, Diritto bancario e Scienze economiche e bancarie europee.

2 Cfr. Razzante R., Bitcoin e criptovalute, Maggioli Editore, 2019, p. 60.

3 Direttiva (UE) 2018/843 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 maggio 2018.

4 Tale definizione appare mutuata da quella fornita dalla BCE che, nel rapporto Virtual currency schemes – a further analysis (febbraio 2015).

5 Cfr. MASCIANDARO D., Il riciclaggio dei capitali illeciti profili di analisi economica, su http://gnosis.aisi.gov.it/gnosis/Rivista12.nsf/ServNavig/7.

6 Vds. CARAMIGNOLI G. e DI PIETRO I., Il fenomeno Bitcoin: moneta “virtuale” con effetti “reali”sull’economia, in Riv. G.d.F., n. 6, 2013, p. 1731 e ss.

7 Per una compiuta descrizione degli schemi di condotta adottati per definire e classificare le condotte di riciclaggio, si rimanda anche a VALENTE P., IANNI G., CARACCIOLI I. e VIDONI M., Riciclaggio e criminalità. Idra per gli Stati, Sisifo per la Società, Nesso per gli Organismi Sovranazionali, Eurilink, Roma, 2017, p. 32, nonché a THIONE M. e SILVARI M., Le nuove frontiere del riciclaggio: analisi del fenomeno, linee evolutive ed elaborazioni statistiche di settore, in il fisco, n. 23/2006, p. 3529.

8 Cfr. LA ROCCA L., La prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo nelle nuove forme di pagamento. Focus sulle valute virtuali, in Analisi Giuridica dell’economia, 2015, pp. 201 -222.

9 Vgs. VALENTE P., IANNI G., CARACCIOLI I. e VIDONI M., Riciclaggio e criminalità. Idra per gli Stati, Sisifo per la Società, Nesso per gli Organismi Sovranazionali, cit., p. 548.

10 Cfr. ANTI MONEY LAUNDERING CENTRE, The Bitcoin trader: a facilitating role in the cash out of criminal proceeds, De Bilt, agosto 2017, su https://www.fiu-nederland.nl/sites/www.fiu-nederland.nl/ files/documenten/ note_the_bitcoin_trader_amlc_september_2017.pdf.